ChatGPT, intelligenza artificiale e potere. Chi comanda oggi e chi comanderà domani

L’Intelligenza Artificiale sta cambiando profondamente tutti gli aspetti della vita quotidiana dei cittadini, delle imprese e degli Stati. Il successo di ChatGPT, app che consente di porre quesiti e ricevere risposte da un sistema ad apprendimento automatico, ha reso l’intelligenza artificiale un fenomeno noto al grande pubblico e, come tale, al centro di scontri di potere e polemiche sulla sua regolamentazione.


Fin dalla sua nascita, che tradizionalmente si fa coincidere con gli anni ‘50 – periodo in cui Alan Turing pubblicò un articolo intitolato “Computing Machinery and Intelligence” e considerato da molti il manifesto dell’AI – si è posta obiettivi ambiziosi e ha ottenuto risultati importanti, in grado di cambiare, rivoluzionare il modo di vivere ed operare.

Grazie alla feconda attività di ricerca svolta in questo campo in molte aree applicative quali, ad esempio, la visione artificiale, la comprensione del linguaggio naturale, i sistemi di supporto alle decisioni, e la robotica, i risultati dell’AI, oggi come oggi, sono evidenti.

Si pensi, ad esempio, ai sistemi di supporto per decisioni su scelte più informate in svariate aree; agli assistenti digitali a controllo vocale; ai sistemi per l’assistenza agli anziani; alle automobili con guida autonoma; ai droni automatizzati per la consegna dei pacchi; agli algoritmi di machine learning impiegati nella medicina di precisione; e ancora, alle applicazioni di cyber security e cripto-valute; ai sistemi di rilevamento automatico delle frodi; ai processi di produzione automatizzati in fabbrica.

Dalle start-up alle aziende di più grande successo, dalla pubblica amministrazione ai singoli consumatori, l’AI e il cloud computing stanno trasformando il tessuto imprenditoriale a una velocità senza precedenti, seppur scandita a ritmi differenti nelle varie aree del globo. È difficile, ormai, immaginare un segmento della società che non verrà trasformato negli anni a venire da queste nuove tecnologie.

Anche il mondo del lavoro a livello globale vedrà cambiamenti importanti, in termini ad esempio di  riorganizzazione, partendo dai compiti, anziché dai ruoli, e assegnando task di volta in volta a macchine e persone, bilanciando così la necessità di automatizzare il lavoro con quella di valorizzarne le capacità.  Un recente report del World Economic Forum (WEF), ad esempio, prevede che entro il 2022 l’AI creerà 133 milioni di nuovi posti di lavoro ma al contempo 75 milioni andranno persi. Il risultato netto è però positivo, se opportunamente incanalato.

Le potenziali ed effettive applicazioni dell’AI hanno aperto il sipario di una vera competizione internazionale: l’AI è e sarà la quintessenza del dominio statale, per almeno tre ragioni: opportunità economica (si pensi alla quantità e all’ampiezza degli ambiti di applicazioni); opportunità “digitale” (l’AI lavora su una mole ingente di dati e di informazioni e permette di cogliere a pieno la trasformazione digitale in corso); opportunità sociale (la facoltà di incidere dai massimi sistemi alla vita quotidiana delle persone).

Se gestite oculatamente e se perseguite nell’interesse e a beneficio della società tutta, queste opportunità hanno la potenzialità senza precedenti di migliorare la vita delle persone e la produttività economica. Mentre gli Stati Uniti e la Cina traggono beneficio dall’industria digitale – altamente sviluppata in questi due Paesi – il contesto europeo rimane più frammentato e, nonostante i passi avanti compiuti sul piano dell’etica dell’AI, è privo di una strategia chiara per il coordinamento e per la strutturazione dell’ecosistema.

Gli Stati Uniti non cedono il primato

Gli Stati Uniti sono attualmente l’attore principale sull’Intelligenza Artificiale, forti di investimenti e ricerca a guida di attori privati che vengono compiuti nel campo da diversi decenni: non solo le cosiddette big tech costituiscono il traino fondamentale nel campo, ma l’intero ecosistema di start up e mondo della ricerca costituiscono il tessuto di sviluppo dell’AI.

Infatti, gli Stati Uniti sono leader indiscussi nell’ecosistema, con 1.393 start-up – il 40 percento del numero globale. La Cina è al secondo posto, con 383 start-up (l’11 percento del totale mondiale) e Israele al terzo, con 362 start-up (10 percento). Tuttavia, se consideriamo l’Europa nel suo complesso, con 769 start-up di Intelligenza Artificiale (il 22 percento del totale), estromette la Cina dal suo secondo posto. Ma nessuno Stato membro dell’Unione raggiunge una vera massa critica: degno di nota il Regno Unito, al quarto posto nella classifica (245 start-up), seguito da Francia (settima con 109 start-up) e Germania (ottava con 106 start-up). Mentre l’Italia è presente, ma solo al penultimo posto, con 22 start-up.

A fronte della preponderanza del settore privato nella spesa di ricerca e sviluppo in questo campo, nel maggio del 2018 la Casa Bianca ha però annunciato l’ambizione di preservare la leadership nel comparto AI, abbinando obiettivi di mercato alla necessità di proteggere l’occupazione e promuovere la ricerca e sviluppo con fondi pubblici. A tale dichiarazione ha fatto eco, più di recente, il programma “AI Next del DARPA” (la “Defense Advanced Research Projects Agency”), un piano di investimenti da due miliardi di dollari finalizzato a rimuovere le attuali limitazioni dei sistemi AI, tra le quali spiccano la dipendenza dai dati, la difficoltà nello spiegare i processi decisionali, e la scarsa abilità di carpire il contesto nel quale le decisioni vengono adottate. Inoltre, nel mese di febbraio 2019 il presidente USA Donald Trump ha varato la nuova “American Artificial Intelligence Initiative”, che si è in seguito tradotta in una serie di iniziative concentrate soprattutto su settori strategici come i trasporti, l’agricoltura e la meteorologia.

La crescita incalzante della Cina

È noto l’approccio divergente dagli Stati Uniti della Cina nel campo dell’AI, a guida prettamente dirigistico-statale e in linea con il funzionamento economico del paese. Su questa base, la Cina ha chiaramente dichiarato la propria ambizione di divenire leader mondiale nel campo dell’AI entro il 2030. Tra i piani cinesi, di assoluto interesse è il piano “Made in China 2025”, dedicato al settore manifatturiero; il piano “Internet +” dedicato anch’esso allo smart manufacturing e all’innovazione; il “Robot Industry Development Plan (2016-2020)” varato nel 2016 per promuovere lo sviluppo e la diffusione della robotica nell’industria; e da ultimo, il “New Generation AI Development Plan” del 2017, accompagnato da un percorso costellato di obiettivi molto precisi da raggiungere nel 2025, per poi arrivare al dominio di mercato nel 2030. Si tratta di piano molto concreti e ambiziosi, che guardano allo stesso tempo alle applicazioni civili e a quelle militari.

Il peccato originale dell’Europa

Secondo un recente paper pubblicato da McKinsey, le iniziative AI rimangono molto frammentarie in Europa, così come i punti di forza e di debolezza relativamente ai fattori abilitanti. Ad esempio, l’Irlanda è in cima alla classifica europea in termini di connettività ICT, la Finlandia sul capitale umano e il Regno Unito con riguardo all’innovazione. Ciò suggerisce che ciascuno dei Paesi UE dovrebbe guardare alle best practice degli altri nel tentativo di creare un ambiente più favorevole per l’Intelligenza Artificiale o metterle a sistema in un’ottica unitaria.

Inoltre, sebbene l’UE sia tra le aree geografiche con il maggior numero di players attivi in ambito AI – col 25 percento del totale, dietro solo agli Stati Uniti (28 percento) – le imprese europee fanno fatica, rispetto a quelle americane, con riguardo all’adozione dell’architettura big data e delle più avanzate tecniche di machine learning – entrambe alla base dell’AI. Inoltre, al momento le imprese europee mancano di pervasività dell’AI e tendono a concentrarsi solo su un insieme piuttosto ristretto di tecnologie e di automazione e limitatamente ad alcune funzioni aziendali.

In effetti, anche a guardare il livello di investimento in AI, l’Europa non regge il confronto con Stati Uniti e Cina. Si consideri che l’investimento di 2,6 miliardi di euro annunciato dalla Commissione europea è irrisoria rispetto agli investimenti che stanno compiendo le due potenze mondiali nel campo. Nondimeno, l’AI può assegnare all’Europa una posizione d’avanguardia nella rivoluzione digitale, incrementando l’attività economica di un valore tra i 2,7 e i 3,6 bilioni di euro entro il 2030, a seconda che l’Europa riesca a migliorare asset e competenze e raggiungere gli Stati Uniti. Incanalate nei giusti modi, le tecnologie digitali possono anche fungere da catalizzatori per lo sviluppo di nuove soluzioni alle sfide più impellenti dei nostri tempi e alle priorità UE, come la lotta contro il cambiamento climatico, il trattamento di malattie e il miglioramento della sicurezza pubblica.

Negli ultimi decenni l’UE si è fatta promotrice dell’innovazione, stabilendo standard globali per l’uso responsabile della tecnologia, come il Regolamento Generale per la Protezione dei Dati. Nel pieno della quarta Rivoluzione Industriale l’approccio alla tecnologia incentrato sull’essere umano, adottato dall’UE e basato sui valori della persona, sarà uno dei principali punti di forza dell’Europa, volontà dimostrata altresì dal lavoro svolto in merito dal Gruppo di Esperti che la Commissione europea ha opportunatamente predisposto al fine di delineare i principi cardine e scaturito nella pubblicazione, lo scorso aprile, di “Ethics guidelines for trustworthy AI”, un set di principi che costituiscono la visione in materia dell’Unione, ma anche delle linee guida concrete per lo sviluppo dell’AI.

Accanto alle due superpotenze, paesi industrializzati come il Giappone (già a partire dal 2015), la Corea del Sud, il Canada ed economie emergenti come l’India hanno adottato piani nazionali in tema di AI. In Europa, varie iniziative nazionali sono già state approntate, in particolare dal Belgio, dalla Finlandia, dalla Francia, dalla Germania, dal Portogallo, dal Regno Unito, Svezia e Italia. Tale proliferazione di piani nazionali non è sfuggita alle istituzioni comunitarie, che hanno deciso di rafforzare il coordinamento tra Stati Membri nell’ambito del programma “Digitising European Industry”. 

Per un futuro tecnologico con l’essere umano al centro

Dinanzi all’incalzare dell’Intelligenza Artificiale a livello globale, è tuttavia necessario soffermarsi per porre le fondamenta di questa tecnologia dirompente, ossia costruire un’etica dell’AI. Non si tratta di principi astratti da enunciare, bensì di una visione strategica comprendendo cosa e come vogliamo che l’Intelligenza Artificiale operi nella società. 

Come nella politica occorre non essere assoggettati alle tornate elettorali a beneficio di una visione paese strategica, parimenti l’AI, per il suo potenziale e la sua pervasività, necessita, a fronte di un suo rapido sviluppo, di una solida base etica con una visione a lungo termine.
E occorre che questa visione sia delineata ed infusa nell’ora, nell’oggi, affinché l’AI di domani impatti positivamente sulla società.

Naturalmente, a livello globale l’operazione non si presenta di facile delineazione per tre motivi: in primo luogo, per i diversi approcci che gli Stati stanno perseguendo. In linea con gli approcci sopra menzionati, negli Stati Uniti la questione etica è guidata per lo più dalle big tech, alcune delle quali si sono dotate, oltre che di principi, anche di meccanismi interni di valutazione etica di prodotti e servizi.

Nell’AI cinese di stampo statale, la questione etica non sta emergendo come una priorità. L’UE ne sta facendo un perno fondamentale, a discapito forse di una maggiore rapidità nella definizione di una strategia industriale, ma in sintonia con i propri valori e la propria storia. Il secondo motivo è prettamente culturale: trattandosi di visione e di principi etici, e assistendo altresì a diversi approcci in materia, potrebbe risultare complicato allineare diverse visioni a livello mondiale. Trovare un minimo comune denominatore è tuttavia essenziale, alla luce della portata globale e senza confini con cui i meccanismi di AI possono operare.

Infine, un aspetto fondamentale: assicurarsi che il set di principi etici delineati possa essere effettivamente infuso negli algoritmi creati in modo tale che operino secondo quelle linee guida, nonché dei meccanismi di valutazione interni.

Tutti gli sforzi ed il dialogo attualmente in corso sono cruciali per garantire che nel futuro l’AI possa essere uno strumento a beneficio della collettività, uno strumento che consenta di amplificare le capacità umane, uno strumento attraverso cui migliorare la società nel suo complesso.

Per la sua portata e per il suo impatto, la trasformazione digitale non può prescindere dalla necessità di un’etica digitale. Non possiamo perdere l’opportunità di garantire un uso delle tecnologie che migliori in maniera efficace e responsabile la vita delle persone. Pertanto, non si tratta di quello che queste tecnologie possono fare, ma quello che dovrebbero fare.

È fondamentale un utilizzo di algoritmi capace di potenziare i processi decisionali e previsionali a supporto della creatività umana, la capacità di prendere decisioni più velocemente riducendo i margini di errore. Oggi più che mai è necessario garantire una visione umano-centrica di questa evoluzione tecnologico-sociale e dell’AI, accanto alla sua rapida crescita: una visione in cui l’essere umano sia al centro dello sviluppo dell’innovazione digitale supportato e non sostituito dalle tecnologie.

Un futuro tecnologico in cui uomini e macchine lavoreranno sempre più assieme, ma dove l’intelligenza umana ne governerà lo sviluppo senza perderne mai il controllo. Di questo, al di là dei diversi approcci, lo scacchiere internazionale dovrà tenere conto.

Informazioni su Marco Blaset 150 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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