È di grandissima attualità l’affaire degli accordi commerciali tra Italia e Cina. In questi ultimi giorni si sono susseguiti commenti e dibattiti sulle opportunità e sulle reazioni internazionali a questo nuovo, o meglio rinnovato, asse commerciale.
L’Italia ha deciso riprendersi il primato e la posizione di privilegio che storicamente le appartiene da sempre nei rapporti con la Cina. Fu Marco Polo, viaggiatore e scrittore veneziano, che intraprese tra il 1271 e il 1295 un viaggio che lo avrebbe portato ad essere il primo testimone della cultura del Catai (l’allora Cina) e il primo ad aprire quella che oggi è denominata la Via della Seta.
È di questi giorni la pubblicazione, ad opera della Farnesina, di un Overview dei rapporti Cina-Italia.
Da questo memorandum si evince che le nostre esportazioni in Cina superano i 13,5 mld (in crescita del 22,2%), mentre le importazioni ammontano a 28,4 mld (+4%). L’Italia cosi conferma la sua posizione in ambito internazionale ed europeo collocandosi al quarto posto sia tra i Paesi esportatori che tra quelli importatori dalla Cina.
La Cina da anni sta sperimentando una crescita significativa. È ormai trascorso circa un decennio dall’ingresso nell’OMC (dicembre 2001) e la Cina è balzata dall’ottavo al secondo posto tra le economie del mondo (anche se in termini di potere d’acquisto è già prima) e potrebbe superare gli Stati Uniti entro 15 anni (nello stesso periodo il PIL combinato dei BRIC avrà superato quello dei G7).
I governi italiano e cinese lavorano ormai stabilmente su un’agenda in cui hanno focalizzato le priorità dei due sistemi economici: le tecnologie verdi, l’agroalimentare, l’urbanizzazione sostenibile, i servizi sanitari e l’aerospaziale sono campi su cui Italia e Cina vogliono investire grazie alla complementarità tra le capacità tecnologiche e industriali italiane in questi settori e le necessità dell’importante e crescente sviluppo cinese.
Le aziende e le istituzioni hanno già dal 2014 a disposizione il Business Forum Italia/Cina permanente – prima inesistente – che si affianca al dialogo intergovernativo, per facilitare scambio d’informazioni, conoscenze, proposte industriali e investimenti reciproci, ivi compresa partnership strategiche anche su mercati terzi.
Una riflessione va fatta sull’analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats; acronimo inglese che significa rispettivamente punti di forza, punti di debolezza, opportunità, minacce) pubblicata dal Ministero degli Esteri Italiano. L’aspetto che maggiormente salta all’occhio è l’assenza totale di punti di debolezza e di minacce (tra queste ultime l’unica evidenziata è il rischio interno assolutamente contenuto); d’altra parte è certamente di rilievo il focus dei punti di forza e delle opportunità, numerosi ed importanti.
Rischi e opportunità
Le telecomunicazioni e l’ormai noto standard 5G (oggetto di una guerra commerciale tra USA e Cina e delle preoccupazioni dei detrattori dell’accordo Italia-Cina) non rappresentano una minaccia per la nostra sicurezza perchè il Governo Conte ha rinforzato la Golden Power (il potere di veto sulle aziende strategiche) e la vigilanza, anche europea, sull’argomento è ferrea.
Sempre parlando di potenziali minacce, le infrastrutture strategiche, come i porti, sono di proprietà pubblica, il rischio di colonizzazione come al Pireo (il porto greco svenduto ai cinesi per fare cassa) non esiste perchè l’Italia non si versa nella condizione in cui si è trovata la Grecia travolta dalla crisi.
Tra i punti di forza, in particolare, va evidenziato il cosiddetto driver dei consumi, ovvero l’evoluzione dei gusti dei consumatori cinesi di reddito medio-alto, sempre più orientati a prodotti di qualità come quelli del Made in Italy, mentre tra le opportunità sono ora evidenziate quelle nel mercato di energia, acqua, gas ed infrastrutture (anche fognarie e di trattamento dei rifiuti), accanto agli storici settori di alimentare e tessile/fashion.
La Via della Seta è un’opportunità anche per le pmi, e non solo per le grandi aziende, perchè la Belt Road ha due cinture (quella marittima e quella terrestre) e attraversa 60 paesi. Paesi con tessuti industriali spesso arretrati in cui c’è molto spazio per le produzioni italiane e che non hanno il potere contrattuale della Cina. Gli accordi tra grandi gruppi italiani e cinesi hanno aperto un mercato, spianando la strada anche alle pmi. Adesso tocca ai nostri imprenditori decidere se percorrerla.
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