La storia di Vivendi è lunga e contorta, una saga lunga un secolo e mezzo. Il colosso francese come lo conosciamo oggi nasce nel 1996 dall’intuizione di Jean-Marie Messier (meglio noto come J6M) sulle ceneri della Compagnie Générale des Eaux (CGE).
Compagnie Générale des Eaux
CGE fu costituita nel 1853 per fornire il servizio di distribuzione di acqua potabile del Comune di Lione.e negli anni successivi si sviluppò dimensionalmente acquisendo contratti per la gestione della rete idrica dei principali Comuni francesi tra cui Nantes, Parigi e Nizza.
La strategia venne cambiata sostanzialmente nel 1884 con l’ingresso nel business del trattamento delle acque di scolo. Una prima importante estensione delle combinazioni economiche alla quale ne seguì una seconda dopo circa una ventina di anni, con l’avvio delle attività di costruzione e gestione in outsourcing di infrastrutture per il trasporto e la distribuzione.
La forte focalizzazione nella filiera dell’acqua divenne un tratto distintivo del gruppo fino all’inizio degli anni sessanta quando si intraprese un articolato percorso di diversificazione in settori di attività non sempre correlati con quelli iniziali. Negli anni settanta il disegno strategico complessivo non venne modificato anche se si allocarono maggiori risorse per accelerare un processo di internazionalizzazione ritenuto ormai inevitabile, CGE era diventata troppo grande per continuare ad operare nel solo mercato domestico.
Gli anni ottanta furono segnati dall’avvio di una nuova fase di crescita non più guidata dal semplice desiderio di internazionalizzarsi o di consolidare le posizioni conquistate, bensì sospinta dall’ambizione di diversificare le attività, di crescere modificando l’ambito competitivo e, quindi, l’architettura strategica complessiva.
L’era Messier – La Grandeur
Nel 1996 viene affidata all’allora quarantenne alto dirigente statale, la direzione della Compagnie Générale des Eaux. Messier riorganizza rapidamente il gruppo intorno alle attività ambientali (acqua, energia, nettezza urbana e trasporti pubblici) e delle comunicazioni, nella scia ascensionale della filiale di telefonia Cegetel.
Sedotto dalla prospettive del multimediale e sull’onda della forte crescita economica europea, Messier lancia CGE, ribattezzata Vivendi nel 1998, attraverso una serie di acquisizioni molto pubblicizzate attraverso i media con slogan del tipo : “abbiamo i tubi, compriamo i contenuti”. Per prima è assorbita la società francese di editoria e comunicazione Havas, poi è il turno di uno dei leader americani di software educational e giochi, finché Vivendi non crea, con Vodaphone, il suo portale Internet, Vizzavi.
Il culmine arriva nel 2000 con la creazione di Vivendi Universal, risultato della fusione con Canal+ (primo gruppo europeo della televisione a pagamento e di quella digitale, maggiore attore della produzione audiovisiva) e il canadese Seagram (gruppo mondiale di media e comunicazioni, molto presente nel cinema e nella musica). La transazione fa scalpore e sconvolge il mondo del cinema, perché è la prima volta che una struttura europea mette le mani su un grosso studio hollywoodiano come Universal.
Nel settembre 2000, l’entrata di Vivendi Universal a Wall Street è un trionfo e il gruppo trainato dal suo capitano d’industria è lontano dal sospettare che dietro il successo si celi già un abisso.
In caduta libera
La forza di Vivendi Universal risiede nella moltitudine di società, che insieme raggruppano 381mila dipendenti in oltre 100 Paesi, di cui 80mila nei settori dei media e della comunicazione.
Telecom e Internet, stampa-editoria-multimedia, musica, ambiente, senza dimenticare la televisione e il cinema (20mila dipendenti), l’appetito del gruppo francese non ha limiti.
E l’esplosione della bolla finanziaria delle nuove tecnologie a partire dal marzo 2000 non calma la fame di acquisizioni. Al contrario Jean-Marie Messier pensa dal 17 dicembre 2001 ad un nuovo grosso business: le televisioni del gruppo US Network, che Vivendi Universal paga 10 miliardi di dollari.
A capo della struttura Barry Diller, un ex dirigente della Paramount e della Fox che prende il comando del nuovo sotto gruppo, chiamato Vivendi Universal Entertainment (VUE). La transazione si concretizza su basi troppo alte per le casse di VU in un contesto di rallentamento economico aggravato dagli eventi dell’11 settembre 2001. E soprattutto in una conferenza stampa Jean-Marie Messier pronuncia una frase che in Francia avrà l’effetto di una bomba, annunciando “la morte dell’eccezione culturale”.
C’è da dire che Messier si è appena trasferito a New York e che da un anno riunisce le sue truppe per dei seminari nel parco dei divertimenti di Orlando, di proprietà Universal. La sua aspra battuta scatena la reazione della stampa e tutte le grandi personalità del mondo culturale francese si scagliano contro di lui. Il Presidente della Repubblica Jacques Chirac evoca l’argomento a gennaio, in televisione, apertamente preoccupato del rischio di vedere i gioielli francesi passare sotto controllo straniero. E’ l’inizio della fine per lo spumeggiante manager che ha il crudele privilegio di annunciare, nel marzo 2002, 13,6 miliardi di euro di perdite per VU nel 2001, un record nella storia finanziaria e industriale francese, il tutto coronato da un debito di 19 miliardi di euro per le attività legate a media e comunicazione.
Sulla corda, Jean-Marie Messier commette un altro errore, licenziando il 16 aprile Pierre Lescure, il presidente simbolo di Canal+, e questo scatena uno sciopero dei dipendenti della televisione, trasmesso in diretta. Gli eventi mediatici di cui ha saputo giocare nella sua ascesa si ritorcono contro Messier come un boomerang.
La mannaia cade il 30 giugno: il consiglio d’amministrazione spinge Jean-Marie Messier a dare le dimissioni mentre Vivendi Universal è sull’orlo del fallimento.
La fase di transizione
Nominato il 3 luglio 2001 alla testa del gruppo allo sbando, l’ex Amministratore delegato di Aventis, Jean-René Fourtou, eredita una situazione indubbiamente spinosa. Le banche gli concedono un primo prestito di 3 miliardi di euro per affrontare la crisi di liquidità e avviare un piano di cessioni per risanare le finanze di VU.
In tutte le filiali si avanzano delle ipotesi e l’importante ruolo di Canal+ nell’ambito del cinema francese fa salire la tensione. In luglio la prevista vendita di StudioCanal fa reagire l’Unione dei produttori di film e l’Associazione degli autori, registi e produttori (ARP) che temono che il ricco catalogo di film venga acquistato dagli americani.
Jean-René Fourtou annuncia un ampio programma di cessioni – 12 miliardi di euro su 18 mesi, di cui 5 miliardi prima della fine di marzo 2003 – la cui concretizzazione resta nebulosa, a parte le vendite quasi ultimate del polo della stampa generalista, del portale Internet Vizzavi, del settore tecnologico dei decoder Canal Plus Technologies e della filiale italiana di Canal+, Telepiù, venduta per un miliardo di euro a Rupert Murdoch (a meno di un cambiamento dell’ultimo minuto).
Nel 2003 Vivendi Universal cede Canal+ Technologies a Thomson (precedentemente chiamata Thomson Multimédia); TELE+ a News Corporation e a Telecom Italia.
Nel 2004 l’80% di Vivendi Universal Entertainment viene venduto a General Electric che lo fonde con la NBC per formare NBC Universal.
Nel 2006 Vivendi Universal modifica la propria denominazione in Vivendi SA. Universal Music Group annuncia l’acquisto dell’etichetta discografica tedesca BMG dalla Bertelsmann.
Nel 2012 il Consiglio di Sorveglianza di Vivendi decide di concentrare le attività del Gruppo su media e contenuti.
L’era Bollorè
Vincent Bolloré entra nel capitale di Vivendi nel 2013, attraverso una serie di operazioni incrociate.
Bolloré ha preso la guida dell’impero di famiglia nel 1981 e rappresenta la sesta generazione di una dinastia di imprenditori di origini bretoni la cui fortuna partì nel 1822 grazie alle cartiere.
Negli anni il finanziere francese è passato per il business del tabacco, l’energia, i trasporti, le telecomunicazioni, i media, guadagnandosi la fama di abile ‘raider’ e il nomignolo di ‘petit prince du cash flow’ (piccolo principe dei flussi di cassa). Oggi, con il suo gruppo, è il primo azionista di Vivendi (ha il 14% del capitale) e ne presiede il consiglio di sorveglianza.
In Francia ha lanciato anche il servizio di car sharing elettrico Autolib, per il quale aveva studiato con Pininfarina la Bluecar (oggi realizzata con Renault), ed è principale socio del colosso delle pubbliche relazioni Havas.
Negli ultimi anni la Vivendi di Vincent Bollorè ha aumentato le sue partecipazioni in Telecom Italia, dove è il primo azionista, e in Mediaset, una scalata ostile per la famiglia Berlusconi. Due partite ancora aperte e dal cui esito dipenderà in parte il futuro del capitalismo italiano.
Commenta per primo