Costruire tessuti dalle bucce di arance o mattoni dal latte scaduto. L’economia circolare sta ridisegnando il futuro

Dal recupero di latte scaduto per farne mattoni per l’edilizia all’uso delle bucce delle arance per realizzare un tessuto e farne abiti, sono tanti gli esempi concreti di come attuare il concetto di economia circolare, le cui parole chiave sono riusare, riciclare, ridurre gli sprechi.

Aumentano gli imprenditori, inventori, visionari, sicuramente creativi che usano materie prime-seconde: materiali che per altri sono un rifiuto diventano, nelle loro mani, una risorsa.

E’ il caso di Orange Fiber che produce tessuti per il settore moda recuperando il “pastazzo” degli agrumi, cioè il residuo umido della spremitura delle arance.

Ogni anno si producono circa 700.000 tonnellate di questo scarto agricolo, che diversamente andrebbe smaltito, con dispendio di costi anche considerevoli. Orange Fiber recupera questo sottoprodotto della lavorazione estraendone una cellulosa che viene trasformata in un filato usato poi per tessere un tessuto di alta qualità, simile alla seta, che può essere colorato e stampato come ogni altro tipo di tessuto. Per poi creare abiti alla moda, eleganti e preziosi.

Se il settore fashion viene considerato uno dei maggiormente inquinanti, è anche uno di quelli più attivi ed attenti alla ricerca di soluzioni che riducano l’impatto ambientale delle loro produzioni.

Perciò le solette per scarpe realizzate a partire dagli scarti di cartiera potrebbero essere una delle opzioni per il calzaturiero, fiore all’occhiello della moda italiana.

Essity, multinazionale del settore dell’igiene e della salute con brand come Tena e Nuvenia, grazie alla collaborazione con Assocarta, riutilizza i fanghi generati dalla produzione di carta per attivare un ciclo virtuoso che porta alla produzione di nuovi manufatti, nella fattispecie, solette per scarpe. Attraverso questo processo si stima di riutilizzare 70 tonnellate di materia prima-seconda e di portare il riciclo dei fanghi recuperati dall’attuale 50% al 100%.

E’ invece il latte scaduto o in eccedenza, uno scarto dell’industria casearia e della GDO, il materiale che acquista nuova vita nel caso di Milk Brick.

La start up sarda estrae la proteina del latte, la caseina che, attraverso un processo di estrusione, viene trasformata in una fibra altamente isolante e traspirante che serve per produrre mattoni da usare nel campo edilizio.

Ci sono voluti 5 anni di ricerca per trovare un materiale dall’anima green che fosse una valida alternativa agli altri  isolanti derivati dal petrolio come, ad esempio, il polistirolo: questi mattoni infatti consentono di recuperare il 100% del latte altrimenti destinato allo smaltimento e di preservare un altro bene importantissimo quale l’acqua. Nella produzione infatti non è necessario l’utilizzo di acqua in quanto viene recuperata ed utilizzata quella ottenuta dal latte di scarto. Infine, i mattoni così prodotti sono completamente riciclabili perché l’isolante che essi contengono può essere sgretolato e riutilizzato.

Legato al settore delle costruzioni, più precisamente all’architettura d’interni, è un altro materiale innovativo ed ecologico, utilizzabile per creare top di cucine e mobili in generale. Si chiama PaperStone e lo produce un’azienda italiana, la Sadun.

I pannelli di PaperStone sono realizzati con carta e cartone riciclati al 100% certificati da FSC – il Forest Stewardship Council che certifica i materiali ottenuti dal legno, come la carta, appunto, proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile. Rispetto dell’ambiente che si traduce inoltre nella scelta di utilizzare, per la produzione di questo che è un materiale composito, resine Petro Free, ottenute cioè da sostanze naturali, in questo caso, dai gusci degli anacardi, prive di composti organici volatili e di formaldeide. Ne deriva un materiale resistente fino a 180° di temperatura, 100% idrorepellente, con certificazione di idoneità al contatto con gli alimenti, atossico e soprattutto, ecologico. Rispetto ad altri materiali compositi derivati da fibre vergini e che utilizzano resine prodotte dal petrolio, infatti, si risparmiano 2,33 litri di acqua ogni volta che viene prodotta una lastra di PaperStone di dimensioni 366 x 152 x 2,5 cm, riducendo di 57,6 Kg le emissioni di gas effetto serra e di 29,7 kg la produzione di rifiuti solidi. 

Come non annoverare la plastica in questa carrellata di prodotti virtuosi e spesso iper-tecnologici?

La plastica, è noto, rappresenta uno dei maggiori fattori di inquinamento, con effetti drammatici soprattutto per i mari. Riuscire a riciclarla e in quantità notevoli, sicuramente vorrebbe significare sottrarla al suo destino da inquinante.

E’ quello che riescono a fare alla Iterchimica, dove hanno messo a punto un asfalto riciclabile all’infinito, composto da polimeri derivati da rifiuti di plastica e da un supermodificante al grafene. Un prodotto tecnologico che aumenta la resistenza dell’asfalto del 250%, con performance altissime in quanto a resistenza agli agenti atmosferici e all’usura, riducendo considerevolmente in problema delle buche, cosicchè aumentando la durata del manto stradale, diminuiscono anche i costi di manutenzione e quelli per il nuovo materiale, visto che i materiali sono riciclabili al 100%, evitando di sfruttare nuove fonti di energia e di materia prima.

La coscienza ecologica delle aziende sta dunque crescendo e rappresenta sicuramente uno degli aspetti di sviluppo e di cambiamento del prossimo futuro insieme al digitale.

I consumatori giocano un ruolo importante perché sempre più persone scelgono i prodotti di acquistare in base alla storia che questi possono raccontare e dunque anche in base alla loro “anima” green. La triste circostanza dell’emergenza da Covid-19 ha dimostrato la crescente consapevolezza che ognuno, nel mondo, debba fare la propria parte.

L’80,4% degli italiani infatti ritiene che le piccole azioni quotidiane (nel nostro caso nell’ambito della tutela ambientale) possano fare la differenza, come emerge dai risultati dell’Osservatorio del Packaging del Largo Consumo appena realizzato da Nomisma, che ha anche evidenziato che ben il 94% degli italiani acquista prodotti rispettosi dell’ambiente semplicemente “perché è la cosa giusta da fare” . Le aziende, per reale policy o anche solo per questioni di marketing, non possono dunque ignorare questa tendenza che sta diventando un comportamento di routine dell’acquirente, sia rispetto ai beni di consumo che alle commodity.

Valentina Tafuri
Informazioni su Valentina Tafuri 19 Articoli
Giornalista free-lance. Ha all'attivo collaborazioni giornalistiche con varie riviste/giornali, sia della carta stampata (Focus, Donna Moderna, Focus Jr., Il Denaro, La Città, Riflessi) sia con siti web (direttore di www.ecodisalerno.com, ha collaborato con www.infocity.it). Si occupa anche di consulenza aziendale in qualità di addetto stampa e in ambito di comunicazione: piano di comunicazione, giornalista e addetto stampa, organizzazione fiere e meeting aziendali, content manager. Si occupa anche di traduzioni e attività commerciali con l'estero.