Alla fine Boris Johnson ce l’ ha fatta. Zazzera al vento e stile anticonformista da pari d’Inghilterra, in questo e nelle frequentazioni simile a David Cameron che ha studiato e scandalizzato i benpensanti negli stessi luoghi, ha veleggiato da Sindaco di Londra entrando fin nel cuore del potere portando un po’ di eccentricità “british” nel mondo.
La contestazione a Theresa May e ai suoi falliti tentativi di trovare un accordo lo hanno reso il candidato ideale dei conservatori alla Premiership, anche perché alle ultime elezioni europee i Tories sono risultati il quinto partito del Regno Unito soffrendo la concorrenza soffrendo la concorrenza del Brexit Party.
Ora è Premier per la seconda volta con un mandato di gran lunga più forte per portare Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea e tornare ad essere “la prima economia europea”, e non solo, promettendo un futuro in cui il Regno Unito sarà “il miglior Paese in cui vivere sulla Terra”.
Promesse non da poco. Un gioco “a somma zero” in cui però Johnson dovrà districare i nodi che la May e la House of Commons non hanno saputo sciogliere.
Le molte sfide di Downing Street
Ciò che dovrà affrontare il Governo britannico è sotto gli occhi di tutti, le questioni che riguardano i prezzi, il mercato del lavoro, la stessa Borsa di Londra, dove la maggioranza dei titoli sono scambiati in euro e dollari prima di essere convertiti in sterline, i costi alimentari e vieppiù la scottante questione dei confini Ue che coincidono con l’Irlanda, ancora non hanno una elaborazione puntuale.
Certo, c’è una dinamica parlamentare da tener presente ma con la maggioranza schiacciante che gli inglesi hanno dato ai conservatori non dovrebbe essere un problema per l’ex Sindaco di Londra imporre una Hard Brexit, sempre che questo convenga al Regno Unito che proprio grazie agli accordi di libero scambio con la Ue ha prosperato ed è cresciuta a ritmi inimmaginabili per gli altri partner europei.
Ma tutto è possibile: House of Cards, ricordiamolo, prima di diventare una serie famosa in tutto il mondo sul Presidente Usa è nata come un cult televisivo ed emotivo, all’interno della House of Commons.
L’articolo 24 non convince tutti
Johnson ritiene che un “no deal” per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sia di gran lunga preferibile perché intenderebbe utilizzare l’articolo 24 del Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade) che permette di commerciare senza dazi per 10 anni.
Questo articolo, hanno fatto notare alcuni economisti, tra cui il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, Roberto Azevedo, si riferisce in realtà più a Paesi che vogliano iniziare una negoziazione che a quelli che decidono di uscire da un accordo che fa parte integrante del Gatt. In ogni caso si tratta di un articolo che si riferisce ai beni e non ai servizi, e dunque per certi versi non contempla i maggiori settori dal punto di vista del fatturato economico in Gran Bretagna, ovvero servizi finanziari o di internazionalizzazione che un ex Impero con connessioni in tutto il mondo ha sempre offerto, e non solo all’Unione Europea.
Insomma, passata l’euforia del momento e le ferie natalizie , vedremo presto se la nuova premiership britannica è in grado, al di là delle solenni affermazioni, di imporre una svolta a un andazzo che ha molto meridionalizzato la sua politica con una sorta di soap opera denominata Brexit, che ha visto momenti parlamentari certamente mai visti a quelle latitudini, con scontri verbali e fisici, impossibilità di votare mozioni che non fossero bizantine o contorte, ed un finale di estrema impotenza che ha costretto la May a gettare la spugna pur di garantire al suo partito di non perdere la premiership, subendo l’ onta di elezioni legislative anticipate.
Banco di prova
Di sicuro l’Unione Europea non farà sconti. E la questione irlandese qualche timore lo crea a tutti, considerando che solo a gennaio, dopo oltre un decennio (il Good Friday Agreement è del 1998 del Premier Blair), abbiamo assistito ad un attentato di fronte al tribunale di Derry, per fortuna senza gravi conseguenze.
Il confronto a livello internazionale, la similitudine con Donald Trump, per ora è solo un mero riferimento semi-biografico. La verità è che Boris Johnson il suo appello al popolo lo ha già fatto da tempo.
Ora è atteso alla prova dei fatti e in pochi mesi dovrà dimostrare che tutta l’energia che sembra avere possa diventare una risorsa per il Regno Unito.
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