Le grandi imprese scoprono l’estero e dimenticano l’Italia

Globalizzazione, boom della tassazione, insicurezza, necessità di ampliare il proprio mercato: sono queste alcune delle motivazioni che inducono gli imprenditori italiani a guardare con sempre maggiore interesse alle opportunità offerte dall’estero ed in particolare dalla UE.

Come riportato qualche giorno fa dal Corriere della Sera, in Polonia abbiamo una presenza crescente di imprenditori italiani che utilizzano il territorio come hub per l’Europa centrale. I dati parlano di quasi 4000 italiani residenti. Discorso similare anche per la Romania dove l’abbondanza di finanziamenti europei abbinata ad una struttura molto agile delle realtà governative, consente di ridurre al minimo il fattore burocrazia. Le colonie italiane in Romania superano abbondantemente le 50 mila persone.

Il discorso può essere affrontato anche sotto un’ottica differente: le imprese italiane sono divenute appetibili per gli Stati esteri che hanno posto in essere una serie di politiche dirette alla conquista dei brand italiani . Considerando che i dati non sono un’opinione abbiamo un + 3,7% di vendite italiane in UE nel 2012 a documentare questa improvvisa esterofilia italiana. In Emilia Romagna l’Ente Camerale ha pubblicato la pagina http://www.ucer.camcom.it/ per supportare le imprese locali che intendono investire all’estero.

L’ICE ha registrato la partecipazione di ben 36 aziende italiane per la fiera WIRE RUSSIA 2013 , dedicata ad un settore di nicchia come quello delle macchine per la lavorazione del filo metallico e dei cavi a fibra ottica. Anche il Cinema Italiano prepara una sorta di road show estero nel biennio 2013-2014.

Diversi studiosi si pongono interrogativi su pro e contro di questa nuova tendenza. Tra i vantaggi per il nostro sistema annoveriamo senza ombra di dubbio la capacità delle realtà italiane di acquisire know how innovativo che viene “spalmato” anche nelle esperienze nostrane. Per ciò che concerne gli aspetti negativi abbiamo la potenziale fuga di tutte le realtà più interessanti.

L’Unione Europea diviene in maniera paradossale un mercato competitor di quello italiano, in grado di fagocitare il meglio, lasciando in patria solo quelle piccole realtà ancora immature per un’esperienza globale. Internazionalizzazione si , internazionalizzazione no: e se la chiave di lettura fosse auspicare politiche nazionali in grado di attirare investimenti esteri nel nostro Paese in maniera tale da creare uno scambio osmotico con il resto del mondo? Per ora possiamo solo aspirare ad una buona collocazione all’estero, sperando che per tutto il resto non sia troppo tardi.

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