Questa crisi è stata definita la più grande dal secondo dopo guerra e, come tutti sanno, è stata generata da un certo tipo di finanza che non ha come scopo principale il sostegno all’economia reale. Non solo in Italia, ma particolarmente in Italia, la paura o meglio “la paura della paura”, ha già dato sfogo a psicosi e comportamenti di follia singola o di gruppo. Siamo alla soglia della paralisi civile e sociale.
Il problema c’è e non va sottovalutato. In un articolo pubblicato su ” La Stampa” del 29 ottobre 2012 titolato “L’handicap dell’impresa Italia”, un’inchiesta ha analizzato il famoso fattore H riuscendo a dimostrare che fatto 100 il profitto dell’impresa italiana, all’estero varrebbe 312.
Ormai la questione è trovare soluzioni ai problemi e non solo registrare i danni. Il rischio è quello citato dal coach Julio Velasco che parla di “Cultura degli Alibi”. In questo mondo d’immagini riflesse e dinamiche, sempre meno persone sono in grado di farsi ragione di cosa l’ambiente intorno a noi ci trasmette e tenta di farci capire. Sempre meno le persone riescono ad avere una preparazione conveniente e coerente nel cercare di trovare una chiave di lettura adatta per trasformare la crisi in opportunità. Sia chiaro: tutti i dati ed i fattori registrati e rappresentati non solo dall’inchiesta della Stampa, non sono da negare, ma a mio parere da considerare la logica conseguenza e non la causa di qualcosa che ne ha poi condotto fisicamente gli effetti alla nostra quotidianità.
Consideriamo per ogni macro un valore micro. La relazione fra le due estremità esiste, ma è sempre indiretta ed a catena lunga. Questo significa che, ad un problema di natura macro-economico, esempio il commercio cinese sleale in Europa, ne possiamo contrapporre un altro di natura micro-economico, penso uno su tanti ad unadatto modello di azione sul mercato. Fra questo binomio c’è sicuramente una relazione di causa-effetto, ma c’è anche la possibilità di agire liberamente su altre soluzioni che non hanno un rapporto diretto con il macro, ma che al contrario permettono non solo di trovare soluzioni adatte, ma soprattutto garantiscono di uscire dalla posizione di “assedio bloccante”. Se non fosse così, tutti soccomberebbero davanti ad una pressione altisonante che solo il macro sa fare sul micro.
Tutti analizzano i numeri, le statistiche, i report e poi, guarda caso, l’ultimo uragano Sandy su New York era stato analizzato in termini statistici dagli studiosi con lo 0,23% di rischio. Peccato che l’evento abbia portato la percentuale di realizzazione al 100% in pochissimo tempo! Quello che manca spesso è la visione “integrata e sistemica” prima della vita e poi del business di riferimento, altrimenti chiamato anche come approccio olistico, si ragiona troppo a scompartimenti stagni, si banalizza e ci si spaventa davanti al diverso e all’ignoto. Ad oggi in Italia, senza esagerare, il 75% delle persone ha in testa gli anni ’90, il 20% gli anni 70-80’ e forse solo il 5% ha capito ed è consapevole che siamo nel secondo decennio, del primo secolo, del terzo millennio.
La cultura dell’alibi, lo scarica barile (altrimenti detto), o le classiche frasi “non è stata colpa mia”, “tutti avrebbero fatto così”, il vittimismo, ed altro ancora, sono atteggiamenti e comportamenti capibili ma non adatti alla situazione.
Tutti sono arrabbiati, la maggior parte inneggia al “populismo”, molti odiano i ricchi, altri sono invidiosi dei risultati prodotti con sacrifici del passato, ma nessuno si prende la responsabilità del fatto che, pur essendoci tutti questi fattori, questo scenario, tra l’altro sicuramente da comprendere e valutare per raggiungere la migliore consapevolezza, niente e nessuno non deve assolutamente farci dimenticare di pensare che le soluzioni ai nostri problemi sono proprio davanti a noi. Siamo noi che non riusciamo a vederle. Tutto deve dipendere solo da noi, mentre allo stesso tempo tutti abbiamo bisogno degli altri per capirle e renderle nostre.
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