Il futuro non esiste, ma è possibile immaginarlo. Osservare il cambiamento per imparare a governare l’incertezza

Sappiamo che il futuro non esiste, ma che è possibile immaginarlo. L’unica cosa che possiamo affermare con convinzione è che in un’era di grandi cambiamenti il futuro sarà diverso dal presente, ma anche che dobbiamo prenderci le responsabilità delle scelte che vengono prese oggi per orientarlo.

Prima di poter dare vita a strategie per immaginare il nostro futuro e quello dell’azienda in cui operiamo, dobbiamo cercare di fornire delle risposte ad una semplice ma insidiosa domanda. Abbiamo la volontà, la capacità e gli strumenti per comprendere in quali direzioni sta cambiando il mondo, il nostro settore, il nostro mercato, la società in cui siamo inseriti ed il mondo in cui viviamo?

Osservare il cambiamento è difficile, poichè richiede una capacità di visione prospettica che non tutti hanno. Eppure fare impresa significa fare una scommessa sulla propria capacità di creare valore futuro, in un mondo che cambia rapidamente.

Non riusciamo a vedere i nostri figli crescere, così come facciamo fatica a vedere i nostri genitori invecchiare o a visualizzare la crescita dell’erba in un prato, fintanto che non raggiunge un livello tale, che percepiamo come disordine o quando si avverano eventi drammatici e imprevisti che ci mettono in difficoltà, perché per vedere il cambiamento dobbiamo osservarlo con un certo distacco.

Facciamo anche molta fatica a riconoscere i segnali di cambiamento, anche quando si mostrano in modo evidente, perché non siamo abituati ad osservare la realtà con sufficiente distacco, ma qui si pone il problema di ciò che costituisce un segnale di cambiamento in grado di fornirci informazioni utili per prendere decisioni in un mondo che cambia.

Potevamo prevedere il Covid19 oppure gli attentati dell’11/9 e l’impatto di questi eventi drammatici sulle nostre vite? 

Come ogni imprenditore o manager esperto sa, qui non si tratta di potere prevedere eventi imprevedibili, nella loro eventualità, nei tempi e nei modi della loro manifestazione, ma di prepararci a gestire immaginativamente l’incertezza; per fare questo dobbiamo comprenderla e imparare a conviverci.

Come ci insegna Stuart Candy, futurista e designer: “dobbiamo fare i conti con l’impensabile, per scongiurare i futuri che non vogliamo che si avverino ma anche con il non immaginabile, per estendere le nostre possibilità di agire. 

E’ necessario riuscire a comprendere quando il cambiamento si mostra anticipatamente attraverso precisi segnali e quando invece si manifesta in modo repentino e non prevedibile.

Dobbiamo pertanto imparare ad osservare e a distinguere tra due fenomeni diversi: le discontinuità e gli choc. I primi possono essere previsti, mentre i secondi non sempre possono essere previsti, ma possono essere gestiti.

Le discontinuità sono un cambiamento rispetto al passato che ci mostra la perdita di funzionalità o la crisi di un certo sistema. I processi di deindustrializzazione, il crollo dell’Unione Sovietica, il progressivo processo di automazione del lavoro, rappresentano elementi di discontinuità. Non possiamo certo dire che siano fenomeni che giungono inaspettati e che non sia possibile creare strategie di tipo anticipatorio per gestirne i possibili impatti. Possiamo e dobbiamo prepararci alle discontinuità, a condizione di sviluppare la capacità di intercettarle e mostrare la volontà di volerlo fare.

Anche quando un’impresa ha un eccessivo successo di mercato si può aspettare l’entrata sul mercato di nuovi competitor, così come la diffusione di una nuova tecnologia o di un’innovazione radicale, possono avere un impatto dirompente sul suo mercato e sul suo settore.

Osservare i segnali di cambiamento, anche quelli più lontani, è di fondamentale importanza per ogni imprenditore e per ogni manager, così come la capacità di sviluppare competenze immaginative in grado di dare vita ad ipotesi del tipo –  cosa succederebbe se…?

Lo choc, è un cambiamento repentino e inaspettato, che ha grandi impatti e che difficilmente può essere previsto. Crea panico, ansietà e incertezza ed i suoi effetti non sono spesso intuibili. 

Forse era probabilmente possibile, immaginare l’eventualità di possibili attentati nel periodo antecedente ai fatti dell’11/9, ma senza precise informazioni di intelligence era sicuramente difficile predire quando un attacco terroristico avrebbe potuto avere luogo, dove e con quali conseguenze. 

Un imprenditore o un manager, possono e devono prepararsi in diverso modo per fare fronte alle discontinuità e agli choc. 

Nel primo caso si tratta di formulare le seguenti domande e cercare di trovare delle risposte adeguate.

  1. Cosa sta perdendo di funzionalità? 
  2. Ci sono possibili eventi che potrebbero avere luogo e che potrebbero mettere in difficoltà la nostra azienda ed il modo il modo in cui operiamo?
  3. Possiamo osservare nuove tendenze, nuove pratiche emergenti, nuovi comportamenti che potrebbero portare ad una discontinuità di qualunque forma?
  4. Quali sono le tensioni che stanno emergendo e che possono portare alla crisi di un sistema, ad esempio il mercato in cui operiamo?
  5. Quali possono essere i possibili scenari che si possono presentare in caso del manifestarsi di una discontinuità?
  6. Quale è il nostro margine di manovra in caso di discontinuità?
  7. Come possiamo prevenire una discontinuità mettendo in campo strategie che ci possano garantire un vantaggio competitivo?

Vogliamo parlare oggi di una discontinuità che possiamo evidenziare in modo chiaro e netto? Si tratta della crisi della formazione universitaria.

Proviamo per un momento a metterci nei panni di un rettore di una grande università americana e a chiederci come gli studenti potrebbero reagire di fronte al proseguimento delle lezioni a distanza, nel caso in cui le rette universitarie non venissero abbassate. Che cosa possiamo immaginare che possa succedere in futuro, quando un colosso del calibro di Google, decide di creare nuovi percorsi formativi per adulti a prezzi accessibili, poichè quelli forniti dall’accademia sono ritenuti eccessivamente costosi e non efficaci per il mercato? E’ del tutto evidente che il mondo dell’università si trova oggi di fronte a possibili grandi discontinuità, che richiedono riflessioni immediate.

Le discontinuità rappresentano problemi per qualcuno, ma anche grandi opportunità, per chi è in grado di coglierle.

Un imprenditore o un manager accorto dovranno pertanto essere in grado di creare per la propria azienda un “radar” che permetta loro di intercettare segnali di cambiamento, nell’ottica delle discontinuità.

Gli choc, sono invece cambiamenti improvvisi ed inaspettati e che difficilmente possono essere previsti. Non possono pertanto essere messi in campo strumenti di previsione in grado di rilevare ogni possibile choc, ma ci si può preparare ad essere flessibili e adattivi nel caso in cui si dovesse manifestare uno choc.

Possono essere annoverati tra gli choc, i grandi eventi naturali, gli attacchi terroristici, le crisi geopolitiche, i grandi incidenti. 

I futuristi parlano di wild card, riferendosi ad eventi mai verificati prima, improbabili, inaspettati e per cui non si è preparati.

Dopo che uno choc ha prodotto i suoi effetti, molti si domandano se la crisi, poteva essere realmente prevista, dando luogo a ciò che viene definito il bias del senno di poi. Si tratta di un pregiudizio che si può riscontrare quando le persone dichiarano di avere sempre saputo dell’esistenza del rischio che ha creato la crisi.

Esistono fondamentalmente tre pregiudizi, che occorre considerare:

  1. Prevedibilità — presunzione di conoscenza che lo choc avrebbe avuto luogo (lo sapevo che sarebbe successo)
  2. Inevitabilità — convinzione del fatto che era del tutto normale che lo choc prima o poi si sarebbe manifestato (era normale che prima o poi sarebbe successo)
  3. Distorsione della memoria — sopravvalutazione della propria capacità di previsione (l’ho sempre detto che sarebbe successo).

Proviamo ora a fare mente locale sull’ultima crisi a cui abbiamo assistito e cerchiamo di comprendere le nostre reazioni, ad esempio nei confronti della pandemia del Covid19. Possiamo individuare una delle seguenti possibilità, relativamente alla nostra reazione:

  1. non abbiamo previsto lo choc
  2. abbiamo previsto il possibile pericolo, ma non gli abbiamo dato credito
  3. abbiamo previsto il possibile pericolo, gli abbiamo dato credito, ma non abbiamo posto misure per circoscrivere i danni
  4. abbiamo previsto il possibile pericolo, gli abbiamo dato credito, ma abbiamo continuato a lavorare sulle attività di routine.
  5. abbiamo previsto l’evento, gli abbiamo dato credito, ma abbiamo sottovalutato gli impatti.
  6. abbiamo previsto l’evento, gli abbiamo dato credito, ma non essendo l’unico possibile, abbiamo dato priorità ad eventi ritenuti più probabili
  7. abbiamo predetto l’evento, ma non ne abbiamo parlato in azienda per non prenderci la responsabilità di un possibile errore di previsione
  8. abbiamo previsto l’evento, ne abbiamo parlato, ma non abbiamo preso alcuna iniziativa perchè non era nostra responsabilità.

Ecco che di fronte ad uno choc, dobbiamo rapportarci in termine di capacità di previsione, ma anche in termini di capacità di reazione. 

Per quanto riguarda l’incertezza, dobbiamo chiederci con onestà, se essa era dovuta all’incapacità oggettiva di prevedere una crisi oppure se tale mancanza era dovuta ad una nostra mancanza di disponibilità di strumenti e di competenze previsionali e immaginative o se invece abbiamo sottovalutato i segnali di pericolo.

Da questo punto di vista, risulta di grande utilità creare una classificazione dell’ultima crisi che abbiamo vissuto per capirne la tipologia:

  1. si è trattato di un evento che non si è mai verificato prima, di cui non si è mai parlato e di cui non c’è alcuna storia
  2. si è trattato di un evento per noi inaspettato, a causa della nostra negligenza, disattenzione o della nostra impossibilità di mantenere costante l’attenzione su più fronti contemporaneamente
  3. si è trattato di un evento inaspettato che poteva contemplare l’evoluzione in più direzioni di cui risulta difficile la previsione
  4. si è trattato di un evento prevedibile, di cui abbiamo sottovalutato gli impatti

Per quanto riguarda invece la nostra capacità di reagire all’inaspettato dobbiamo fare un onesto lavoro di introspezione per comprendere le ragioni per le quali siamo stati colti di sorpresa dall’evento inaspettato:

  1. per una scarsa capacità di visione
  2. per una scarsa capacità di immaginazione
  3. per una scarsa preparazione culturale rispetto alla gestione del rischio e delle contingenze
  4. per una indisponibilità di strumenti 
  5. per la negazione del problema
  6. per un’arroganza rispetto alla propria conoscenza sulla realtà in trasformazione
  7. per un orientamento eccessivo al presente
  8. per una sottovalutazione degli impatti
  9. per una paralisi decisionale, legata alla nostra rigidità strutturale
  10. per una scarsa flessibilità organizzativa e conseguente lentezza nella reazione

Come si può ora facilmente intuire, di fronte all’inaspettato, l’obiettivo per un imprenditore e per un manager non è tanto quello di migliorare la propria capacità di previsione, quanto quelli di:

  1. sviluppare modelli per allargare lo sguardo verso nuove direzioni
  2. sviluppare capacità immaginative per pensare a ciò che potrebbe succedere
  3. utilizzare l’incertezza come strumento di cambiamento anticipante
  4. creare strategie adattive per la gestione veloce di eventi inaspettati
  5. rilevare gli elementi di debolezza di un sistema (ad esempio di un mercato) o della propria debolezza per rendersi più adattivi e per usare un termine coniato da Nassim Nicholas Taleb, più antifragili

Come abbiamo fin qui visto, sviluppare la capacità di osservare i cambiamenti in atto risulta di fondamentale importanza, per costruire scenari futuri alternativi che ci consentano di non essere colti di sorpresa da discontinuità e possibili choc che caratterizzeranno sempre di più il nostro futuro, ma questo esercizio sarà utile solo a condizione di sviluppare una flessibilità tale che ci consenta di reagire in tempi estremamente veloci, tenendo bene a mente le indicazioni del futurista Bob Johansen quando ci dice che: dobbiamo essere molto chiari sul nostro scopo e molto flessibili sul nostro progetto. Sviluppare un addestramento immaginativo, ci consente di imparare a rapportarci con l’incerto e con l’inaspettato e di non farci cogliere di sorpresa da eventi positivi o negativi che potrebbero avere un impatto sul futuro della nostra impresa.

Per questo possiamo affermare con convinzione che saper osservare il cambiamento in tempo reale per imparare a governare l’incertezza è oggi una priorità per chi fa impresa in periodi di transizione, come quello in cui stiamo vivendo.

Maurizio Goetz
Informazioni su Maurizio Goetz 12 Articoli
Laureato in Economia Aziendale (Università Bocconi), Maurizio Goetz, si è sempre occupato di processi di innovazione degli elementi intangibili nella comunicazione digitale, nel marketing e nella promozione. È coautore della metodologia Tourist Experience Design per la progettazione delle esperienze turistiche delle destinazioni e svolge attività di ricerca sui temi dell’immaginazione progettuale strategica. Collabora con varie istituzioni aziende e diverse istituzioni formative, per diffondere l’approccio di Imagination Design Coaching, un insieme di metodologie originali create per addestrare le capacità immaginative prospettiche dei professionisti e delle organizzazioni.