Gli effetti nocivi dei decreti sicurezza su protezione umanitaria, libertà di pensiero e lotta alle mafie

Gli effetti dei due decreti legge 113/2018 e 53/2019, meglio noti come “decreto sicurezza 1” e “decreto sicurezza bis” sono esplosi alla vigilia delle feste natalizie. Mentre il tema della richiesta della loro abrogazione tornava a farsi spazio nel dibattito pubblico, è arrivata una notizia molto grave che ha costretto il Viminale a rispondere e spiegare.

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Ci riferiamo all’uscita dalle strutture del sistema ex SPRAR (con la nuova legge, denominato SPROIMI) di migliaia di cittadini stranieri titolari di protezione umanitaria, alla scadenza dei progetti di accoglienza, prevista per il 31 dicembre.

Protezione umanitaria

In poche parole, dal momento che la protezione umanitaria è stata cancellata dai decreti e quindi non dà più diritto all’accoglienza, le migliaia di persone che ne sono titolari dovranno essere messe alla porta. Giovani, minori e famiglie con minori rischiano così di trovarsi in mezzo a una strada, senza alcuna tutela. Uno dei tanti effetti negativi di una normativa che non ha alcuna attinenza con la sicurezza, ma anzi ne stravolge il significato producendo il suo opposto, ossia l’insicurezza.

Il Viminale ha fatto sapere che nessuno verrà lasciato per strada e che il FAMI (Fondo asilo migrazione e integrazione) ha già pubblicato due avvisi riservati agli enti locali per finanziare iniziative di accompagnamento all’autonomia e all’inclusione, in modo da dare continuità ai progetti, utilizzando anche le strutture già in uso. Vedremo se davvero sarà così e se si riuscirà a evitare che, dal 31 dicembre, persone titolari di protezione possano trovarsi in ulteriori condizioni di vulnerabilità.

La questione della protezione umanitaria è, sin dalla stesura del primo decreto sicurezza (legge 132/2018), uno dei punti più controversi e dibattuti, sul quale peraltro si attende anche la pronuncia della Consulta, a causa del suo contrasto con diversi articoli della Costituzione. Nell’attesa, però, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno emesso una fondamentale sentenza (n. 29460/2019) che di fatto ha rimesso in discussione l’applicazione della norma sulla protezione umanitaria. Secondo quanto disposto dalla Corte, infatti, il decreto sicurezza 1 (dl 113/2018) non ha alcuna efficacia retroattiva. Questo significa che le sue disposizioni non possono in alcun modo applicarsi alle “domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge”.

Quindi, tali domande andranno valutate sulla base della precedente normativa e, in caso positivo, andrà riconosciuto un permesso per “casi speciali” di durata biennale convertibile alla sua scadenza. Tale sentenza, inoltre, ribadisce che “ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”. Una sentenza, dunque, che sconfessa l’impianto della nuova legge e il suo orientamento restrittivo, preceduto dalla circolare dell’ex ministro dell’Interno inviata alle commissioni territoriali nel luglio del 2018, con la quale di fatto si spingeva verso un aumento dei dinieghi. Ma la sentenza della Cassazione pone un freno anche a quanto disposto dal SIPROIMI circa la necessità di mettere i soggetti titolari di protezione umanitaria fuori dai progetti di accoglienza in scadenza.

La non retroattività sancita dalla sentenza n. 29460/2019, infatti, afferma la non applicazione della legge ai progetti risalenti a prima della sua entrata in vigore. Il caos sull’applicazione della legge nasce proprio dalla natura stessa delle normative prodotte dal precedente governo. Normative che avevano ricevuto critiche da parte di numerosi giuristi, costituzionalisti e anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il Capo dello Stato, infatti, in occasione della promulgazione del decreto sicurezza bis (legge 77/2019) ha posto due rilievi molto chiari e critici sulla legge, in particolare su alcuni aspetti. Innanzitutto, la previsione di una sanzione amministrativa spropositata (fino a un milione di euro) nei confronti delle navi che salvano i migranti. Una sproporzione rispetto alle eventuali condotte, che peraltro contrasta con una sentenza della Consulta che ha affermato che una sanzione amministrativa eccessivamente alta equivale a una sanzione penale.

Inoltre, il Presidente della Repubblica ha espresso dubbi sulla costituzionalità di alcune parti della legge 77/2019. Nello specifico, il riferimento è al primo articolo, nel quale si prevede la possibilità di vietare l’accesso alle acque territoriali italiane a navi di soccorso che trasportano naufraghi. Tali divieti violano il diritto internazionale e l’articolo 10 della Costituzione, che impone l’obbligo di rispettare i trattati internazionali e la loro supremazia normativa. In più viene messo a rischio anche quel dovere di solidarietà che è sancito dell’articolo 2 della Costituzione e che rischia di essere sanzionato da una legge che punisce chi, in nome di questo dovere, salva delle vite umane.

Ma non è tutto, perché i due decreti sicurezza non toccano solo la questione migranti, ma anche altri temi attinenti alla libertà di pensiero e al contrasto delle mafie.

Libertà di pensiero

Il primo punto è stato oggetto di rilievo da parte del presidente Mattarella, il quale ha espresso numerosi dubbi su un punto dell’articolo 16 della legge 77/2019, laddove si punisce indiscriminatamente chiunque commetta resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, senza alcuna differenza di “gradazione“. Scrive il Capo dello Stato che la norma “include un ampio numero di funzionari pubblici, statali, regionali, provinciali, comunali nonché soggetti privati che svolgono pubbliche funzioni, rientranti in varie e articolate categorie, tutti qualificati – secondo la giurisprudenza – pubblici ufficiali, sempre o in determinate circostanze”.

Una nota curiosa, sollevata da Mattarella, è la non inclusione dei magistrati tra i pubblici ufficiali rispetto ai quali è punito l’oltraggio. Per il resto, dai vigili urbani ai direttori degli uffici postali o dell’Agenzia delle Entrate, anche un semplice insulto nei loro riguardi, derivante da un momento di rabbia, viene considerato punibile con una pena di minimo sei mesi. Viene così meno la non punibilità per la tenuità del fatto.

Contrasto alle mafie

Problema identico anche per le manifestazioni pacifiche e non violente, come i sit-in, durante i quali le forze di polizia spostano di peso i manifestanti che occupano il suolo pubblico per protesta. Anche in questo caso, chi manifesta subisce una pena eccessiva, venendo equiparato a chi agisce con violenza.

Infine, altro elemento drammatico di questi decreti, è quello relativo al contrasto alle mafie. La questione è relativa ai beni confiscati alla criminalità organizzata. Quello della sottrazione del patrimonio, è un aspetto importantissimo nella lotta ai clan, e ci sono voluti anni e sacrifici di uomini valorosi per arrivare a introdurre nel nostro ordinamento misure di tipo economico. La più importante fu la legge 646/1982, cosiddetta “La Torre-Rognoni”, approvata dopo l’assassinio del segretario regionale ed ex deputato del Pci, Pio La Torre. Dopo, va segnalata la legge 109/96, che ha consentito il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati.

Una linea che viene messa in crisi dall’articolo 36 del primo decreto sicurezza, che consente la vendita all’asta per i beni di valore superiore a 400 mila euro, mentre prevede la vendita ai privati per quelli di valore inferiore. In questo modo si consente a soggetti privati (e quindi anche alle mafie, attraverso società “pulite” infarcite di prestanome) di riacquistare molti tra i beni confiscati (appartamenti, ville, fondi agricoli, ecc.) e, dopo 5 anni, poterli ulteriormente rivenderli. Uno schiaffo a chi lotta per la legalità e a quelle realtà e associazioni che non hanno i mezzi, spesso, per acquisire il bene a fini sociali.

Un favore a chi ha i mezzi per acquistarlo o rientrarne in possesso in forma legale. Insomma, le leggi derivanti dai due decreti sicurezza sono un problema per la sicurezza. Sono due leggi piene di norme discriminatorie e pericolose, dall’elevata portata incostituzionale, perfettamente inutili poiché basate su un concetto distorto di sicurezza. Il governo attuale dovrebbe avere il buonsenso di cancellarle e sostituirle con normative razionali, non fondate sulla paura e sulla discriminazione.

Anche perché gli effetti, come visto, si producono quotidianamente e, più passerà il tempo, più potrebbe risultare difficile aggiustare le lesioni di diritto che si stanno compiendo.

Informazioni su Massimiliano Perna 14 Articoli
Massimiliano Perna è autore e giornalista freelance. Siracusano, risiede in Sicilia dopo aver vissuto per molti anni a Milano, si occupa di diritti umani, temi sociali, legalità e ambiente. Ha pubblicato inchieste con diverse testate, tra cui Repubblica, Avvenire, l’Unità, Micromega.net, Liberainformazione, Terre di Mezzo, Altreconomia, L’Isola Possibile, Left, I Siciliani. Ha collaborato con RadioRai1 e Radio Popolare e, per una puntata, ha collaborato con la trasmissione di LA7, Propaganda Live. A febbraio 2019 ha ricevuto una menzione speciale al Premio Nazionale “Giuseppe Fava” Giovani. Ha all'attivo numerose pubblicazioni, tra saggi e antologie, e dirige il sito web di approfondimento e dibattito, www.ilmegafono.org, che ha fondato nel 2006. "57 Quarto Oggiaro" è il suo primo documentario.

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