Pochi giorni fa è stata pubblicata una sentenza della Cassazione Lavoro che, visto dall’inizio dell’anno il verificarsi di infortuni spesso mortali con ampia risonanza sui mass media nazionali, vale la pena di proporre ai lettori che svolgono attività imprenditoriale e i cui principi devono costituire un monito ineludibile per chi, come loro, deve preoccuparsi della sicurezza dei propri dipendenti sul luogo di lavoro anche se messo a disposizione dal proprietario committente in occasione di un appalto.
Il fatto in breve. Un dipendente di una cooperativa si rivolgeva al giudice del lavoro del Tribunale di Udine per ottenere il risarcimento dei danni a seguito di un infortunio patito in occasione di attività lavorativa e precisamente “mentre era intento a praticare dei fori con un macchinario all’interno di una galleria ferroviaria in costruzione, era esplosa una carica rimasta nascosta”, ma sia in primo grado che in appello la sua domanda veniva inopinatamente respinta.
La tesi dei giudicanti traeva fondamento dagli esiti dell’istruttoria svolta dinanzi il Tribunale da cui era risultato che il fatto dannoso non era riconducibile ad un comportamento colposo del personale preposto al controllo del sito, il quale aveva provveduto alla preparazione della parete ove si sarebbero dovute posizionare le nuove cariche esplosive, né sarebbe risultata, secondo il Tribunale, una responsabilità del datore di lavoro, non essendovi sul sito segnali di pericolo per la esistenza di cariche rimaste inesplose.
Il lavoratore pertanto ricorreva alla Corte di Cassazione e la sezione lavoro ha deciso la controversia con la sentenza n. 5957 pubblicata il 12 marzo 2018, ritenendo fondati i motivi e dunque accogliendo il ricorso.
Partendo dalla ricostruzione del fatto effettuato da parte del ricorrente in primo grado la sera dell’infortunio “dopo aver proceduto ad una prima esplosione, aver liberato il campo dai detriti ed aver consolidato la parete rocciosa con un getto di calcestruzzo, venivano segnati con vernice i punti ove dovevano essere praticati i fori per l’inserimento delle nuove cariche esplosive e veniva dato ordine di eseguire gli ulteriori fori. Nel mentre il lavoratore stava praticando un foro ad un’altezza di circa un metro, si verificava un’esplosione ed egli veniva investito da una quantità notevole di detriti…“.
La descrizione della dinamica degli eventi che avevano portato all’infortunio permetteva di rilevare che la causa del pregiudizio alla salute patito dal ricorrente era costituita dall’esplosione di materiale impiegato nella frantumazione di una parete rocciosa all’interno del cantiere di pertinenza, se non di proprietà, del datore di lavoro a seguito dell’appalto concluso con il committente.
L’art. 2087 del codice civile sancisce in via generale un obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore e detto obbligo si concretizza poi nel rispetto della circostanziata e puntuale disciplina di settore concernente gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e le misure di prevenzione.
L’art.2087 c.c. impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti “con l’adozione – ed il mantenimento perfettamente funzionale – non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente”.
La responsabilità dell’imprenditore-datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, considerando che il contratto individuale di lavoro risulta integrato ex lege ai sensi dell’art.1374 c.c. dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza a tutela del dipendente e a carico del datore.
Quanto alla prova a carico del lavoratore che deduca di aver patito un danno causato da infortunio sul lavoro, la sua difesa dovrà allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile, ovvero di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza mettendo in atto ogni misura per evitarlo.
L’art. 2051 del codice civile, applicabile al datore di lavoro, dispone che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.” e costituisce la cosiddetta culpa in vigilando.
Nel caso di specie si configurava un contratto di appalto in cui la consegna dell’area di proprietà del committente è di regola sufficiente a trasferirne la custodia esclusiva al datore ed è richiesta, per la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ., “la sussistenza d’una relazione diretta fra la cosa e l’evento dannoso, ed il potere fisico del soggetto sulla cosa, da cui discende l’obbligo di controllarla in modo da impedire che la cosa causi danni”.
In tale situazione, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 del codice civile, nell’ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e inoltre abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare “sussiste una presunzione di colpa a carico del datore che è nel contempo custode della cosa da cui il danno deriva, scaturente dalla concorrente applicabilità degli artt.2051 e 2087 c.c., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell’avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche, ovvero dall’accertamento di un comportamento abnorme del lavoratore e, ove non sia in discussione la colpa di quest’ultimo, nel caso fortuito che si invera, ex art.2051 cod. civ. nella natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso”.
Nel caso in questione il giudice di merito aveva disatteso tali principi previsti dagli art. 2051 e 2018 c.c. e la difesa del lavoratore, sin dal ricorso iniziale, aveva indicato i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti e ricondotto la causa dei danni all’esplosione verificatasi nella galleria.
Pertanto, secondo il giudice di legittimità non era ravvisabile alcun elemento ostativo alla individuazione dell’art. 2051 c.c. quale concorrente titolo di responsabilità a carico della parte datoriale in ordine alla causazione dell’evento dannoso.
La Corte di Piazza Cavour, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha rinviato il giudizio alla Corte di Appello di Trieste in diversa composizione formulando il principio di diritto di seguito riportato cui il Giudice del rinvio dovrà attenersi “nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia – con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa – ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) e 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro) una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito“.
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