Una piccola rivoluzione ha scosso i vertici del settore petrolifero cinese. A inizio maggio, infatti, il governo di Pechino ha rimescolato il top management delle grandi compagnie energetiche nazionali, CNPC, Sinopec e CNOOC, alimentando speculazioni sul nuovo corso della politica energetica cinese.
Zhou Jiping, della China National Petroleum Corporation (CNPC), il più grande gruppo energetico nazionale, ha lasciato il suo posto a due anni dal pensionamento. Ne eredita l’incarico Wang Yilin, che lascia la guida della China National Offshore Oil Corporation (CNOOC) – leader cinese in ambito offshore – all’ormai ex presidente Yang Hua. Ben più significativo, invece, l’avvicendamento di Fu Chengyu, dal 2011 alla guida di Sinopec, campione nazionale nel settore della raffinazione: Fu sarà infatti sostituito da Wang Yupu, vice direttore dell’accademia di ingegneria cinese e personaggio dal basso profilo internazionale.
Players globali in cerca di identità
CNPC è il maggiore gruppo energetico nazionale, primo produttore e fornitore di petrolio e gas naturale in Cina, nonché la terza compagnia al mondo davanti a major internazionali del calibro di ExxonMobil, Shell e BP. Sebbene sia principalmente impegnata nello sviluppo di risorse domestiche, CNPC è un attore particolarmente attivo nello scenario energetico globale: opera in trentasette Paesi tra cui Algeria, Iraq, Iran, Mozambico, Nigeria, Sudan e Sud Sudan, contribuendo al 50% della produzione cinese di petrolio all’estero e ai tre quarti di quella di gas naturale. Sinopec, leader del petrolchimico cinese e tra le prime venti compagnie energetiche a livello globale, sta attraversando una fase di parziale trasformazione. Nonostante le sue attività si concentrino nei settori della raffinazione e della distribuzione, Sinopec sta cercando di rafforzare la propria presenza nel segmento exploration & production, sia a livello domestico che all’estero. Con l’obiettivo di riequilibrare il portfolio dell’azienda nel settore upstream, negli ultimi anni le attività internazionali della compagnia si sono espanse in modo significativo, grazie all’acquisizione di una serie di asset energetici che ha portato Sinopec a operare non soltanto in Africa (Angola, Egitto, Gabon, Sudan) ma anche in mercati come quello statunitense, canadese, e brasiliano. Chi ha una tradizionale vocazione internazionale è certamente CNOOC, compagnia che concentra le sue attività nel settore offshore, operando in oltre quaranta Paesi tra cui Algeria, Australia, Canada, Iraq, Nigeria, Qatar e Stati Uniti. Le attività internazionali garantiscono il 40% della produzione di greggio e gas naturale del gruppo, nonché il 50% dei suoi profitti totali. In forte espansione sono gli investimenti nell’LNG, settore nel quale CNOOC opera sei terminal di rigassificazione in Cina ed ha da poco avviato le operazioni del suo primo terminal di liquefazione all’estero, in Australia, gestito in collaborazione con la britannica BG.
Giganti alle prese con guai giudiziari
Nonostante la spettacolare espansione delle attività industriali e delle entrate finanziarie degli ultimi anni, trainate dalla continua crescita della domanda domestica cinese, negli ultimi mesi la solidità dei tre colossi energetici ha iniziato a vacillare. Le vicende giudiziarie che hanno colpito numerosi esponenti di alto livello del settore energetico hanno certamente contribuito a favorire il giro di vite del governo di Pechino verso le tre compagnie. Nel 2013 alcuni top manager di CNPC sono stati colpiti dalle accuse della Commissione centrale per l’ispezione di disciplina, l’agenzia anti-corruzione cinese, sotto la cui lente d’ingrandimento sono recentemente finiti altri esponenti della classe dirigente per abuso di potere e divulgazione intenzionale di segreto di stato. Anche in casa Sinopec la situazione sembra diventare turbolenta, poiché a fine aprile sono giunte le prime accuse di gravi violazioni della disciplina e della legge nei confronti del management del gigante petrolchimico. Sebbene si tratti delle prime conseguenze della campagna anti-corruzione del presidente Xi Jinping, il procedimento giudiziario è destinato ad avere degli strascichi su tutta l’azienda. La stessa CNOOC, nel passato recente, è stata colpita dalla mano della Commissione centrale, che sul finire del 2014 ha richiesto l’arresto – anche in questo caso con l’accusa di corruzione – di esponenti della controllata CNOOC Gas & Power group.
Verso una trasformazione del settore energetico cinese?
I recenti scossoni giudiziari, quindi, sembrano giustificare la scelta del governo centrale – in linea con la battaglia del presidente Xi Jinping contro la corruzione pubblica – di mettere mano ai vertici dei colossi energetici nazionali. Il cambio di leadership, al contempo, potrebbe rappresentare l’opportunità per le major cinesi di riformare il loro modus operandi per far fronte alle nuove sfide del settore energetico. Gli eventi che negli ultimi sei mesi hanno sconvolto il settore petrolifero globale, infatti, non hanno risparmiato le tre compagnie energetiche cinesi, ponendole di fronte ad esigenze concrete di cambiamento. In realtà, già nel 2014, sia CNPC che Sinopec avevano annunciato riforme strutturali per aprire ad una più ampia e consolidata partecipazione di capitali privati nei propri progetti industriali, anche per far fronte alle linee guida espresse dal governo per una diminuzione del ruolo statale nel settore energetico. Le trasformazioni del mercato petrolifero globale – alimentate in gran parte dalla rivoluzione non-convenzionale americana – sembrano infatti aver convinto i vertici del Partito Comunista cinese a incoraggiare il dinamismo di attori industriali privati nel settore energetico nazionale. Oggi, infatti, le tre major cinesi sono in grado di operare soltanto sul 5% dei quattro milioni di kilometri quadrati potenzialmente sfruttabili nel Paese, lasciando gran parte del potenziale petrolifero nazionale inesplorato. Poiché il dominio dell’Opec e delle grandi compagnie energetiche nazionali sembra oggi più che mai a rischio, a Pechino sembrano decisi ad affrontare questi cambiamenti prima che sia troppo tardi per la salute dell’economia cinese. E a farne le spese, per ora, sono proprio coloro che hanno timidamente provato ad avviare questi processi di riforma: Zhou Jiping e Fu Chengyu (Fonte: ABO).
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