La vita spericolata del Credit Suisse tra dittatori, trafficanti e operazioni border-line

La bufera che in questi giorni sta travolgendo il titolo Credit Suisse in Borsa, causata dall’effetto a catena del fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), è anche figlia di una serie di operazioni spericolate che la seconda banca svizzera ha compiuto negli ultimi anni e che hanno minato la fiducia del mercato nei suoi confronti. Operazioni che sono state ampiamente documentate da alcune inchieste giornalistiche.


Il giornale tedesco Süddeutsche Zeitung ha pubblicato, in collaborazione con decine di altre testate internazionali, un’inchiesta sul Credit Suisse chiamata “Suisse Secrets” che si basa su informazioni riservate consegnate ai giornalisti da una fonte anonima, che riguarderebbero migliaia di conti correnti aperti nella banca negli scorsi anni da persone accusate di attività illecite o colpite da sanzioni internazionali.

Tra le persone che avrebbero avuto conti segreti in Credit Suisse c’erano, tra gli altri, il re di Giordania Abdullah II di Giordania, i figli dell’ex dittatore egiziano Hosni Mubarak, l’ex viceministro dell’Energia del Venezuela Nervis Villalobos, al centro di varie inchieste per riciclaggio, un uomo d’affari dello Zimbabwe sanzionato dalle autorità statunitensi ed europee per i suoi legami con il governo dell’ex presidente Robert Mugabe, un trafficante di esseri umani nelle Filippine e un funzionario della Borsa di Hong Kong in carcere per corruzione.

La Stampa, che ha partecipato all’inchiesta per l’Italia, scrive che tra i possessori di conti in Credit Suisse c’era anche una persona italiana legata al riciclaggio di denaro per conto di cosche della ‘ndrangheta, e diversi altri italiani, principalmente domiciliati in Venezuela, accusati a vario titolo di attività illecite.

Le informazioni sono state fornite da un whistleblower (il termine con cui si definisce una persona che denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite all’interno di un’organizzazione pubblica o privata), e riguardano più di 18mila conti riconducibili a oltre 30 mila persone e società, in cui erano contenuti più di 100 miliardi di euro. I conti vanno da alcuni aperti negli anni Quaranta fino ad altri aperti negli ultimi dieci anni.

La banca non ha voluto commentare l’identità dei proprietari dei conti, sostenendo che ciò è dovuto alle leggi sul segreto bancario della Svizzera, che impediscono agli istituti bancari di diffondere informazioni relative ai propri clienti, ma ha detto che la maggior parte dei conti è stata chiusa negli ultimi anni: di questi circa il 90 per cento è stato già chiuso o è in procinto di essere chiuso, e il 60 per cento è stato chiuso prima del 2015, ha affermato la banca. Credit Suisse inoltre smentisce ogni comportamento illecito e ritiene che le inchieste siano il frutto di «interpretazioni tendenziose del business della banca».

Le rivelazioni dell’inchiesta non sono una novità per Credit Suisse, che era già stata al centro di accuse simili negli anni passati: nel 2000 era emerso che tra i suoi correntisti c’era stato il dittatore nigeriano Sani Abacha, che aveva nascosto in Svizzera oltre 200 milioni di dollari. E più di recente, nel 2014, aveva accettato di pagare circa 3 miliardi di dollari di sanzioni alle autorità statunitensi per aver aiutato cittadini americani a presentare false dichiarazioni dei redditi ed evadere le tasse. Era stata inoltre sanzionata per oltre mezzo miliardo di dollari per aver aggirato le sanzioni statunitensi contro alcuni paesi, tra cui Iran e Sudan.

L’inchiesta rivela inoltre come Credit Suisse abbia mantenuto segreti i conti di diversi cittadini non residenti in Svizzera, nonostante dal 2017 il governo svizzero abbia abolito il segreto bancario per questi ultimi con un accordo firmato con circa 100 paesi. Il segreto bancario, creato negli anni Trenta del Novecento, impediva ai paesi esteri di avere informazioni sui depositi dei propri cittadini in Svizzera, ma dal 2017 non è più così per i paesi firmatari dell’accordo. Fino ad allora il segreto bancario aveva permesso a cittadini di altri paesi di depositare denaro in Svizzera, in molti casi per evadere le tasse o per nascondere denaro proveniente da attività illecite. Nel caso dell’inchiesta “Suisse Secrets”, comunque, molte delle persone coinvolte sono residenti in paesi che non hanno firmato l’accordo con la Svizzera, come ad esempio Egitto e Venezuela.

Per alcune delle operazioni border-line effettuate il Credit Suisse è stato condannato o ha dovuto sottoscrivere delle transazioni con le autorità competenti. In ogni caso il suo stile di gestione “aggressivo” gli ha causato più problemi che vantaggi come è evidente dalla debacle in Borsa di questi ultimi giorni e dalla difficoltà di trovare un “cavaliere bianco” pronto a salvarla.

UBS compra il Credit Suisse

Le autorità svizzere, dopo giorni di trattative febbrili, hanno trovato una soluzione per salvare il Credit Suisse, il cui eventuale fallimento causerebbe un effetto a cascata dalle conseguenze devastanti per tutto il sistema finanziario. UBS, primo gruppo bancario della confederazione, acquista il Credit Suisse per 3 miliardi di franchi e otterrà dalle autorità elvetiche liquidità per 100 miliardi franchi per gestire tutte le eventuali criticità dell’operazione che potrebbero emergere nei prossimi mesi. Adesso bisogna solo attendere la risposta dei mercati.

Informazioni su Marco Blaset 152 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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