Petrolio, rapimenti e opere d’arte. Così si finanzia l’ISIS

E’ ormai noto che la minaccia dell’Isis sia stata inizialmente sottovalutata da molti e che ora si stia cercando di recuperare il tempo perduto per contrastare l’avanzata del Califfato e la sua capacità di attrarre combattenti anche fra le seconde generazioni europee.

E’ altrettanto noto che, oltre al contrasto militare, bisogna “inseguire il denaro” per sconfiggere il Califfato.

L’Isis ha una solidità finanziaria consistente che gli permette di pagare regolarmente i propri miliziani, di comprare i favori delle tribù che vengono a trovarsi lungo il cammino del Califfato e, in generale, di fortificarsi ovunque. Fonti israeliane rivelano che nell’area controllata dall’Isis vi sono 60 pozzi di petrolio attivi dai quali si ricavano in totale dai 3 ai 6 milioni di dollari al giorno.

La stima fatta sul guadagno che l’Isis avrebbe quotidianamente dalle esportazioni illegali del petrolio estratto da pozzi caduti nelle proprie mani dal giugno scorso nel nord della provincia irachena di Diyala, si aggira intorno ai 600 mila dollari.

Secondo un’autorevole fonte locale, Oday al Khadran, sindaco di Khalis, i jihadisti estraggono il petrolio dai pozzi della regione di Himrin e lo contrabbandano verso la Siria e la Turchia. “L’Isis – ha spiegato Khadran – riempie circa cento autobotti al giorno di greggio, che viene consegnato a commercianti senza scrupoli a Mosul o in Siria. Qui viene venduto a mediatori stranieri a circa 4.000 dollari per ogni autobotte, circa l’80 per cento in meno rispetto ai prezzi di mercato in Europa”.

I miliziani dell’Isis sono poi molto abili nel condurre gli attacchi alle raffinerie in quanto eseguono vere e proprie operazioni chirurgiche, precise ed efficaci, per non danneggiare gli impianti. Così, ad esempio, è avvenuto alla raffineria di Baiji la cui produzione di 300 mila barili di greggio al giorno non è stata mai sospesa ma soltanto rallentata.

I petroldollari quindi costituiscono la prima fonte di ricchezza per lo Stato Islamico che comunque continua ad accrescere le proprie casse con altre attività molto redditizie e sicure.

Tra queste i saccheggi messi in atto nelle città e nei villaggi conquistati che talvolta permettono di introitare risorse importanti. L’assalto alla sola banca centrale di Monsul, una città di 2 milioni di abitanti, ha fruttato all’Isis qualcosa come 400 milioni di dollari.

Ci sono poi le tasse imposte nei luoghi conquistati; queste sono di vario genere e gravano principalmente sui commerci e sui trasporti. Sembrerebbe che per ogni camion in transito l’imposta dovuta e immediatamente riscossa nei posti di blocco dell’Isis oscilli tra i 150 ed i 200 dollari.

A portare denaro nella casse del del Califfato c’è anche il contrabbando di qualsiasi cosa, dalle armi alla droga, che esiste da sempre nell’area. Alla voce contrabbando non poteva mancare il petrolio, in particolare quello che scorre negli oleodotti non controllati dall’Isis. Questi sono puntualmente forati, il petrolio spillato e poi rivenduto in Siria dove viene trasportato con decine di autobotti in raffinerie compiacenti. Per assurdo sembra anche che il petrolio, tramite bande d’intermediari, venga venduto anche allo stesso regime siriano che l’Isis combatte. Anche il contrabbando dei reperti archeologici è particolarmente prospero.

Un’altra voce del milionario bilancio dell’Isis è quella doppia “rapimenti/estorsioni” messe in atto nei confronti di famiglie ricche dei territori conquistati, quasi sempre commercianti, o verso stranieri. A Mosul nell’assalto al consolato turco avvenuto nel 2014furono rapite una quarantina di persone che sembra siano state liberate dietro il pagamento di un riscatto di diversi milioni di dollari.

Vi sono poi le donazioni, più o meno spontanee, che giungono da ogni parte del mondo da parte di migranti musulmani che talvolta non sono nemmeno consapevoli di mandare la loro zakat, l’elemosina islamica, ai terroristi. Secondo molti osservatori l’ascesa dello Stato Islamico è avvenuta anche grazie ai finanziamenti ricevuti a vari livelli da alcuni Paesi del Golfo (Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Kuwait, Bahrein) che vedevano le milizie del Califfato come un potente strumento bellico da utilizzare contro il regime siriano di Assad e l’Iran sciita e forse anche per indebolire la produzione petrolifera del concorrente Iran. Per ironia della sorte, molti dei Paesi del Golfo ex-finanziatori dello Stato Islamico, adesso hanno aderito alla coalizione anti-Isis. La consistenza e l’autorevolezza che l’assetto finanziario dello Stato Islamico ha raggiunto è tale chesembra sia imminente l’introduzione nei territori occupati di una moneta propria (dinaro), coniata in oro e in argento, che s’ispira a vecchie valute usate in molti paesi arabi. Insomma, nello Stato Islamico vige un regime finanziario alquanto variegato ma capace di rendere le casse del Califfato giorno dopo giorno sempre più floride.

Informazioni su Marco Blaset 151 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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