Clima: ripartire da Parigi

L’Accordo di Parigi è stato salutato con grande entusiasmo sia dai governi firmatari, che da buona parte dell’opinione pubblica internazionale, a lungo preoccupata per un possibile fallimento della COP21 dopo gli insoddisfacenti risultati di Copenaghen, Cancún e Durban.

Cop21 Parigi

L’accordo universale tra le parti segna un momento di svolta senza precedenti, dettato in gran parte dal riconoscimento collettivo della necessità di agire con urgenza contro il cambiamento climatico. Parigi, tuttavia, non può essere considerata un punto d’arrivo. Anzi.

Per quanto considerati positivi e incoraggianti, gli obiettivi di lungo termine fissati a Parigi sono infatti soltanto una base di partenza – certamente più solida che in passato – per l’inizio di un credibile percorso globale verso la decarbonizzazione, la sostenibilità e la lotta al cambiamento climatico. Per far si che ciò accada, nei prossimi anni sarà necessario un chiaro cambio di passo nelle politiche energetiche degli stati firmatari, nonché una radicale trasformazione dei consumi energetici nei processi produttivi e nei comportamenti quotidiani della comunità globale.

Accordo storico

Quanto sottoscritto a Parigi, almeno sulla carta, va ben oltre le più rosee aspettative. L’ambizioso obiettivo di limitare l’aumento delle temperature di 1,5°C rispetto ai livelli del 1990 – di mezzo grado inferiore dell’obiettivo di 2°C proposto in vista della Conferenza – e l’impegno a raggiungere quanto prima il picco delle emissioni, alimentano effettive speranze sull’impegno dei leader globali per un’azione di lungo periodo post-COP21.  L’accordo, tuttavia, non ha quella forza vincolante annunciata con entusiasmo alla fine della Conferenza. Infatti, sebbene gli obiettivi sottoscritti da ciascun firmatario verranno trascritti in registri pubblici internazionali accessibili alla comunità globale, in realtà gli Intended Nationally Determined Contributions (INDC) manterranno una natura volontaristica e, pertanto, non potranno essere presi a riferimento per sanzionare traiettorie climatiche non conformi a quanto stabilito a Parigi. Per far fronte a questa eventualità, ogni 5 anni gli obiettivi nazionali verranno comunque rivisti (in caso, per renderli più ambiziosi) e sarà al contempo effettuata una valutazione dei progressi ottenuti. L’accordo, infine, riconosce la necessità di rafforzare i meccanismi di Loss & Damage per assistere quei paesi particolarmente vulnerabili di fronte agli effetti del cambiamento climatico (seppur escludendo in modo esplicito il riconoscimento di responsabilità giuridica o la possibilità di compensazioni), e incoraggia la definizione di una roadmap concreta per raggiungere l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari l’anno – da qui al 2020 – per il finanziamento di politiche ambientali in paesi in via di sviluppo.

Ancora tanto da fare

Di fronte al testo dell’Accordo di Parigi si nota immediatamente che l’attuazione delle misure previste per il suo effettivo funzionamento prenderà necessariamente del tempo, e che sarà fondamentale la volontà dei singoli stati perché ciò avvenga. L’assenza di meccanismi sanzionatori e, quindi, la dipendenza da procedure di governance non vincolanti per garantire il monitoraggio delle politiche climatiche e dei risultati raggiunti a livello nazionale, impongono ancora un certo livello di cautela nel giudizio. Proprio la preparazione alla Conferenza di Parigi dimostra che la solidità dei criteri di trasparenza, in questo ambito, giocherà un ruolo fondamentale. E non soltanto a livello internazionale, dove le politiche climatiche verranno collegate a meccanismi di reporting condivisi nel quadro delle Nazioni Unite, ma soprattutto a livello nazional e locale, dove il rispetto degli obiettivi fissati dagli INDC sarà sotto la lente di ingrandimento di un’opinione pubblica e di una cittadinanza sempre più esigente e attenta ai benefici diretti e indiretti (es. qualità dell’aria, sicurezza energetica) della politica climatica. Questione spinosa, ma essenziale per assicurare il committment dei paesi in via di sviluppo, è quella del sostegno finanziario alla lotta contro il cambiamento climatico. L’Accordo di Parigi, infatti, si basa su un sottile equilibrio tra le posizioni dei due gruppi di paesi, e sulla promessa che i costi delle politiche climatiche future verranno distribuiti anche in base alle traiettorie passate, senza impattare pesantemente sui processi economico-industriali dei paesi in via di sviluppo. Questo, ovviamente, richiede l’effettivo funzionamento dei meccanismi di finanziamento internazionale, una questione sulla quale i paesi industrializzati – nonostante gli annunci – sembrano ancora mostrare una certa riluttanza ad agire con forza.

Una rivoluzione di tutti

Nonostante i punti ancora aperti, l’ambizione e la visione di lungo periodo emerse dalla COP21 offrono – a differenti livelli – importanti elementi per la pianificazione e l’attuazione della necessaria transizione energetico-climatica. Basti considerare, ad esempio, la reazione dei principali attori finanziari internazionali, che sembrano credere nel percorso delineato a Parigi dichiarandosi pronti a cogliere le opportunità di investimento che politiche le globali e nazionali saranno in grado di offrire.  Un ruolo chiave, in questo contesto, verrà giocato dal tessuto economico-industriale, nelle cui mani è affidata buona parte della transizione climatica lanciata dalla COP. Infatti, per quanto i governi saranno chiamati a fornire policies e garanzie regolatorie chiare e stabili, il settore privato dovrà investire in tecnologie e processi in grado – contemporaneamente – di migliorare le proprie performances economiche e ridurre il proprio impatto ambientale. Si pensi ad esempio, al settore dell’agricoltura, che ad oggi contribuisce a 1/4 delle emissioni globali di CO2: il potenziale dell’innovazione tecnologica in questo ambito può portare a risultati eccezionali, a vantaggio anche della sicurezza alimentare di milioni di persone. Infine, certo non per minore importanza, vanno promossi sviluppi nel settore della generazione elettrica, che attualmente pesa per un altro 25% sulle emissioni globali. La rivoluzione smart, già in atto nelle aree industrializzate del pianeta, offre grandi possibilità da questo punto di vista. Se abbinata al crescente ricorso all’autoproduzione di elettricità (attraverso le rinnovabili) e alla generazione distribuita, la penetrazione di tecnologie smart comporterà – grazie alla progressiva responsabilizzazione dei piccoli consumatori e dei cittadini – una trasformazione senza precedenti nei consumi energetici (e nelle relative emissioni) globali. Proprio nelle scelte di quest’ultimi, la cui partecipazione nella preparazione della COP21 è stata straordinaria e senza precedenti, si innesterà l’azione per vincere la sfida climatica.

In definitiva, va dato atto alla Conferenza di Parigi di aver gettato le basi per un futuro climatico più roseo. Ora sta a tutti gli stakeholder coinvolti – dal Capo di Stato al piccolo pescatore della Micronesia, passando l’Amministratore della multinazionale – fare si che la trasformazione lanciata con la COP21 possa effettivamente materializzarsi.

Nicolo Sartori
Informazioni su Nicolo Sartori 58 Articoli
Nicolò Sartori è senior fellow e responsabile del Programma Energia dello IAI (Istituto Affari Internazionali), dove coordina progetti sui temi della sicurezza energetica, con particolare attenzione sulla dimensione esterna della politica energetica italiana ed europea.. La sua attività si concentra in particolare sull’evoluzione delle tecnologie nel settore energetico. Ha lavorato inoltre come Consulente di Facoltà al NATO Defense College di Roma, dove ha svolto ricerche sul ruolo dell’Alleanza Atlantica nelle questioni di sicurezza energetica.

1 Commento

  1. la via piu’ semplice e di sicuro successo e’ una buona attuazione della campagna EUROPEA per l’ambiente Progetto Life per la sensibilizzazione
    della gente a livello globale a richiedere le nuove tecnologie per non utilizzare piu’ i carburanti fossili.
    IL mezzo piu’ sicuro affinche’ venga finalizzata positivamente questa ultima campagna Europea sono le agenzie di viaggio e i loro agentiche ci riusciranno come in nessun altra iniziativa perche’ e il loro naturale lavoro e perche’ con l’ausilio di tecnologie touch costituiranno
    la creazione di una stargate in agenzia di viaggio che riportera’ la gente
    a credere un po’ piu’ al reale e non al virtuale fonte di infida insicurezza.
    Sosteniamo le agenzie di viaggio ed i loro agenti che abbraccieranno la causa ambientalista e si arrivera’ in breve a soppiantare i carburanti fossili e finalmente ad un nuovo summit per il clima dove di discutera’ per quanto devono guadagnare i governi produttori per la perdita della mancata vendita del gas,del petrolio e non di quanto di questi devastanti prodotti potranno consumare emettendo comunque gas serra.
    Il settore Turistico non e’ solo businnes ma rappresenta il mezzo d’informazione piu’ vasto ,capillare e fisicamente presente nella figura degli agenti di viaggio e che incaricare loro di promuovere un turismo sostenibile per l’ambiente potrebbe essere la salvezza del immediato futuro dei nostri figli.

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