La recente decisione di ampliamento dei BRICS a 11 paesi membri, dagli attuali 5, ha generato opinioni controverse sull’impatto geostrategico che ne potrebbe conseguire in merito alle modalità con le quali intenderebbero riformare la governance globale.
E ciò anche a seguito dell’accresciuta assertività della politica dell’India di Modi, in particolare dell’ultimo G20, che sembra assumersi un ruolo via via crescente, quale ago della bilancia nella competizione dualistica tra USA e Cina.
E’ comunque assodato che i Brics intendono fortemente sostenere il loro supporto alle istanze di contestazione del sud globalizzato verso il nord globale. In particolare, come si legge al punto 5) delle risultanze del vertice di Johannesburg, per contribuire a: “una maggiore rappresentanza dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo, nelle organizzazioni internazionali e nei consessi multilaterali in cui svolgono un ruolo importante”. Basti pensare che il Consiglio di sicurezza dell’ONU è tuttora, a distanza di oltre 70 anni, composto dai 5 paesi membri permanenti che sono i vincitori della seconda guerra mondiale: Usa, UK, Russia, Cina e Francia.
Ma, se il gruppo ha richiesto la riforma del Consiglio, ostacoli in tal senso promanano proprio da membri Brics, quali Cina e Russia che, per rivalità geostrategiche in atto, non vedono certo “di buon occhio” l’entrata di India Brasile e Sudafrica nel Consiglio.
Per meglio comprendere inoltre il potenziale antagonistico che i Brics allargati potrebbero invece esercitare nei confronti dell’Occidente industrializzato – quale avversario geopolitico del sud globale – è opportuno esaminare più in dettaglio gli elementi istituzionali salienti ed i principali fattori economico-finanziari che delineano il quadro geopolitico e geoeconomico entro il quale essi potrebbero adottare comportamenti geostrategici sfidanti. E, però, dalla tavola di riepilogo numerico che segue, emerge in primo luogo la contemporanea partecipazione di 7 degli 11 Brics allargati anche al gruppo dei G20.
La compattezza di Cina e Russia deve in tal caso confrontarsi con l’avversione per l’unitaleralismo russo-sinico di chi sta dimostrando di privilegiare l’appartenenza al gruppo per ragioni di natura più commerciale e finanziaria che di condivisione ideologica, come il gigante indiano in primis; o l’Arabia S. che non si è certamente staccata da uno storico rapporto con USA, come anche Brasile ed Argentina. Mentre 2 dei 4 paesi residui (Etiopia ed Egitto) beneficeranno di una indiretta, ma autorevole rappresentanza presso il G20, come membri dell’Unione Africana.
Inoltre, tale stato di decomposizione sul piano geoeconomico dei Brics allargati, risulta avvalorato anche dalla loro partecipazione ad una molteplicità di accordi di partenariato, cooperazione e di libero scambio. Condizione che comporta di attenersi a vincolanti impegni e condizionalità, sul piano del commercio e degli investimenti, da condividere con una molteplicità di altri paesi non Brics aderenti agli stessi partenariati. Questo potrebbe apparire come un fattore di marginale rilevanza, ma non lo è, se solo si pensa al Rcep ed alle mire cinesi nell’indo-pacifico, mentre altri principali paesi membri del Rcep: Australia, Indonesia, e Corea del Sud sono anche membri G20, e Giappone del G7.
Una differenziazione che, sotto questo profilo, non si registra tra i 12 paesi del Mercosur che, però, ha in via di sottoscrizione un accordo di partenariato commerciale e di investimento con la UE. In cui si prevede ad es. il sostegno alla lotta alla deforestazione anche per il miglioramento delle condizioni di sopravvivenza degli abitanti dell’Amazzonia.
Un esempio di come questi accordi riflettano inevitabilmente i valori cui si ispirano le priorità geopolitiche e geoeconomiche dei governi delle nazioni partners. Si ha quindi motivo di ritenere, a seguito di vicende più o meno recenti, che sull’unilateralismo tenderà a prevalere l’opportunismo transazionista di ogni paese membro. Che spiega l’avvicinamento per ragioni commerciali dell’India alla Russia, la speranza dell’Iran, nemico degli USA, di potersi nel tempo avvalere – come anche Mosca – di aiuti indiretti degli altri membri per ridurre il peso delle sanzioni, il desiderio dell’Egitto di riuscire a realizzare i piani di investimento necessari a sollevare la sua economia, infine l’obiettivo dell’Arabia S., e degli Emirati, di continuare ad ampliare i loro gradi di libertà sul piano geoeconomico agendo anche in veste di finanziatori, al fine di creare o rinsaldare nuove alleanze regionali e bilaterali.
Da considerare che Argentina ed Etiopia stanno entrambe affrontando gravi crisi valutarie. Infine un limite alla compattezza dell’antagonismo può derivare anche da vicende geopolitiche e geoeconomiche che vedono ad esempio Arabia Saudita e IRAN storicamente rivali sul piano geopolitico, mentre l’Arabia ha visto erodere parte delle sue vendite di greggio nei paesi asiatici dalla politica del prezzo stracciato praticata dalla Russia.
Un fattore, invece, di fecondità per il potenziamento della compattezza e della deterrenza
antagonistica dei Brics allargati è certamente costituito dal fatto che 9 degli 11, ad eccezione di
India e Russia, abbiano aderito alla Belt&Road. Una situazione questa che, unita alla presenza di 7
regimi autoritari tra gli 11 dei Brics, contribuirà in futuro ad aggrovigliare ulteriormente la matassa
delle relazioni economiche e politiche internazionali, una volta che gran parte dei 40 paesi che
hanno espresso desiderio di unirsi ai Brics risultino anch’essi vincolati ai dettami di accordi di
libero scambio e di partenariato economico con paesi G20 o G7, come nel caso dell’atteso accordo
UE-Mercosur.
Merita infine di essere citata quell’importante area di potenziale antagonismo strategico,
esercitabile anche con azioni di sharp power diplomatico su paesi membri o candidati, e mirante
all’asservimento a finalità geopolitiche, da parte dei membri Brics, della disponibilità di metalli e
minerali critici indispensabili per la transizione energetica.
Infatti, in un contesto regolatorio in cui
è da tempo carente un ruolo assertivo del WTO, non si può escludere a priori che accordi tra i
membri per la determinazione, anche temporale, di prezzi o di restrizioni all’esportazione, ovvero
di controllo e selezione sugli investitori esteri, o di applicazioni ad hoc di tasse e royalties, possa in
futuro emergere come un serio rischio di collusione oligopolistica, da affrontare da parte dei paesi
del G7. (Pechino sta già inaspettatamente azzerando le sue esportazioni di gallio e germanio). Un rischio prospettico, questo, che potrebbe assumere rilievi di maggiore spessore probabilistico
qualora i Brics allargati riuscissero a coinvolgere in un siffatto disegno strategico anche paesi del
cosiddetto gruppo dei 77 (G77), che vede al suo interno la quasi totalità dei paesi emergenti ed in
via di sviluppo. Oltre ai 152 paesi classificati come “Developing” dall’ONU, verso i quali Pechino ha
lanciato la Global developing iniziative.
Per quanto concerne la geofinanza, laddove i Brics hanno già trovato uno spazio di pacifica
condivisione ideologica è quello della contestazione alle modalità operative dei poteri finanziari
forti dell’occidente, riconducibili fondamentalmente al FMI e alla Banca Mondiale. E’ innegabile
che la percentuale di voto esprimibile al FMI dal complesso dei paesi G7, superiore al 41%, appare
più che doppia del c.a. 18% in capo ai Brics allargati. Si tratta di una avversione verso queste
istituzioni di Bretton Woods legittimata dalle annose critiche per l’ imposizione di pesanti di
condizionalità ai paesi debitori del sud globale, e dai troppi anni della loro leadership in capo a
cittadini dell’Occidente industrializzato. In opposizione a ciò è risultata la costituzione, e relativa
localizzazione in Cina, dei due organismi finanziari dei Brics: la New Development Bank (NDB) e il
Contingent Reserve Arrangement (CRA). Come si può notare il capitale di controllo della NDB
risulta equamente suddiviso tra i 5 attuali paesi Brics indipendentemente dal loro peso
geostrategico. Ma l’eventuale partecipazione anche dell’Arabia S. potrebbe contribuire ad erodere
la pesante influenza geopolitica sulla banca oggi esercitabile dal blocco russo-sinico. Per quanto
concerne la finanza internazionale, è inoltre importante sottolineare che nessun paese degli 11
Brics allargati risulta sottoscrittore dell’accordo OCSE-Consensus, che regola per gli aderenti i crediti all’export che beneficiano di sostegno pubblico.
Inoltre i prestiti della NDB per progetti in taluni paesi potrebbero risultare aggiuntivi rispetto a quelli connessi ai grandi investimenti infrastrutturali in corso nell’ambito della B&R. Un finanziamento, quello cinese, in passato oggetto di acute critiche, soprattutto per il fatto che si tratterebbe di un debito nascosto, non riportato nei bilanci che i paesi sono tenuti a rivelare al FMI durante i negoziati di ristrutturazione. L’insieme delle controversie sui macrofinanziamenti ai paesi emergenti rappresenta certamente l’area di maggiore contendibilità geostrategica tra Cina e FMI, sia per l’esigenza di rendere ad un tempo economicamente compatibili i termini di ristrutturazione del debito estero nazionale, compreso quello verso il Club di Parigi, sia per evitare operazioni finanziarie da free rider, per avvantaggiarsi in vario modo dei rimborsi debitori a scapito di altri creditori. Una questione, dunque, di tale rilevanza da essere divenuta oggetto del punto 29) delle dichiarazioni del summit di Johannesburg, laddove si avanza richiesta di affrontare la tematica del debito dei paesi emergenti “con la partecipazione di creditori bilaterali ufficiali, creditori privati e banche multilaterali di sviluppo, in linea con il principio dell’azione congiunta e dell’equa ripartizione degli oneri”.
Ma, ci si permette di osservare, che una risposta a queste criticità da parte dei G7 non dovrebbe limitarsi ad una revisione di mission e modalità operative di FMI e BM, nella misura in cui potesse essere rafforzata/complimentata, da interventi a “dono” ai paesi del Sud globale da parte della UE che, a differenza di Italia e Germania – ma soprattutto di Francia – non soffre dello stigma di paese colonizzatore. Ue che dovrebbe quindi potere concertarne l’ideazione in forma unitaria, per i risvolti di diplomazia economica e politica, ed organizzare e gestire a tale fine parte dei fondi per la cooperazione allo sviluppo messi a disposizione dei singoli stati membri.
Per ragioni di sintesi espositiva si tralascia di affrontare adeguatamente la tematica dei difficili percorsi
operativi che i Brics dovrebbero affrontare per potersi avvalere di una valuta comune, nel contrasto al signoraggio del dollaro. Lo yuan cinese potrà però assurgere allo status di vero contendente del dollaro anche nel settore finanziario, e non solo in quello del commercio, quando i titoli di stato cinesi potranno essere acquistati con la stessa fiducia che oggi si ripone nei T-bills americani o nei Bund tedeschi. Comunque, la fattibilità tecnica di scambi commerciali intra-Brics già oggi consente di porre in essere relazioni commerciali in valuta locale – anche in modalità countertrade – ed entro plafond valutari gestibili anche in netting valutario.
Da quanto sinora indicato, si può in conclusione desumere che non è tuttora giustificabile la previsione di una immediata e pericolosa confrontazione geopolitica tra G7 e Brics, in ragione del fattore di permeabilità geostrategica, ovverosia dell“iper-lateralismo” su cui tale antagonismo dovrebbe poggiare. Conclusione che dovrebbe valere anche per il medio-periodo. In cui le variabili in gioco diverrebbero, solo per citarne alcune: 1) la reazione degli USA e della UE in interventi di avvicinamento geoeconomico al Sud globale, (ved.il progetto della Via del Cotone ad es.), le politiche del futuro presidente USA e della UE post-elezioni, l’esito della guerra in Ucraina e delle sanzioni alla Russia, l’incognita della fase congiunturale critica attraversata dalla Cina, le stesse accresciute difficoltà di coordinamento strategico connesse ad ogni ulteriore aumento della numerosità dei paesi Brics in dipendenza dagli opportunismi geopolitici e geoeconomici temporalmente cogenti (iper-lateralismo).
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