Gli operatori economici del mercato nazionale ed internazionale non sono soliti aggiungere, nel calcolo della redditività di un’operazione commerciale, la variabile diritti umani.
Effettivamente, la questione del rispetto o meno di tali diritti appare un po’ come un tema teorico, lontano dalle valutazioni numeriche e riservato alle multinazionali che si fanno vanto di un codice etico rispettoso della Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite.
Invece, la questione ci riguarda da vicino, molto da vicino.
Operazioni che si realizzano o meno, tra Stati o multinazionali, imposizioni di dazi, embarghi, hanno un riflesso sulle tasche delle PMI e anche dei consumatori finali.
E, sempre più sovente, la causa del mancato perfezionamento di un accordo commerciale o di una transazione, non è la disparità di vedute economiche, bensì un’accertata violazione dei diritti fondamentali.
Nel mese di Agosto, due casi di cronaca di estremo interesse dimostrano quanto i diritti umani influiscano sull’economia e, di conseguenza, sulla vita dei consumatori.
Dal 12 agosto sono scattati i dazi commerciali per l’importazione di una serie di prodotti dalla Cambogia. Più precisamente, è diventata effettiva la decisione dell’Unione Europea di sospendere il regime “duty free” per il 20% circa delle esportazioni della Cambogia verso l’UE a causa di reiterate e gravi violazioni, da parte del Paese asiatico, dei diritti umani.
I vantaggi commerciali garantiti dall’EBA sono, quindi, temporaneamente sospesi per alcuni dei prodotti di esportazione tipici della Cambogia, quali gli articoli di abbigliamento, calzaturieri e da viaggio. Il trattamento preferenziale di cui ha beneficiato lo Stato del Sud-est asiatico rientra nel quadro di “Tutto tranne le armi” (Everything but Arms – “EBA”), il regime commerciale dell’UE che garantisce unilateralmente l’accesso esente da dazi e quote al mercato europeo per tutti i prodotti – tranne armi e munizioni appunto – dei paesi meno sviluppati del mondo, come definito dalle Nazioni Unite.
Altro caso è la rescissione degli accordi tra BLAST e Riot Games – importanti strutture che organizzano competizioni mondiali – da una parte, e NEOM, dall’altra parte.
Neom è il progetto dell’Arabia Saudita per creare in quel Paese una società molto sviluppata, non basata esclusivamente sul commercio del petrolio, bensì orientata all’innovazione tecnologica. Lo Stato arabo mira così a diventare uno dei leader mondiali in campo tecnologico: settore di rilievo sarà quello dell’e-Sport. Proprio su questo punto avrebbe dovuto poggiare l’accordo tra NEOM, BLAST (per tutti gli eventi organizzati dalla società in futuro) e Riot Games (per il campionato europeo di League of Legends, il LEC); entrambe le società hanno, tuttavia, deciso di mettere fine alla partnership per il bassissimo rispetto dei diritti umani e civili della nazione islamica, al centro di forti critiche online da parte di membri della community, dei commentatori e persino degli impiegati delle aziende stesse.
È evidente, in entrambi i casi, l’influenza sull’indotto di attività, prodotti e servizi di cui le PMI UE o internazionali avrebbero potuto beneficiare.
In base alla consapevolezza e al richiesto rispetto dei diritti umani, quindi, l’Unione Europea e le potenze economiche mondiali, in termini di aziende con grande potenziale economico, spostano i loro interessi economici e decidono se avere rapporti commerciali con Paesi, aziende, strutture, associazioni o gruppi a seconda che questi rispettino o meno i diritti umani, spesso rinunciando ad importanti utili.
Il prezzo di un prodotto per il consumatore finale, o la creazione di un ramo di mercato per le aziende, dipendono spesso da decisioni a livelli superiori, sempre più spesso basate sull’applicazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.