L’economia del Mali, tra colpi di stato e risorse minerarie

Il Mali, travagliato in questi giorni da un colpo di stato che ha rovesciato il governo del Presidente Keita, è uno degli stati più poveri dell’Africa. Ha un reddito pro capite molto basso, cui si accompagna un elevato tasso di analfabetismo. La sua posizione strategica al centro dell’Africa sub-sahariana ne fa un obiettivo privilegiato delle organizzazioni islamiche che vogliono conquistare il controllo del paese.


Considerazioni geo-politiche

Il basso tasso di sviluppo dell’economia del Mali non alimenta interessi politici da parte delle potenze straniere, eccezion fatta per la Francia che ha un passato coloniale nell’area. La comunità internazionale, infatti, oltre ad una generica condanna del colpo di stato, si guarda bene dall’intervenire. La partita in Mali è tutta interna, tra forze islamiste e movimenti moderati e rischia, come sempre in Africa, di sfociare in una guerra civile.

L’economia del Mali

Scarsissime sono le risorse naturali. Il territorio è essenzialmente desertico, tanto che l’incolto e improduttivo costituiscono più del 64% del totale, e anche la presenza delle acque del Niger, che potrebbe rappresentare una fonte di grande ricchezza sia ai fini della creazione di vasti comprensori agricoli sia per un utilizzo idroelettrico, è ben lungi dall’offrire un valido supporto all’economia del Paese.

Ben poco fu attuato dal governo coloniale francese nel Mali, che pure aveva conosciuto in precedenza un periodo di relativa prosperità, quando era stato un’importante area di transito verso l’Africa Nera.

Con l’acquisizione dell’indipendenza, l’economia del Mali subì profonde trasformazioni in omaggio a una linea di sviluppo allo stesso tempo africana e socialista, volta quindi ad attuare un rapido processo di decolonizzazione economica.

Lo Stato intervenne praticamente in tutti i settori dell’economia e del commercio, fu abolita la tradizionale autorità dei capitribù e fu anche creata una moneta nazionale. Fu una politica che allontanò la Francia e che pose il Mali in una situazione economica estremamente difficile nonostante l’aiuto dei Paesi comunisti, in primo luogo della Cina e dell’URSS.

Lo scontento che serpeggiava nel Paese, soprattutto nelle classi mercantili, e l’inflazione inarrestabile portarono nel 1968 a una radicale svolta politico-economica con la salita al potere di un governo più moderato e più aperto alla collaborazione con la Francia e i Paesi occidentali.

Ciò ha assicurato cospicui aiuti tecnici e finanziari al Mali, ma non ne ha risolti i gravi problemi interni, accentuandone anzi la già pesantissima condizione di dipendenza dagli Stati industrializzati e in sostanza traducendosi in un vincolo neo-coloniale con la Francia.

I settori economici 

Per avere un quadro completo dell’economia del Mali, è necessario analizzarne i maggiori settori:

Agricoltura. Arativo e colture arborescenti ricoprono circa il 2% del territorio. Oltre che per la scarsità di buoni terreni, il livello produttivo è generalmente molto basso per la piovosità insufficiente e comunque fortemente irregolare; si hanno poi ritardi ed errori dovuti alla stessa arcaica organizzazione dell’attività agricola: al momento neppure l’istituzione di un numero abbastanza considerevole di cooperative (che dovrebbero fungere da tramite tra le comunità locali e lo Stato, favorendo il miglioramento delle tecniche colturali e la commercializzazione dei prodotti) ha dato esiti consistenti. Per quanto riguarda le coltivazioni tradizionali, destinate all’alimentazione locale e peraltro in larga misura decimate dalle tremende siccità che a più riprese hanno devastato il Paese attorno alla metà degli anni Settanta, prevalgono il miglio, mentre il riso, coltivato nelle zone irrigue del delta del Niger, è di introduzione recente, così come il mais. Importanti per l’alimentazione locale sono anche la manioca e la batata, nonché taluni ortaggi e legumi. Nelle zone irrigue si pratica in prevalenza un’agricoltura moderna e commerciale, in parte a opera delle cooperative di contadini di recente istituzione. Disastrosi sono stati però i raccolti del 1980, 1982 e 1983 per i danni causati dalla siccità. Fra le colture predomina il cotone, che è la voce principale delle esportazioni maliane; seguono l’arachide, il tè, la canna da zucchero. Altri prodotti destinati al commercio sono il tabacco, il karité o “albero del burro” (dai cui semi si ricava appunto una specie di burro), il kapok ecc. Le foreste danno un discreto quantitativo di legname, nonché buoni quantitativi di gomma arabica. Da rilevare poi il grave fenomeno del contrabbando di prodotti alimentari, avviati ai più vantaggiosi mercati della Costa d’Avorio, del Burkina Faso e del Senegal.

Allevamento e pesca. Il Mali dispone di un patrimonio zootecnico tra i più cospicui dell’Africa occidentale, anche se le ricorrenti siccità falcidiano le mandrie e debilitano il bestiame sopravvissuto; mancano altresì impianti di macellazione e di refrigerazione sufficienti a consentire un’impostazione più commerciale dell’attività zootecnica. Prevalgono nettamente i bovini, in larga parte proprietà dei Peul e delle altre popolazioni pastorali che si spostano lungo il Niger. Numerosi sono anche gli ovini e i caprini, diffusi soprattutto nel Sahel, dove però le condizioni sono oltremodo precarie, tanto da rendere frequenti le morie del bestiame; si hanno inoltre volatili da cortile, cavalli e cammelli. Un’altra importante risorsa è rappresentata dalla pesca, praticata nel fiume Niger soprattutto dai Bozo; il pesce viene poi essiccato o affumicato e in certa misura esportato nei Paesi vicini.

Risorse minerarie e industrie. Recenti prospezioni geologiche hanno accertato la presenza di vari minerali, tra cui ferro e petrolio, ma al momento l’attività estrattiva riguarda solo, e in modesta misura, fosfati, oro e uranio, oltre ai depositi di sale del Sahara, da tempo sfruttati. Modesto è il settore industriale in cui solo ora gli interventi statali cercano in qualche modo di sopperire alla generale inerzia di una pressoché assente classe imprenditoriale privata. Manca l’industria di base (modestissimo è d’altronde anche l’apporto energetico, per lo più di origine termica, benché siano in via di realizzazione centrali idroelettriche sul Niger e sul Senegal) e l’attività manifatturiera, in buona parte semiartigianale, è eminentemente basata sulla trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, comprendendo perciò oleifici, cotonifici, birrifici, zuccherifici, manifatture di tabacchi, concerie; funzionano inoltre piccoli saponifici, cementifici ecc. In via di sviluppo il turismo.

Comunicazioni. Il generale ritardo dell’economia del Mali è anche dovuto alla mancanza di un efficiente sistema di vie di comunicazione e di trasporti. L’asse prioritario delle comunicazioni è a tutt’oggi rappresentato dai fiumi, dal Niger principalmente, qui navigabile per circa 1.700 km (coperti da luglio a gennaio da regolari servizi di battelli, cui si aggiunge un fitto movimento di piroghe che trasportano sale, pesce, cereali), e dal Senegal. Quanto alle ferrovie, il Mali può contare unicamente sulla linea Bamako-Dakar (di 1.287 km, per 642 km in territorio maliano), grazie alla quale il Paese può accedere al grande porto senegalese. Poche sono anche le buone arterie stradali, benché il settore sia stato abbastanza potenziato e oggi si abbiano circa 15.000 km di strade (solo per metà agibili tutto l’anno) in grado di raccordare il Mali con tutti gli Stati circostanti. Rivestono una funzione importante i trasporti aerei (compagnia di bandiera è la Air Mali); i principali aeroporti sono quelli di Bamako (Sénou) e Mopti.

Commercio. Il commercio, sia all’interno del Paese sia con l’estero, è ancora piuttosto limitato. Gli scambi con l’estero si svolgono con i Paesi dell’UE, quindi con la Cina e con i vicini Costa d’Avorio e Senegal; il Mali esporta soprattutto cotone (fibra e tessuti), oro e capi di bestiame, mentre importa in prevalenza veicoli e macchinari, generi alimentari, prodotti petroliferi e chimici e manufatti vari.

Informazioni su Marco Blaset 150 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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