La nuova Russia tra recessione e crisi Ucraina

soldati russiLa dottrina di una Grande Europa da Dublino Vladivostock è ormai stata sostituita da quella di una Grande Asia da Shangai a San Pietroburgo”. Nell’immaginifica metafora proposta da Dimitri Trenin direttore del Carnegie Moscow Center si consuma la realtà della Russia di oggi. In guerra mai dichiarata con l’Ucraina, la sola ex Repubblica sovietica capace di darle come sosteneva Zbignew Brzezinski “una proiezione europea”, la Grande Russia, se vuole sperare di restare tale deve guardare a Oriente. Accade oggi come mai prima d’ora.

Glielo impone la geopolitica nella consapevolezza che il rapporto con Kiev è compromesso, anche qualora dovesse prevalere la frattura del grande territorio ucraino, come Mosca auspica, infatti non potrà più contare sulla fedeltà di un partner chiave da secoli. Per questo, crediamo, che la scelta di guardare a Oriente sia destinata a durare sebbene essa potrà maturare lentamente. Si fa presto a chiudere, come ha fatto Putin, il progetto South Stream che doveva rappresentare il canale meridionale dell’export energentico russo in Europa e si fa ancora più presto ad annunciare la volontà di esportare gas e petrolio in Cina, ma per cambiare il flusso delle pipelines, spingendo a destra quanto è costruito per andare a sinistra, ci vuole molto più tempo.

Il futuro è là, il presente è invece fatto di una straordinaria incertezza che muove tutta attorno all’asse energetico e all’incapacità di modernizzare uno Stato che dalle materie prime potrebbe essere vittima, antico maleficio dell’opulenza. La modernizzazione della struttura dello Stato continua a non avvenire, la lotta alla corruzione è frenata dall’oligarchia di stato e non del potere putiniano, la democratizzazione giace dimenticata, avvolta com’è, ora, dal rinvigorito orgoglio nazionalista.

Profilo economico

Alle sanzioni economiche imposte da Stati Uniti ed Ue si è sommato il crollo nel prezzo mondiale del greggio, originando una congiuntura economica particolarmente negativa per la Federazione russa, dal momento che le esportazioni degli idrocarburi arrivano a costituire il 67,1% del PIL nazionale. Il trend economico di crescita, mantenutosi positivamente stabile nell’ultimo decennio, è stato così rivisto al ribasso per il 2014 e nel 2015 è alto il rischio di recessione.

Analisi economica e previsione 2015

Nel gennaio scorso il FMI ha infatti rivisto le prospettive di crescita del PIL al ribasso dall’1,3% ad uno 0,6% nel 2014, così come la Banca Mondiale. Per quanto riguarda il 2015, alcune stime prevedono un’ulteriore contrazione della crescita del 3,5% circa, mentre il FMI prevede un tasso variabile tra l’1% e il -0,6% di crescita. La Banca Mondiale invece prevede per il 2015 una tasso di crescita negativo del -3,8% del PIL. Ovviamente molto dipenderà dall’andamento dei prezzi del greggio, timidamente risaliti nell’ultimo mese a 55$ al barile dal minimo toccato a gennaio di 47$/b. Le stime per il 2015  sono basate su proiezioni sul prezzo del petrolio pari a una forbice tra 55$ e 53$/b. Indicazioni diverse sono emerse a metà febbraio quando il barile ha ricominciato a muovere al rialzo con prezzi superiori ai 60 dollari. Una dinamica che pare anticipare le majors del petrolio piuttosto concordi nel prevedere un solido rimbalzo – oltre i 70 dollari – ma solo a fine anno.

Relazioni Internazionali e Crisi Ucraina

La continuità geografica della Federazione russa con Europa, Asia centrale ed Estremo oriente fa del paese un attore di primo piano delle relazioni internazionali in molteplici contesti geopolitici. In ognuno di questi scenari la Russia agisce così da protagonista, attraverso un’azione di politica estera che alla base pone la difesa dell’integrità e dell’interesse nazionale. Se tra il 2000 e il 2011 questo aveva privilegiato la ricerca di cooperazione con i paesi Nato nella sfera occidentale, a partire dal 2012 crescenti tensioni sul processo di allargamento dell’EU e divergenze con l’amministrazione Obama (esplose definitivamente con la crisi ucraina) hanno provocato un brusco cambio di strategia, con un ri-orientamento delle politiche verso est (in area ‘euroasiatica’ e sempre più cinese).

La crisi politica e militare scoppiata tra la Russia, l’Ucraina e i paesi NATO è al contempo una radicale messa in discussione della definizione dei confini nello spazio post-sovietico, e una decisa rottura della Russia con Stati Uniti e Unione Europea sulla visione politica delle relazioni internazionali e della concezione stessa di politica estera contemporanea. Le sanzioni internazionali messe progressivamente in atto da Stati Uniti e Unione Europea contro la Russia in seguito all’annessione della Crimea e all’escalation militare nel sud est dell’Ucraina, il Donbass (l’estromissione della Russia dal G8 nel novembre 2013, i successivi round di sanzioni economiche incrementali a marzo, aprile e luglio 2014), hanno bruscamente interrotto il lungo processo d’inserimento della Russia nel sistema delle istituzioni internazionali occidentali, mostrando peraltro il disallineamento tra cooperazione economica e alla sicurezza.

Nella visione di Mosca (ufficializzata nella nuova dottrina militare russa, firmata dal presidente Putin il 26 dicembre scorso), il conflitto ucraino riflette un’intensificazione della competizione globale sui valori di riferimento e sviluppo, ossia quello occidentale – con a modello l’Unione Europea – contro quello Russo, accompagnato dal progetto putiniano di Unione Euroasiatica (un progetto di unione economica russocentrica, che riunisce le ex repubbliche satelliti dell’Urss, e che però necessita dell’Ucraina per definirsi propriamente ‘Euro’). Il cambio di regime, sebbene democratico, avvenuto a Kiev nel febbraio del 2014 viene visto come l’emanazione della politica di espansione aggressiva di NATO e UE ai danni della Russia, e ai fini dell’interesse nazionale di mosca va contrastato ad ogni modo. In questo quadro rientra anche la questione crisi con la Georgia sull’Abkhazia e l’Ossezia meridionale (che nel 2008 ha condotto al confronto armato tra i due paesi). I paesi europei, dopo iniziali tentennamenti e divisioni sulla linea da seguire nei confronti della Russia, si sono compattati con gli USA contro Mosca (specie in seguito all’abbattimento del volo di linea Amsterdam-Kuala Lumpur ad opera dei ribelli nel luglio 2014).

Il cessate il fuoco firmato a Minsk nel settembre scorso non è mai stato effettivamente implementato, e il recente deterioramento delle condizioni sul campo, con la ripresa di combattimenti ad alta intensità da fine gennaio per opera dei separatisti dell’est (sostenuti militarmente da Mosca), non ha favorito il clima delle nuove negoziazioni a Minsk (tutt’ora in corso, hanno stabilito una nuova tregua basata su 13 punti), riallineando i membri UE alla posizione tedesca, in favore del rinnovamento delle sanzioni economiche, che scadono nel luglio prossimo e richiedono l’unanimità dei voti per essere prolungate ulteriormente.

Nel contesto delle crisi con l’Occidente, la Russia ha rinnovato i legami strategici con la Cina (come visto in occasione dell’accordo sul gas), e ha ricercato partnership nella regione medio-orientale. Mosca, che sosteneva militarmente il regime di Bashar al-Assad fin dall’inizio della rivolta siriana, si è recentemente avvicinato a Iran, con l’accordo sulla costruzione di reattori nucleari e sulla cooperazione militare nel gennaio scorso, ma soprattutto all’Egitto di al-Sisi, con lo scambio di visite tra capi di stato e l’avvio di trattative per negoziazioni strategiche riguardanti la sfera energetica e militare.

Informazioni su Marco Blaset 150 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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