Inventa una notizia falsa e la pubblica. Giornalista licenziato, la Cassazione conferma

Un redattore di un noto quotidiano aveva “inventato” una notizia poi pubblicata sul giornale che, come era lecito attendersi, subiva un danno di immagine agli occhi dei lettori. Visto quanto accaduto e la risonanza del fatto, il giornalista veniva licenziato dal datore di lavoro.

Ritenendo che la sanzione fosse spropositata, il giornalista impugnava il licenziamento disciplinare e ricorreva al giudice del lavoro che tuttavia riteneva giustificato il licenziamento e, successivamente, allo stesso modo la Corte di Appello confermava la legittimità del recesso del datore per motivi disciplinari.

Il collegio, cui la controversia giungeva in secondo grado, riteneva che il giornalista aveva posto in essere una condotta gravemente colpevole tale da costituire giusta causa di recesso del datore di lavoro, avendo in ogni caso violato l’obbligo fondamentale del giornalista di accertarsi della verità dei fatti, escludeva che potesse avere rilevanza la mancata affissione del codice disciplinare, a fronte di comportamento che costituiva una grave violazione dei doveri fondamentali del lavoratore, inoltre riteneva che fosse stata dimostrata l’acquisizione del parere preventivo del direttore della testata, così come prescritto dall’art. 50 del contratto collettivo per il lavoro giornalistico in vigore all’epoca dei fatti.

Il direttore della testata, con una dichiarazione pubblicata il giorno stesso in cui la contestazione disciplinare veniva anticipata al dipendente, si era scusato con i lettori per la falsità della notizia precisando che l’azienda aveva deciso di avviare un procedimento disciplinare nei confronti del giornalista responsabile.
Il giornalista pertanto, tentando l’ultima via rimasta per ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione ricevuta, si rivolgeva al giudice di legittimità articolando vari motivi di reclamo, di recente la sezione lavoro della Cassazione ha deciso la controversia con la sentenza n. 5693 del 7 marzo 2017.

In merito al corretto espletamento della procedura per il licenziamento come previsto dal CCNL applicabile alla fattispecie rilevava la Corte che giustamente era stato considerato decisivo il comunicato comparso sul quotidiano da cui si evinceva la comunicazione al direttore della volontà aziendale di dare inizio ad un procedimento disciplinare nei confronti del giornalista e la valutazione di quest’ultimo della gravità del caso che era sfociata nell’adozione di “provvedimenti adeguati”.

L’art. 50 del CCNL Giornalisti, nella versione applicabile ratione temporis, stabiliva l’obbligatorietà di una confronto con il direttore senza indicare prescrizioni di natura formale circa il modo di tale interpello e del conseguente parere, né indicare precisi ambiti temporali, non specificati nella norma collettiva.
La disposizione del regolamento di disciplina in questione si preoccupava di assicurare la maggiore tutela del giornalista mediante una dialettica sviluppatasi all’interno della procedura disciplinare seppur non vincolante ai fini delle determinazioni finali permettendo un confronto tra le esigenze della società editrice, da un lato, e della struttura giornalistica, dall’altro.

Quanto alla proporzionalità tra la gravità del fatto contestato al dipendente e la sanzione irrogata la Corte di appello si è era adeguata all’orientamento consolidato per cui il giudizio deve essere svolto con specifico riferimento alle circostanze del caso concreto, all’entità della mancanza nei suoi diversi profili, alla natura delle mansioni svolte, all’intensità dell’elemento intenzionale o al grado di quello colposo (Cass. n. 2013/2012).

Al giornalista peraltro erano state contestate una pluralità di successive condotte improntate a grave negligenza, trascurando di compiere le verifiche indispensabili a fornire riscontro alla notizia violando uno dei doveri fondamentali cui è tenuto nell’esercizio della sua professione.
Come noto e consolidato nella giurisprudenza giuslavoristica, la condotta negligente connotata da gravità del dipendente è idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro  “non consentendo una prognosi favorevole circa il corretto adempimento delle future prestazioni e tanto più a fronte di un’attività che, anche per la sua oggettiva rilevanza sociale, richiede la pratica di uno scrupolo professionale costante”.

Infine un ultimo motivo di ricorso della difesa del giornalista contestava la mancata affissione del codice disciplinare in azienda.

La Corte respingeva anche questo motivo rilevando che la sentenza di appello si basava sul consolidato principio di diritto, per il quale la garanzia prevista dallo Statuto dei lavoratori, art. 7, comma 1, Legge 300/1970, che prevede la pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti, si applica al licenziamento disciplinare soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalle norme collettive e “non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie all’etica comune o concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro”.

La Corte ha rigettato il ricorso e confermato la legittimità del licenziamento del giornalista da parte del datore di lavoro.

Luigi De Valeri
Informazioni su Luigi De Valeri 38 Articoli
Luigi De Valeri, nato a Roma nel 1965, ha conseguito nel 1994 il titolo di procuratore legale. Iscritto all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine di Roma, titolare dello Studio Legale De Valeri attivo nei settori del diritto civile, lavoro e sicurezza sul lavoro, assicurazioni e responsabilità professionale, immobiliare, diritto societario e start-up, diritto di internet e privacy, diritto dell'Arte, diritto amministrativo e diritto penale. Consulente giuridico di EBAFoS, ente bilaterale dell'artigianato per la formazione e la sicurezza sul lavoro, FIRAS-SPP federazione italiana responsabili addetti servizi prevenzione e protezione, Prison Fellowship Italia Onlus.

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