La successione in azienda con il patto di famiglia. Un strumento utile che pochi conoscono

Forse non tutti gli imprenditori e i loro figli sanno che, per favorire le aziende italiane, spesso a struttura familiare, nel codice civile da oltre un decennio è stato introdotto il “contratto di patto di famiglia” per cui mi sembra opportuno parlarne.

Il patto di famiglia è uno strumento giuridico che permette all’imprenditore, quanto alla problematica di gestire il passaggio generazionale in azienda, di anticipare le disposizioni successorie e, tramite l’accordo con tutti i legittimari presenti al momento della stipula del patto, porre un argine alle eventuali liti successive alla sua morte.

Di recente il patto di famiglia è assurto agli onori della cronaca giuridica e certamente l’intervento della giurisprudenza, suscitato dall’Agenzia delle Entrate, non contribuirà a favorirne la scelta.

Il patto di famiglia è assoggettato all’imposta sulle donazioni sia per quanto concerne il trasferimento dell’azienda o della partecipazione dal disponente al discendente sia per quanto concerne la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall’assegnatario dell’azienda o della partecipazione ai legittimari non assegnatari, quest’ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all’aliquota ed alla franchigia relative al rapporto tra assegnatario e legittimario.

Nel quadro del contratto che consente il passaggio della proprietà delle aziende o delle quote di capitale delle società, quanto alle attribuzioni tra fratelli deve applicarsi la tassazione con una aliquota del sei per cento, per la Cassazione sezione tributaria, ordinanza n. 32823 pubblicata il 19 dicembre 2018, l’attribuzione che il figlio assegnatario dell’azienda effettua a favore dei fratelli per compensarli si deve considerare come una donazione e va assoggettata alla relativa tassazione.

Nel caso deciso dai giudici tributari una imprenditrice aveva attribuito con un patto di famiglia l’azienda ad un figlio e questi in adempimento del patto aveva compensato la sorella versandole una somma in denaro, proponendo ed applicando la tassazione al 4% per il valore eccedente il milione di euro.

Il giudice di legittimità tributario, a seguito del ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva emesso un avviso di liquidazione per un importo ulteriore a quello proposto dai contribuenti, ha considerato la dazione tra fratelli come una donazione e applicato la maggiore aliquota del sei per cento da calcolarsi sul valore dell’attribuzione con la franchigia di centomila euro prevista dalla legge.

Ecco il principio espresso dalla Cassazione tributaria con l’ordinanza in commento: “il patto di famiglia (…) è assoggettato all’imposta sulle donazioni per quanto concerne sia il trasferimento dell’azienda o della partecipazione dal disponente al discendente (fatto salvo il ricorso delle condizioni di esenzione di cui all’art. 3, co. 4 ter, d.lgs. 346/90), sia la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall’assegnatario dell’azienda o della partecipazione ai legittimari non assegnatari; quest’ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all’aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario”.

 Per meglio comprendere la rilevanza del patto di famiglia su cui influisce questa decisione della Corte Suprema che non ha mancato di suscitare disappunto tra gli addetti al settore, ricordo le caratteristiche principali di questo contratto tipico disciplinato dal legislatore italiano con la legge n. 55/2006 che ha introdotto sette articoli, dal 768 bis al 768 octies, nel codice civile.

L’art. 768-bis c.c. qualifica il patto di famiglia come il “contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.

Il patto di famiglia, che rimane una opzione alternativa alla donazione tout court sempre praticabile dall’imprenditore, richiede l’atto pubblico a pena di nullità e vi devono partecipare gli eredi definiti legittimari, il coniuge e i figli del titolare dell’azienda…. per quelli futuri poi si dirà.

L’intento dell’imprenditore che, giovandosi dei suoi consulenti legali e commerciali, decide di definire in accordo con i soggetti interessati un patto di famiglia è all’evidenza di regolare, nell’ambito della propria famiglia, il passaggio nella titolarità e nella gestione dell’azienda assicurandosi, con il consenso di tutti, un subentro che non esponga il nuovo titolare dell’azienda a rischi di rivendicazione da parte degli altri familiari, che possano nuocere al sereno e proficuo iter aziendale, curando che detta assegnazione non leda gli interessi dei non assegnatari che si concretizzerebbe alla sua morte in un vulnus alla loro quota legittima.

Di conseguenza nel patto di famiglia sono soggetti necessari l’imprenditore che trasferisce, senza corrispettivo, l’azienda e il beneficiario che la acquisisce e contemporaneamente deve liquidare gli altri partecipanti al contratto.

Il terzo lato del contratto è rappresentato dai familiari “potenziali legittimari” il cui intervento è richiesto per “consolidare” l’acquisto in capo al beneficiario, ponendolo al riparo da possibili future azioni di riduzione ed escludendo l’obbligo della collazione, a fronte di un compenso formalmente, a carico del beneficiario, ma sostanzialmente riconducibile all’imprenditore.

Con il patto è stabilito necessariamente che il beneficiario principale che riceve l’azienda o le partecipazioni societarie debba compensare gli altri partecipanti al contratto con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote riservate ai legittimari salvo che questi vi rinuncino.

La liquidazione a favore dei legittimari non assegnatari dell’azienda potrà avvenire non solo con il versamento di somme ma anche mediante beni, ad esempio un immobile, sancisce l’art. 768 quater “sono imputati alle quote di legittima loro spettanti” quindi un anticipo dell’eredità.

Va poi ricordato che dopo la stipula del patto e la morte dell’imprenditore potrebbero  sopraggiungere altri legittimari, tra questi ad esempio il nuovo coniuge o i nuovi figli, ebbene questi soggetti potranno chiedere ai beneficiari del patto di famiglia il pagamento di una somma pari al valore della quota di legittima ex lege.

Quanto alle vicende successive all’atto pubblico che consacra il patto va detto che questo potrà essere sciolto o modificato dagli stessi soggetti che vi hanno partecipato mediante un nuovo contratto, sempre per atto pubblico oppure con il recesso, ove previsto nel patto di famiglia, mediante una “dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio” come regolato dall’art. 768 septies.

Un punto critico dell’istituto è costituito dal pericolo dell’azione revocatoria trattandosi di un atto a titolo gratuito con cui il debitore potrebbe spogliarsi dei beni trasferendoli ad un erede allo scopo di fronteggiare azioni esecutive dei creditori.

In tema di revocatoria ordinaria l’art. 2901 comma 1 del c.c. dispone che il creditore “può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione”.

Il patto di famiglia è atto di disposizione dell’imprenditore-debitore revocabile a seguito di azione giudiziale, da esperirsi entro cinque anni dal giorno in cui dell’atto è data pubblicità ai terzi ex art. 2903 c.c., e le disposizioni che ne fanno parte potranno essere dichiarato inefficaci nei confronti dell’attore-creditore quando sussistono le condizioni citate.

La giurisprudenza ha precisato che ai fini dell’azione revocatoria ordinaria “per l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni è sufficiente che l’atto di disposizione del debitore abbia determinato maggiore difficoltà o incertezza nell’esazione coattiva del credito, potendo il detto eventus damni consistere in una variazione non solo quantitativa, ma anche qualitativa del patrimonio del debitore (Cass. 15265.2006).

Quindi il patto di famiglia, ideato e  messo in atto dopo che il credito sia sorto e diventato esigibile, con cui l’imprenditore trasferisce, ad esempio, le  quote di una s.r.l. alle  figlie,  senza sostituirle nel suo patrimonio, sottolineo, con alcun bene aggredibile dal creditore, potrà essere oggetto di revocatoria con fondate probabilità di accoglimento.

Il patto di famiglia è atto a titolo gratuito e di conseguenza è irrilevante la consapevolezza del pregiudizio per il creditore da parte degli altri partecipanti.

Va poi ricordato che per la Corte di Cassazione, in tema di condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria  ordinaria,  la  prova  del  requisito  della  consapevolezza  di  arrecare  pregiudizio  agli interessi  dei  creditori  può  essere  fornita  anche  mediante  presunzioni tra cui assume ovvio rilievo il grado di parentela tra il debitore disponente e i beneficiari.

In conclusione va evidenziato come il patto di famiglia a parere e per esperienza dello scrivente può scegliersi quale strumento di legge più idoneo per assicurare la continuazione dell’attività aziendale senza scossoni connaturati ai passaggi alle nuove generazioni, sempre che sia realizzato dall’imprenditore giovandosi di consulenti all’altezza e con una attenta e ponderata scelta di questo o quel figlio, o anche più d’uno, che prometta quella passione e capacità per  continuare la crescita aziendale… senza dimenticare che potranno evitarsi le ricorrenti liti successorie che non di rado costituiscono un impedimento al proseguimento e allo sviluppo dell’azienda.

Luigi De Valeri
Informazioni su Luigi De Valeri 38 Articoli
Luigi De Valeri, nato a Roma nel 1965, ha conseguito nel 1994 il titolo di procuratore legale. Iscritto all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine di Roma, titolare dello Studio Legale De Valeri attivo nei settori del diritto civile, lavoro e sicurezza sul lavoro, assicurazioni e responsabilità professionale, immobiliare, diritto societario e start-up, diritto di internet e privacy, diritto dell'Arte, diritto amministrativo e diritto penale. Consulente giuridico di EBAFoS, ente bilaterale dell'artigianato per la formazione e la sicurezza sul lavoro, FIRAS-SPP federazione italiana responsabili addetti servizi prevenzione e protezione, Prison Fellowship Italia Onlus.

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