Intesa, la banca di sistema che ha comprato le due venete per cavalcare la ripresa del Nord Est

Banca Intesa San Paolo, che ha appena rilevato per un euro le due banche venete finite in dissesto, non dovrebbe nemmeno esistere. Nasce infatti dalle ceneri del vecchio Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, di cui nessuno all’epoca si volle occupare.

Fino all’arrivo dell’avvocato Giovanni Bazoli, che lo ha rimesso in sesto e che in seguito lo ha ingrandito acquisendo via via altri istituti. Non avrebbe dovuto fondersi nemmeno con la Banca San Paolo: in un primo tempo sembrava che banca Intesa fosse destinata a unirsi a Capitalia (ex Banco Roma). Poi quest’ultima finì in Unicredit e Intesa celebrò le nozze con il San Paolo di Torino. Prima, l’istituto aveva assorbito un gigante del credito come la Cassa di Risparmio delle province lombarde.

Tutto questo si ricorda per dire che Intesa è una banca, oggi la più grande del nostro sistema (e anche quella con i conti più a posto), nata attraverso acquisizioni successive. Non esisteva in origine. E’ una pura invenzione di Giovanni Bazoli, oggi giustamente presidente onorario.

Il suo ingresso nelle due banche venete, al modico prezzo di un euro, e accompagnato da 5 miliardi di euro dello Stato, è stato anche fortemente criticato. In pratica, si è detto, Intesa si prende due belle banche, ripulite da tutto, e con una buona dote, in cambio di una cifra simbolica. Un affarone, un regalo.

Carlo Messina, l’amministratore delegato di questo colosso, contesta la lettura critica che è stata fatta dell’operazione.

Il primo punto su cui insiste è che non si poteva non salvare le due banche. Troppe cose in ballo.

Tanto per fare due cifre: la raccolta diretta delle due banche fa un totale di 30 miliardi, ai quali vanno aggiunti 20 miliardi di risparmio gestito.

In caso di fallimento, sostiene Messina, si sarebbe aperta una corsa agli sportelli con conseguente devastanti e il fondo di garanzia bancaria avrebbe dovuto trovare in fretta e furia più di 10 miliardi per evitare il peggio. Inoltre, molte aziende (forse tutte) che hanno conti aperti con i due istituti veneti si sarebbero trovarti di fronte alla richiesta di rientrare, cioè di restituire i soldi avuti. Un terremoto.

Quello che Messina non dice apertamente, ma lascia intuire con facilità, è che il Veneto ha ripreso a correre e che la sua economia è molto interessante: avere una “base” nel Nord Est è molto importante.

Infatti si erano fatti avanti altri istituti, anche stranieri, ma alla fine si sono ritirati di fronte all’idea di prendersi in carico i dieci mila dipendenti delle due banche e del pesante lavoro di riorganizzazione da fare.

Messina rivela anche un particolare passato un po’ sotto silenzio. Le due banche venete, per cercare di non finire in dissesto, nei mesi scorsi avevano emesso obbligazioni per dieci miliardi coperti dalla garanzia dello Stato. Se lasciate andare in fallimento, questi dieci miliardi pubblici sarebbero andati persi.

In questi giorni c’è chi ha avanzato l’idea che, alla fine, l’operazione costi allo  Stato non cinque, ma 17 miliardi o più. Su questo punto la risposta di Messina è netta: nelle due banche ci sono dieci miliardi di crediti incagliati o inesigibili, è impossibile non ricavare dei soldi da questa massa di storie andate a male. Non tutti questi denari vanno considerati definitivamente persi, con il tempo e con la pazienza si potrà recuperare qualcosa.

In sostanza, Banca Intesa afferma due cose:

1- Non è vero che ha avuto un regalo, ha visto un problema, ha le idee su come risolverlo e è intervenuta. Altri potevano farlo, ma si sono ritirati, comprese alcune banche straniere per le quali sarebbe stato molto interessante mettere un piede in Veneto.

2- Lasciar fallire le due banche sarebbe stato disastroso, proprio nel momento in cui l’economia veneta ha ripreso a correre. L’intervento è stata quindi una cosa saggia.

Nonostante queste precisazioni, le polemiche continueranno. E questo è il dramma costante di tutti i salvataggi bancari: se lo Stato non interviene, si grida allo scandalo perché lascia correntisti e depositanti allo sbaraglio. Se interviene, si grida allo scandalo perché con i soldi di tutti i cittadini si salvano situazioni particolari. Si grida sempre, cioè allo scandalo, qualunque cosa venga fatta.

In questo caso, poi, si dice che in aggiunta è stato fatto un regalo a Banca Intesa, ma la cosa non ha molto senso, visto che le stesse condizioni sono state offerte a altri istituti, che però hanno scelto di non accettare.

Il risultato finale, comunque, non è pessimo, anzi. Il Nord Est ritrova le sue due banche (inglobate però in una struttura nazionale e gestite finalmente con criteri professionali) e può continuare la sua corsa verso la ripresa, che si sta facendo sempre più consistente.

Giuseppe Turani
Informazioni su Giuseppe Turani 56 Articoli
Giornalista economico e Direttore di "Uomini & Business". E' stato vice direttore de L'Espresso e di Affari e Finanza, supplemento economico de La Repubblica. Dal 1990 al 1992 è editorialista del Corriere della Sera, del mensile Capital e dei settimanali L'Europeo e Il Mondo. Ha scritto 32 libri.

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