Un paradiso fiscale è uno Stato che garantisce un prelievo fiscale basso o addirittura nullo su depositi bancari e utili aziendali. Una sorta di rifugio dall’alta tassazione sui redditi per il contribuente che trova conveniente stabilire in questi Paesi la sede di un’impresa (società offshore) oppure dove regole particolarmente rigide sul segreto bancario consentono di compiere transazioni coperte.
I paradisi fiscali si possono classificare in quattro categorie:
- Pure Tax Haven: non impone tasse, oppure solo una o più di valore nominale e garantisce l’assoluto segreto bancario, non scambiando informazioni con altri stati;
- No Taxation on Foreign Income: è tassato solo il reddito prodotto internamente;
- Low Taxation: modesta tassazione fiscale sul reddito ovunque generato;
- Special Taxation: Paesi dal regime fiscale impositivo paragonabile a quello dei Paesi considerati a tassazione normale, ma che permettono la costituzione di società particolarmente flessibili.
Le società offshore
Le società offshore sono quelle società registrate in paesi esteri, a volte lontani, e costituite in centri finanziari con regime fiscale contenuto, e procedure burocratiche semplificate. In questi Stati ancora esiste la tutela del segreto bancario intesa come diritto compreso fra i generali diritti alla dignità della propria privacy e della propria riservatezza.
La scelta, quindi, di creare società offshore in paesi esteri, molto spesso attraverso società fiduciarie, nasce proprio dall’esigenza di ricercare condizioni ambientali più favorevoli e pressione fiscale più contenuta.
Chi decide di aprire una società offshore lo fa in aree e in giurisdizioni dove il fisco è meno rapace e dove le procedure amministrative favoriscono agevolmente l’operatività delle imprese straniere, per questo motivo sono considerate aree privilegiate.
Il tesoro nascosto nei paradisi fiscali
Ventunomila miliardi di dollari tra il 1970 e il 2010. E’ il tesoro che in quarant’anni sarebbe stato depositato nei paradisi fiscali e che arriverebbe fino a trentaduemila, se si aggiungono i conti protetti, a bassissimo regime di tassazione, nei soliti luoghi, Svizzera, Cayman Islands, Bermuda, Irlanda, Singapore e via dicendo. Come prendere le intere economie di un anno di Stati Uniti e Giappone e nasconderle sotto il materasso.
Denaro non usato a scopi produttivi e nemmeno tassato nel luogo in cui è stato prodotto. Questa, poi, è solo la ricchezza finanziaria nascosta: non sono calcolate opere d’arte, immobili, gioielli, yacht domiciliati negli stessi paradisi.
Cifre colossali che emergono da uno studio realizzato, per il gruppo di attivisti Tax Justice Network, da James Henry, esperto di tassazione. Per arrivare a queste conclusioni, Henry ha incrociato una serie di fonti, compresi dati della Banca per i regolamenti internazionali (BRI) e del Fondo monetario Internazionale (FMI), dai quali emergono stime che forniscono una narrazione interessante dei movimenti della ricchezza nell’era della globalizzazione.
Tutto ciò è il risultato di movimenti di capitale, favoriti – spiega Henry nel rapporto – da uno stormo di facilitatori professionisti, altamente pagati e industriosi, operanti nei settori del private banking, della professione legale, della contabilità e dell’investimento.
Una parte di questi spostamenti sarebbe avvenuta in forma di flussi di capitale. Un’altra attraverso fatturazioni false. Dei 6.500 miliardi di dollari che, per esempio, sarebbero usciti illegalmente dai Paesi in via di sviluppo tra il 2000 e il 2008, quasi la metà deriverebbe da fatture truccate che hanno consentito di creare offshore patrimoni non identificabili dalle autorità: il 60% dalla Cina, l’11% dal Messico, il 5% dalla Malaysia, il 3% da India e Filippine. Nello stesso periodo, invece, sarebbero usciti per vie diverse, ma sempre illegali, 427 miliardi di dollari dalla Russia, 302 dall’Arabia Saudita, 268 dagli Emirati Arabi, 242 dal Kuwait, 152 dal Venezuela.
Va detto che la crisi economica ha rivitalizzato i paradisi fiscali, casseforti sicure per capitali in fuga, dove i benefici sono tutti da una sola parte. A tal proposito, i Paesi internazionali si stanno muovendo, tramite accordi, per attuare misure mirate a contrastare l’evasione a livello comunitario, in particolare contro i paradisi fiscali e la pianificazione fiscale aggressiva.
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