“Chi tocca il Corriere muore“. Questo avvertimento, ben noto agli analisti di Borsa, non ha mai dissuaso finanzieri, industriali e faccendieri dal tentare l’inosabile: entrare nel salotto buono del capitalismo italiano.
Il Corriere della Sera è sempre stato la magnifica preda che i potenti di turno di turno hanno tentato di conquistare e controllare, da Eugenio Cefis, negli anni Settanta presidente della Montedison, a Roberto Calvi, il banchiere dell’Ambrosiano che servì su un piatto d’argento il quotidiano di via Solferino a Licio Gelli e alla P2.
Dalla data di nascita, febbraio 1876, il Corsera ha visto mutare più volte il suo assetto proprietario e i suo equilibri politici, magari all’interno della stessa compagine azionaria.
L’obiettivo è facilmente comprensibile: chi controlla Rcs, la scatola finanziaria che lo possiede, ha un peso preponderante nell’editoria italiana attraverso quel simbolo prima della borghesia milanese poi di tutti i moderati italiani, sopravvissuto allo scandalo della P2 e di nuovo protagonista delle vicende degli ultimi decenni.
Nel 1974, dopo oltre novant’anni, la proprietà passa dalla famiglia Crespi ai Rizzoli, dall’anno prima anche gli Agnelli sono nell’azionariato con una quota di minoranza poi ceduta a Rizzoli e ‘ripresà negli anni Ottanta. Travolto dalle vicende finanziarie legate al dissesto del Banco Ambrosiano e allo scandalo della P2 il capitale del quotidiano cambia di nuovo indirizzo e nel 1984 vede entrare una cordata composta dal gruppo Agnelli, Mediobanca, l’allora Montedison e la finanziaria Mittel che ruota intorno a Giovanni Bazoli.
Da allora è un lungo ripetersi di cambiamenti negli assetti (per un periodo di tempo anche i Romiti entrano nel controllo di Via Solferino per uscirne definitivamente nel 2004) di assalti e difese al Corriere culminate con la più celebre e violenta battaglia, ovvero la fallita scalata di Stefano Ricucci, finita nell’estate del 2005 dopo il primo scandalo intercettazioni degli ultimi anni, quello dei «furbetti del quartierino».
Il tentativo dell’ex immobiliarista della provincia romana puntava a rompere gli equilibri societari per crearne di nuovi insieme con quelli che all’epoca sembrano i nuovi protagonisti dell’economia italiana (da Coppola a Fiorani, da Consorte al governatore Antonio Fazio) o forse più semplicemente, secondo alcune ricostruzioni, per cercare una sponda politica. Ricucci comincia a comprare pacchetti del gruppo editoriale fino ad arrivare vicino al controllo della società, ma in questo salotto buono della finanza italiana non entrerà mai.
Altri tentativi, più o meno espliciti, di prendere il controllo del CorSera sono stati effettuati negli ultimi anni. Resta un fatto che tutti i tentativi di scalata hanno portato sfortuna ai protagonisti, chi è morto, chi ha perso il suo status, chi è finito in galera.
La scalata al Corriere forse rimarrà un sogno proibito, a meno che qualcuno non decida di rompere quella filiera di scatole cinesi che ne detiene il controllo (azione in parte già in corso) e di consegnare finalmente al paese un quotidiano svincolato dai soliti giochi di potere, magari sotto forma di pubblic company, dove quello che conta sono i risultati editoriali e finanziari e non le strategie di posizionamento.
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