Il primo passo verso una giustizia garantista. Il disegno di legge in discussione rappresenta un passaggio dalla portata storica per il nostro ordinamento e, più in generale, per il sistema della giustizia italiana. Il ddl, tra le altre cose, prevede quattro punti essenziali: l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, la riduzione della rilevanza penale del traffico d’influenze, l’introduzione di elementi di fatto per agevolare l’attività difensiva e un giro di vite sulla pubblicazione dei contenuti derivanti dalle intercettazioni. “In questo modo cerchiamo di progredire verso una democrazia più matura, nel solco della Costituzione”. Ne è convinto Bartolomeo Romano, consigliere giuridico del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e responsabile del dipartimento Giustizia della Fondazione Luigi Einaudi, intervistato da Formiche.net.
Professor Romano, partiamo dall’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, oggetto peraltro di un aspro dibattito politico più che di merito. L’abolizione della fattispecie arriva dopo una serie di modifiche. Qual è stato il motore che ha mosso il governo a orientarsi in questa direzione?
L’abuso d’ufficio è uno dei reati maggiormente indeterminati e atipici che esistono nel nostro ordinamento. Oggetto, da anni, di diverse revisioni: nel 1990, nel 1997, nel 2012 e nel 2020. Si è deciso di abrogare la fattispecie prevista dall’articolo 323 c.p. sostanzialmente per garantire il rispetto pieno dell’articolo 25 della Costituzione: il principio di legalità, con il suo portato di necessaria determinatezza delle fattispecie incriminatrici. Deve essere la legge a fissare con precisione i contorni del reato; compito che non può essere delegato alla giurisprudenza. C’è, poi, un altro elemento. Ogni anno circa cinquemila procedimenti penali vengono aperti nei confronti di altrettante persone. Alla fine sono pochissimi quelli che sfociano in un processo e ancor meno sono le persone che vengono condannate.
Questo significa che ci sono migliaia di persone che, annualmente, vengono indagate.
Sì, ma la cosa più grave è che ci sono migliaia e migliaia di persone che vengono sottoposte a indagini senza neanche saperlo. Questa non è per nulla una prospettiva rassicurante. Infilarsi nella vita delle persone, radiografarne la quotidianità, senza che queste ultime neanche lo sappiano è un fatto gravissimo. Anzi: direi che è indice di una democrazia poco evoluta. Ci sono migliaia e migliaia di fascicoli (poi archiviati) che vengono aperti su persone ignare e peraltro per un reato che, fra quelli contro la pubblica amministrazione, è tra i meno gravi.
Il suo è uno sprone a concentrarsi su altre fattispecie più gravi?
Le statistiche dicono una cosa molto chiara: nella stragrande maggioranza dei casi nei quali si avvia un’indagine o un processo in cui si contesta l’abuso d’ufficio, l’esito è più o meno sempre lo stesso: o archiviazione o assoluzione. Nel frattempo, però, le persone hanno affrontato un vero e proprio calvario con anche preclusioni di prospettive di carriera laddove questi procedimenti coinvolgessero gli amministratori pubblici. L’impressione è che sia utilizzato, data la genericità della fattispecie, l’abuso d’ufficio come cavallo di Troia. Con gli esiti che sappiamo.
Anche il reato di traffico di influenze ha una formulazione abbastanza aleatoria e generica. Perché non abolire anche questa fattispecie?
Questo è un reato introdotto dalla legge “Severino”, e poi modificato dalla cosiddetta “Spazzacorrotti”. In linea di principio valgono le stesse considerazioni fatte per il reato di abuso d’ufficio. Peraltro gran parte dei processi che coinvolgono imputati per traffico d’influenze, sono in realtà l’esito di una “derubricazione”. Si parte, quasi sempre, dal contestare il reato di corruzione. Tuttavia, le convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito consigliano di non abrogare tout court il reato. Ritengo, comunque, che circoscrivere questa fattispecie sia comunque un fatto rilevante. Una modifica, ancora una volta, in senso garantista.
Uno dei punti cardine del ddl riguarda la riduzione del perimetro dei contenuti frutto di intercettazioni che verranno pubblicati.
In questo senso si intrecciano due esigenze: la tutela della riservatezza delle persone coinvolte e in particolare delle persone “terze”, e la opportunità di una più ampia conoscenza degli atti. In questo contesto si fissa un principio molto importante, sempre nel solco dei principi costituzionali: non c’è un divieto assoluto di pubblicare le intercettazioni, ma si richiede che non vengano pubblicati i documenti a meno che il contenuto intercettato sia “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”.
Come cambia, nei fatti, la formulazione dell’avviso di garanzia?
Tale avviso dovrà irrobustire la funzione di tutela dell’informazione a garanzia della persona sottoposta alle indagini, specificando che in essa debba essere contenuta una descrizione sommaria del fatto. Anche in questo caso, si è poi introdotto un criterio sul versante della notificazione teso a garantirne la riservatezza.
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