Super Santos: quando l’infanzia era ancora gioco all’aria aperta

Quando l’infanzia era ancora gioco, quando non esistano playstation e smartphone, quando i bambini si divertivano all’aperto senza essere scrutati dall’occhio ossessivamente vigile dei genitori, c’era un super eroe che rimbalzava nei campi, nelle spiagge  e nelle ville comunali di tutto il mondo: il pallone di gomma.

Non servivano campi di calcio in erba curata all’inglese e nemmeno essere schierati in perfetta divisa da calciatore per tirare i classici quattro calci al pallone che solevamo dare quando ci portavano ai giardinetti sotto casa; bastava semplicemente qualche amico per fare le squadre.

Le ragazze erano viste malvolentieri in questo gioco che, negli anni ’70, era prettamente maschile, ma se qualcuna ci sapeva veramente fare ed accettava il classico ruolo di maschiaccio allora era persino bene accetta.

Una cosa, però era assolutamente indispensabile: un bel pallone di gomma, non importa di quale colore, né se ad esagoni o tinta unita; bastava che rimbalzasse per terra e che si lasciasse calciare. Ed è proprio di quest’oggetto, cosi sferico e semplice, così banale e fragile, ma che costituiva il punto di partenza dei nostri sogni di gloria, che voglio parlare oggi.

Per i più piccoli l’ideale era il SUPER-TELE che non era in realtà di gomma, ma di una plastica sottile, sottile; leggerissimo (troppo) e di consistenza impalpabile, bastava un tocco e volava via disegnando improbabili traiettorie; se c’era vento bisognava corrergli dietro sudando le classiche sette camicie e si faceva più fatica a rincorrere questa parvenza di pallone che l’avversario stesso perché, il SUPER-TELE, non ne voleva proprio sapere di farti intuire dove andava. Era il terrore dei portieri in erba che, sebbene non avrebbero mai preso la classica pallonata in faccia che lasciava il segno, difficilmente avrebbero bloccato anche quel dannato pallone, che, se fortunosamente calciato in porta, avrebbe probabilmente varcato l’ipotetica linea bianca sbeffeggiando l’abbozzo di parata del portierino.

Quelli meno piccoli rifiutavano, spesso e volentieri, di giocare con questo scherzo della natura che veniva proposto generalmente a fondo blu con esagoni neri oppure rosso sempre ad esagoni neri, oltre, ovviamente, alla canonica versione bianco-nero. La scritta SUPER-TELE era in bell’evidenza quasi ad ammonire, da lontano, i giocatori che quella non sarebbe stata una partita di calcio, ma una comica di ridolini. Il successo di questo pallone fu però incredibile, forse perché costava poco rispetto agli altri e risultava il regalo preferito delle mamme attente all’economia domestica; in fondo in fondo, anche se pazzerello, era sempre un pallone e si poteva, con le dovute riserve, prendere tranquillamente a calci.

Dove però il super-tele era imbattibile, e si vendicava di tutti gli insulti giornalieri di chi lo usava abitualmente, era sulle spiagge. Allora la sua leggerezza diventava essenziale per i palleggi ravvicinati a pallavolo, le ragazzine non si rovinavano le prime unghie leggermente acconciate, né rischiavano di farsi male e la gente, già molestata dal chiasso circostante, non poteva certo prendersela con un pallone leggero ed impalpabile come una piuma.
Inoltre era uno dei primi palloni che segnavano davvero l’inizio degli anni ’70 dove il classico colore cuoio tinta unita veniva, finalmente, sostituito dagli esagoni neri, come ai mondiali del Messico ed in fondo bastava questa credenziale per definirlo un pallone moderno.

Quando le esigenze richiedevano un pallone più qualificato, perché non si poteva rischiare di perdere una partita per le bizze di quella cosa che viene tutto sommato presa a calci, ecco che il mercato ci veniva in soccorso con uno splendido pallone; ad esagoni ben marcati, distintamente bianco neri, invece della penosa plastica del SUPER-TELE, il SAN SIRO era forgiato di gomma dura, aveva dimensioni regolamentari ed un peso considerevole; finalmente i più dotati potevano sbizzarrirsi in lanci calibrati e tiri d’effetto realmente voluti, i portieri non erano mortificati dalle bizze di un pallone sbarazzino o da un refolo di vento, ma semmai dalla bravura degli attaccanti e se un portiere era anche dotato, e non solo fortunato come nel caso del precedente pallone, poteva vantarsi di avere salvato il risultato e veniva festeggiato come l’eroe della partita. Se disgraziatamente il SAN SIRO si fosse bucato, evento assai improbabile, si riduceva di dimensioni, ma rimaneva comunque “giocabile” e ci permetteva di continuare. Davvero un fedele compagno.

L’alter-ego del SAN SIRO era il SUPER SANTOS che mantenendo le doti del precedente era dotato di un brillante colore arancio con esagoni neri. Tuttavia i mondiali infuriavano edizione dopo edizione e prima di arrivare al 1978 in Argentina con il nuovo design del TANGO tutti i palloni erano rigorosamente in bianco ad esagoni neri; anche il nostro campionato confermava la tendenza ed allora il SUPER SANTOS era battuto in partenza; a parità di costi la scelta di noi calciatori era quasi sempre indirizzata sul SAN SIRO; ovvio che avremmo comprato anche una sfera di spugna piuttosto che non giocare, ma quel colore arancio che ricordava maggiormente una partita da basket che una di calcio non si sposava felicemente con la fantasia di un bambino. Però, quando nevicava e le partite di campionato si dovevano giocare su un campo spolverato di una soffice enorme chiazza bianca si usava invece proprio il pallone arancione per motivi di visibilità; se la partita era importante, magari un derby tra Inter-Milan, ecco che, il giorno dopo, il SUPERSANTOS avrebbe potuto trovare una corsia preferenziale per essere utilizzato da noi prodi giocatori in erba, mentre, in possesso di palla, scandivamo uno per uno i mitici nomi dei campioni, eroi del giorno precedente.

Una strana versione del SUPER SANTOS era lo YASHIN, in omaggio al famoso portiere della nazionale russa, che differiva dal precedente perché l’arancione era sostituito dal meno appariscente marrone ed inoltre era di una pesantezza inaudita; forse il nome costituiva una garanzia per i portieri perché per calciare quel pallone ci voleva una tale forza che sovente la sfera giungeva lemme, lemme tra le braccia dell’estremo difensore che, a meno di un’improbabile distrazione o perché realmente impedito, riusciva sempre a farla sua. Quando però qualcuno riusciva a colpire questo maledetto pallone nella maniera giusta, allora immancabilmente piazzava la classica cannonata, quella che sarebbe probabilmente finita in rete piuttosto che ammaccare la portiera di una macchina posteggiata incautamente nelle vicinanze o che avrebbe fatto piangere e contorcere dal dolore il malcapitato portierino che aveva indovinato la traiettoria giusta. Meglio il SUPER SANTOS credetemi.

Simile ancora al SUPER SANTOS, da cui riprendeva il disegno, era un pallone denominato DINAMO solo che, invece d’essere arancione, era bianco; non è che cambiasse molto in consistenza, ma era un piacevole diversivo.

Un altro pallone abbastanza oscuro che però ricordo bene, a parte il nome che mi sfugge, era costituito da cerchi e non da esagoni; buona la consistenza e discreta la giocabilità, tuttavia si trattò di una vera e propria meteora e non so quanti tra voi se lo ricorderanno. Era in voga nei primissimi anni settanta.

Invece un’altra sfera accettata di buon grado era il DERBY che venne distribuito qualche anno dopo lo YASHIN. Di colore giallo e con le canalette che formavano le figure geometriche di colore nero, era bellissimo a vedersi, relativamente pesante, ma estremamente ben bilanciato quindi si poteva giocare con poca fatica. Insieme al SAN SIRO, forse il miglior pallone del lotto.

Arriviamo al fatidico 1978 quando il pallone ad esagoni bianco neri fu mandato in pensione per far posto al rinnovamento dell’Adidas: il famosissimo TANGO. Il nome omaggiava l’Argentina, dove si sarebbero svolti i mondiali in quell’anno ed in ossequio a questa nuova disposizione anche i distributori di palloni e, di conseguenza, i bambini si adeguarono volentieri.

Con il passare degli anni il peso si era ormai standardizzato e si era giunti al compromesso di una discreta pesantezza supportata da una docilità al tocco davvero impensabile per i primi anni settanta. Quindi era solo una questione di design. Il TANGO aveva sì gli esagoni, ma abilmente formati da piccoli triangoli convessi che messi in posizione a stella delimitavano la figura geometrica principale. Un bel vedere in ogni caso ed una ventata di novità unita sapientemente ad un’operazione di marketing finemente studiata. I vecchi palloni a “scacchi” venivano relegati in cantine e soffitte perché ormai giocare con il TANGO era diventata una vera e propria moda. Esistevano varie versioni da quella descritta in precedenza, la migliore, alle più economiche che però riconducevano, in certi casi, alle problematiche del SUPER-TELE poiché, per risparmio, il materiale usato era scadente e leggero; ormai però non c’importava più di tanto. Il design era la cosa che contava di più in ossequio alle disposizioni sempre più tendenti all’aggressivo dominio del “look”, prerogativa degli anni ottanta che si stavano avvicinando a grandi passi.

La nostra partiva iniziava appena nel giardinetto compariva un pallone e non importava quale tipo sopra descritto perché, in ogni caso, si giocava sempre e comunque, mentre la nostra sfida finiva solamente per due unici motivi: le mamme che ci richiamavano all’ordine perché era ora di tornare a casa ed allora riuscivamo quasi sempre a strappare ulteriori 15 minuti di tempi supplementari, oppure il pallone finiva su un albero altissimo o sotto una macchina in corsa che lo distruggeva ed allora nessun tempo supplementare poteva consolarci; ci attendeva unicamente un ritorno anticipato a casa che più mesto non poteva essere, soprattutto per il proprietario del pallone stesso che perdeva sicuramente un amico fedele che per di più si lasciava prendere a calci.

Simona Buonaura
Informazioni su Simona Buonaura 6 Articoli
Giornalista dal 2001, dal 2013 Giornalista professionista. Laureata in lettere moderne presso l'Università Federico II di Napoli con indirizzo Musica Spettacolo e Comunicazione di Massa. Dopo la laurea ha seguito un corso di alta formazione presso l'università Orientale di Napoli dal titolo "Innovazione e semplificazione della Pubblica Amministrazione". Al termine del corso si è trasferita a Milano dove ha seguito un corso di alta formazione dal titolo "Project manager eventi culturali" il corso che puntava a preparare una nuova figura professionale, è terminato con uno stage presso il Teatro Piccolo di Milano dove ha preso parte alla preparazione, come aiuto produzione, dello spettacolo teatrale di Franco Branciaroli "Cos'è l'amore" con la regia di Claudio Longhi. Ritornata a Napoli, dopo un'interessante parentesi milanese, si è dedicata alla docenza di Marketing e Comunicazione ed alla redazione di articoli. Dal 2008 è il Direttore Responsabile della rivista ufficiale dell'Associazione Pasticcieri Napoletani "La voce del Pasticciere". Attualmente è corrispondente in Campania per Pasticceria Internazionale e per la rivista Sipario.

1 Commento

  1. no no assolutamente meglio lo yashin: dimensione e peso regolamentari, plastica anticarro caricata con uranio impoverito e amianto, ma non ve ne sono tracce sul web; era un pallone per veri duri, protagonista delle sfide all’ ultimo sangue degli oratori SanBiagio vs SanPietro… se venivi colpito da un tiro in controbalzo ti sollevava da terra e ti mandava in porta con tutta la palla e il portiere compreso. gli altri palloni, santos e tele li buttavamo dai carri di carnevale, non erano assolutamente ultilizzabili in partite serie, a meno che non stiamo parlando di bambini sotto gli 8 anni…

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