La verità è che siamo noi che vogliamo la Burocrazia perchè genera indotto e potere

In Italia ci si lamenta della burocrazia dalla notte dei tempi. Ogni nuova emergenza ha messo in risalto la drammaticità del funzionamento della nostra pubblica amministrazione. Ad ogni emergenza le lamentele sono aumentate, così come le promesse di voler ridurre la “burocrazia”.

Ma finora di riduzione della “burocrazia” se ne è vista ben poca. Negli ultimi tempi abbiamo preso l’abitudine di nominare dei “commissari straordinari” ai quali affidiamo il potere temporaneo di ignorare un certo numero di norme, ma non abbiamo praticamente mai toccato le radici del problema.

Al contrario, le misure appena prese per lottare contro la recessione hanno stabilito nuovi livelli di complessità, almeno in termini di numero delle pagine di normativa e della loro illeggibilità a causa dei continui richiami a questa o quell’altra norma.

Le difficoltà nel ridurre la burocrazia sono dovute al fatto che questa è dovuta solo per una piccolissima parte a complicazioni evitabili introdotte dalle strutture amministrative.

Il grosso della burocrazia dipende dalle scelte collettive della nostra società e dalla maniera come la nostra opinione pubblica pensa debba funzionare la nostra società.

In quale altro paese industrializzato, quando si va al bar, prima si va alla cassa, si paga il caffè e si va poi a ritirare il caffè presentando il certificato che prova l’avvenuto pagamento? Certificato che dovrebbe poi essere conservato uscendo dal locale in caso di controlli da parte dell’amministrazione fiscale!

Non riusciremo a ridurre la burocrazia, se non riusciremo a concepire in maniera molto diversa e meno giuridica la maniera di agire della nostra pubblica amministrazione e della nostra società.   La “burocrazia” che ci affligge è il risultato di tante nostre decisioni e preferenze di cui ignoriamo le conseguenze negative.

La Burocrazia genera indotto

Ogni procedura burocratica in più mette in moto un sistema: uffici pubblici, funzionari ed impiegati che devono gestire la procedura, professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro…) che devono assistere i cittadini, aziende private che producono prodotti o erogano servizi a supporto della nuova norma, magistrati che aprono (spesso) inchieste per verificare la correttezza legale di tutti i passaggi.

La burocrazia, insomma, genera un indotto, in parte pubblico e in parte privato.

Ammettiamo che si decidesse di annullare 50.000 procedure burocratiche, quanti impiegati e funzionari pubblici perderebbero “potere decisionale” e quanto business perderebbero i professionisti e le aziende di supporto?

La burocrazia è un’industria e come ogni industria produce effetti economici e sociali a cui nessuno dei soggetti beneficiari vuole rinunciare. Non è un caso che ogni volta che si tenta di snellire la macchina burocratica, partono una serie di veti incrociati di ostruzionismo.

I fattori strutturali che incidono sulla Burocrazia

Riportiamo qui di seguito in maniera succinta alcuni fattori che spiegano l’alto livello di burocrazia che pervade tutta la società italiana, non solo il settore pubblico.  I fattori sono presentati in un ordine più o meno logico, ma senza alcuna pretesa di elencarli in ordine di importanza.

Il primo fattore, comune a molti altri paesi industrializzati (anche se forse in Europa e specialmente in Italia questo fenomeno è più pronunciato), è la richiesta di protezione contro tutto. Le società dei principali paesi europei sono società con un’età media piuttosto alta, con un reddito buono e sono quindi società che non sono disposte a correre rischi per aumentare il loro benessere. Le società europee di oggi sono ben diverse da quelle degli stessi paesi negli anni sessanta e settanta. La reazione al Covid-19 lo ha mostrato ampiamente.

La volontà di essere protetti contro il numero più alto possibile di rischi e di tenere presenti tanti interessi diversi si traduce nella richiesta di norme molto ambiziose per la protezione della salute, per la protezione dell’ambiente, per la difesa dei consumatori e per la protezione di tanti altri interessi pubblici.  L’Italia tende spesso a rendere più ambiziose le direttive europee quando queste vengono trasferite nell’ordinamento giuridico italiano.  Saremmo disposti ad essere meno ambiziosi nella protezione di questi interessi pubblici per ottenere un funzionamento più semplice della nostra società?

Quale governo avrà mai il coraggio di dichiarare che alcune delle autorizzazioni oggi necessarie possono essere ignorate? Ma se non si fa questo, non si riduce la burocrazia.

Un altro fattore, che discende in parte dal precedente, è la suddivisione delle competenze tra tantissimi enti. Oggi, ogni atto pubblico deve essere accompagnato dai nulla osta di tantissime istanze (che 50 anni fa spesso non esistevano). Abbiamo portato all’estremo l’approccio dei “checks and balances” statunitense. Per ovviare a questo problema, si è introdotta la “conferenza dei servizi” per i progetti di investimento.   Si mettono attorno ad un tavolo tutti gli enti che hanno qualcosa da dire su di un progetto.   Quando fu lanciata quella per l’ampliamento della stazione Tiburtina a Roma all’inizio degli anni duemila ci si ritrovò con più di 30 enti.   

Una ventina di anni fa, la Commissione europea finanziò uno studio sul campo per verificare quante autorizzazioni fossero veramente necessarie per realizzare alcuni progetti. Si prese un caso ben specifico: una ditta che vuole espandere una sua unità di produzione già esistente. 

Parteciparono allo studio, durato 18 mesi, vari paesi europei, lo stato americano della Georgia ed un stato australiano. Si seguirono varie decine di domande concrete. Il risultato fu che si andava dalle due autorizzazioni rilasciate da due enti diversi della Finlandia alle nove autorizzazioni rilasciate da otto enti diversi della Grecia. L’Italia aveva declinato l’invito a partecipare al progetto. Una riduzione della burocrazia non può essere realizzata senza rinunciare ad alcuni di questi pareri o controlli. Quali? Quale governo riscuoterebbe l’approvazione dell’opinione pubblica per decisioni che forse metterebbe in dubbio la stessa ragion d’essere di alcuni di questi enti?

Un terzo fattore che discende dal precedente è il fenomeno che Angelo Panebianco ha chiamato il “panpenalismo“; l’aspettarsi che ogni processo amministrativo controverso sia vagliato dalla giustizia e il desiderio di identificare un colpevole per ogni sviluppo insoddisfacente. 

In tutti i paesi sviluppati, le attività del settore pubblico sono sottoposte al controllo della magistratura, ma in Italia la maniera come questo avviene è diventata patologica. Un esempio recente. In quasi tutti i paesi europei c’è stato un numero di decessi molto alto nelle case di riposo. 

La cosa ha giustamente preoccupato l’opinione pubblica di tutti i paesi.  Ma solo in Italia i notiziari televisivi sono stati così pieni di notizie sul numero di inchieste aperte da ogni procura, sulle ipotesi di reato esaminate e sulle perquisizioni e sequestri di materiale operate dalla polizia giudiziaria. Sicuramente ci saranno inchieste anche negli altri paesi, ma più tardi e con meno clamore mediatico.

In Italia siamo oramai abituati al lancio di tantissime inchieste (con relativi avvisi di garanzia) che dopo alcuni anni finiscono nel nulla nel più grande silenzio. Nel frattempo queste inchieste – che sicuramente in alcuni casi sono giustificate – avranno rovinato la vita di tantissime persone. Recentemente la stampa ha parlato del caso di un imprenditore del nord Italia che ha scoperto solo grazie all’insistenza del suo avvocato che l’inchiesta avviata contro di lui da quasi dieci anni era stata archiviata da oltre un anno e mezzo senza che lui ne fosse stato informato (un comunicato cartaceo era stato affisso in una bacheca pubblica nel paese della Sardegna dove era la procura che aveva gestito l’inchiesta).

Queste inchieste portano tutti i funzionari pubblici a firmare i documenti per investimenti, appalti e altri atti pubblici solo dopo aver raccolto tutti i pareri possibili immaginabili. Anche le società private tendono a spendere molti soldi in pareri di ditte di consulenza che non sono affatto necessari per le decisioni di per se, ma che servono soprattutto a costituire una protezione in caso di inchieste giudiziarie.   

Uno dei fattori che rallenta l’erogazione dei tanti aiuti appena decisi dal nostro governo è la paura di funzionari pubblici e dirigenti bancari di ritrovarsi invischiati in inchieste giudiziarie. Accelerare i tempi di realizzazione degli investimenti e delle spese pubbliche richiederebbe un intervento anche in questo campo.   Ma l’azione dei giudici ha il sostegno di gran parte dell’opinione pubblica.   Quale governo avrebbe il coraggio di intervenire in questo campo, già di per se molto difficile?

Un quarto fattore è legato allo spirito giuridico con il quale la nostra opinione pubblica vede il funzionamento dello stato. In tante situazioni non si deve cercare la perfezione, ma un risultato globalmente soddisfacente. Un esempio. Tutti sappiamo che nei supermercati della merce viene rubata, il fenomeno è chiamato “taccheggio“. Per eliminarlo completamente sarebbe necessario perquisire tutti i clienti che escono da un supermercato. La cosa non renderebbe l’andare a fare la spesa un’operazione molto simpatica. I supermercati prendono quindi delle misure di protezione ragionevoli e sono soddisfatti se le perdite dovute al taccheggio sono limitate a qualche punto percentuale delle vendite totali. 

Un approccio simile guida anche l’organizzazione di molte pubbliche amministrazioni di altri paesi. Fintantoché un problema non diventa significativo non è necessario intervenire.

Ma quando la nostra opinione pubblica pensa alla maniera di operare della pubblica amministrazione ricade su di un approccio giuridico: il furto è furto, che sia per 50 centesimi o per cinquemila euro. Tutte le regole che abbiamo creato per la nostra pubblica amministrazione costituiscono l’equivalente amministrativo della perquisizione dei clienti dei supermercati

Eppure sappiamo che in molti altri paesi industrializzati si usano molto meno certificati che da noi. Perché non possiamo prendere esempio dall’esperienza degli altri paesi?

Un quinto fattore è una certa mancanza di pragmatismo. Nei paesi anglo-sassoni (e non solo) molto spesso si interviene con delle norme quando un fenomeno si è sviluppato e sta presentando alcuni problemi. 

In Italia invece quasi sempre non si permette di lanciare una nuova attività prima che questa sia stata regolamentata. Questo porta le nostre migliori menti giuridiche ad immaginare tutti i casi possibili immaginabili di sviluppi negativi e a prevedere norme per evitarli. 

Questo porta a norme estremamente complicate che in buona parte sono scritte per evitare rischi che forse non si presenteranno mai.

Un sesto fattore che spiega la “burocrazia” italiana è la mancanza di manutenzione delle leggi. Purtroppo la manutenzione non è qualcosa di politicamente molto attraente nel mondo politico; non permette annunci, comunicati stampa e interviste. Eppure è assolutamente necessaria come la storia recente italiana ci ha ricordato per altri campi ancora più importanti.

Le leggi hanno bisogno di una manutenzione come qualsiasi altra cosa. Bisogna esaminarne periodicamente l’applicazione per vedere in che misura sono state efficaci. Un esempio: a cosa servono i “certificati antimafia“? A poco o nulla nell’opinione di tutti gli esperti. Si è arrivati alla situazione paradossale che la legge è arrivata a stabilire che le gare di appalto possono essere chiuse anche se questi certificati non sono ancora disponibili. Ma quale sarebbe la reazione dell’opinione pubblica italiana se un governo ne proponesse l’abolizione?

E bisogna regolarmente procedere a delle codificazioni. Abbiamo tantissime leggi che coprono uno stesso fenomeno. Ogni volta si è voluto, giustamente, coprire un aspetto diverso del fenomeno. Ma periodicamente è necessario riunire tutte le leggi su di un certo problema in un unico testo coerente. Ma questa è un’operazione complicata e difficile perché a volte le diverse leggi contengono delle incoerenze che possono essere risolte solo con nuove scelte politiche. 
 
Sarebbe poi anche necessario utilizzare gli strumenti che sono stati previsti per migliorare la qualità delle nuove leggi : le analisi di impatto.   
Ma le leggi vengono quasi sempre prodotte all’ultimo minuto e i partiti non amano che le analisi di impatto mettano in evidenza le falle dei compromessi politici faticosamente raggiunti. Ma il problema grosso è che l’opinione pubblica non riconosce il valore degli sforzi fatti per migliorare la qualità delle nostre leggi. Quanti hanno sentito parlare di analisi di impatto o codificazione delle leggi?

Un ultimo fattore è l’ipocrisia nell’imporre nuove norme senza preoccuparsi della loro applicazione pratica che negli ultimi tempi è diventata regola. Da molti anni, buona parte dei provvedimenti legislativi che introducono una nuova norma o dei nuovi controlli contengono un articolo standard che stabilisce che l’applicazione della nuova legge non deve comportare costi per il bilancio dello stato e che la pubblica amministrazione dovrà far fronte ai nuovi compiti con le risorse di cui dispone. 

Come stupirsi se le grida manzoniane che vengono spesso adottate non sembrano poi avere un grande effetto? Ma quanto parlano i media di questo problema? Quanto ne parlano i partiti politici?

Le dimensioni del problema della “burocrazia” nel nostro paese sono diventate veramente preoccupanti. Questa costituisce una grossa palla al piede per la nostra società. Costituisce anche un freno per lo sviluppo delle attività economiche. Molte inchieste mostrano, per esempio, che i potenziali investitori sono sicuramente scoraggiati dall’alto livello dei prelievi fiscali e previdenziali, ma temono ancora di più la complessità amministrativa della loro riscossione. L’esodo di una parte consistente dell’industria della moda dalla Lombardia verso il Canton Ticino non è stato certo dovuto alla volontà di risparmiare sul costo del lavoro.

Ma per ridurre la burocrazia serve un governo molto coraggioso che abbia il coraggio di andare contro molte aspettative della nostra opinione pubblica. Sarebbe bello se i media aiutassero a prendere coscienza dei termini in cui si pone il problema. Lottare contro la corruzione, contro l’evasione fiscale, contro la criminalità organizzata – tanto per citare alcuni dei tanti obiettivi dell’azione pubblica – sono cose importantissime. Ma ogni misura presa per raggiungere questi obiettivi produce quasi sempre burocrazia supplementare. La burocrazia può essere ridotta solo accettando dei compromessi.   

Bisognerebbe almeno rendersi conto che nella maggior parte degli altri paesi industrializzati non esistono molte delle norme e delle procedure che noi abbiamo. Eppure si vive bene anche in questi paesi, e spesso meglio che da noi.

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