Sanguigno e concreto. Ferruccio Lamborghini ha saputo correre e ha saputo fermarsi

La vita di Ferruccio Lamborghini, fondatore dell’omonima casa automobilistica, andrebbe raccontata nei corsi di management come esempio di opportunismo e coraggio.

ferruccio lamborghini

Figlio di due contadini emiliani, appena finita la guerra trovò nel porto di Napoli 1.000 motori agricoli inutilizzati, capì che l’Italia agricola aveva bisogno di macchine moderne per ripartire, riuscì a comprare quei motori per pochi soldi, li fece modificare per aumentarne la potenza e si mise a costruire dei trattori veloci grazie ai quali era possibile lavorare la terra nella metà del tempo.

Aveva una grande passione per le auto sportive, con i primi guadagni ne comprò diverse, sopratutto Ferrari. Ma trovava a quelle auto mille difetti progettuali, lo fece anche presente al Commendator Ferrari che in più di una occasione gli rispose per le rime.

La leggenda vuole che da questo scontro col patron di Maranello nacque il desiderio di Lamborghini di costruire auto in proprio. In realtà Lamborghini alla fine degli anni 50′ intuì che il boom avrebbe creato un mercato per i prodotti di lusso, la rivalità con Ferrari fu solo la molla che fece scattare un progetto già pianificato. Assunse i migliori designer e i migliori motoristi dell’epoca e cominciò a costruire alcune delle supercar più innovative della storia: la Miura, la prima auto al mondo a motore posteriore-centrale, e la Countach, una vera icona di stile.

Lamborghini riusci ad essere concreto e contro-corrente allo stesso tempo, le sue autovetture avevano delle architetture meccaniche ardite e hanno lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo.

A differenza di Enzo Ferrari, che aveva costruito il suo successo nelle corse, Ferruccio non fece mai partecipare le sue auto alle competizioni perchè da uomo pragmatico quale era sapeva di non avere la capacità economica e la struttura per vincere. Si concentrò solo sulla costruzione di auto sportive di serie. Oggi si direbbe che si focalizzò sul “core business”.

La crisi petrolifera degli anni ’70 mise in ginocchio diverse case automobilistiche, Lamborghini compresa. Ferruccio capì di non avere le spalle abbastanza larghe per uscirne indenne e cedette l’azienda a un gruppo in grado di garantirne il futuro. Nel frattempo aveva diversificato nell’agricoltura, la sua prima passione, e si ritirò nelle campagne umbre dove si spense nel 1993.

Lamborghini colse tutte le opportunità di mercato senza mai innamorarsi di un’idea, la cosa giusta al momento giusto e nel modo più concreto possibile. Quando capì che la sua corsa era finita, ebbe l’umiltà e la lungimiranza di farsi da parte per dare un futuro all’azienda. La storia di Ferruccio Lamborghini è una lezione di management per tutti.

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