Recuperiamo l’ottimismo degli anni ’80 per uscire da questa lunga fase di buio

Chiunque abbia vissuto gli anni ’80 ricorda l’ottimismo, la creatività esplosiva e l’incoscienza di quel periodo unico. Dopo nulla è stato più come prima. Negli anni novanta è iniziata una lunga fase di crisi economica, sociale e creativa da cui non siamo mai veramente usciti. Tutti noi sappiamo che gli eccessi degli anni ottanta li abbiamo pagati con gli interessi, scaricandoli in buona parte sulle generazioni future, e di questo dobbiamo fare tesoro perchè la Storia si ripete ciclicamente.


L’eredità positiva di quel decennio resta l’ottimismo, la voglia e la capacità di sognare un futuro migliore, merce oggi rarissima. Senza scadere nella nostalgia, che tanti danni ha provocato e ancora provoca, dovremmo riuscire a recuperare quell’ottimismo, a tratti anche incosciente, quella voglia di vivere e mettersi in gioco che aveva caratterizzato quegli anni.

Per capire cosa recuperare e cosa “buttare a mare” dobbiamo anzitutto evitare di fare sconti agli anni ’80, le cui degenerazioni hanno provocato alcuni effetti devastanti nella società, e analizzare quel periodo con lucidità e severità.

Partiamo dall’economia, che è sempre il motore di qualsiasi cambiamento. Tra il 1983 e il 1987 il Pil cresce al ritmo del 2,5% l’anno, le esportazioni crescono, l’inflazione scende al 4,6%, la borsa di Milano aumenta la propria capitalizzazione di oltre quattro volte e circa il 60% degli occupati è assorbito dal terziario. Dinanzi a questa netta ripresa dell’economia un bel libro fotografico sul decennio 1981-1990 è correttamente intitolato dall’autrice, Manuela Fugenzi, Il mito del benessere (Editori Riuniti, Roma, 1999). Scrive Fugenzi: “Nella nostra memoria, è il decennio del dilagare dei consumi e dei successi dell’esportazione, dell’orgoglio del Made in Italy che, come sintomo di un processo di sprovincializzazione, andrà progressivamente modificando l’immagine tradizionale del nostro paese. In un contesto di laicizzazione della società e della politica in cui scompaiono chiese e ideologie, si assiste all’enfatizzazione di nuovi valori”.

Politica e società. Gli anni ’80 sono anche gli anni in cui si assiste al riflusso nel privato. Ossia a un forte disimpegno dei cittadini nella politica. Tendenza che giungerà a completo compimento con le attuali giovani generazioni ormai del tutto spoliticizzate e dunque in difficoltà nel comprendere ciò che gli accade intorno: dalla disoccupazione alle guerre in Medio Oriente e così via. Durante gli anni ’80 il movimento femminista e quello operaio inizieranno la loro parabola discendente e oggi possono dirsi praticamente estinti.

Dopo la fine dei partiti di massa ai nostri giorni l’attacco della quasi totalità del mondo dell’informazione si concentra sul sindacato, ultimo corpo intermedio da ridurre ai minimi termini per lasciare campo libero alle “riforme”. Ancor oggi parola magica e terribile, la stagione delle “riforme” venne promossa negli anni ’80 da Bettino Craxi e aveva come obiettivo principale il contenimento del costo del lavoro. Correva l’anno 1984 e nel medagliere dell’allora segretario del PSI annoveriamo l’abolizione della scala mobile (il sistema di adeguamento dei salari al costo della vita attraverso gli scatti di contingenza) che taglierà sensibilmente le buste-paga. Anche questa è una tendenza che da oltre trent’anni vediamo galoppare senza sosta fino a giungere all’oggi: basse retribuzioni, precarietà, cancellazione dei diritti fondamentali dei lavoratori.

Appare chiaro a questo punto che gli anni’80 riemergono ciclicamente perché costituiscono il decennio in cui prende avvio un’era: l’era della grande normalizzazione che condurrà all’attuale società dominata dalla forma-merce. Giovani e lavoratori dipendenti sono due dei principali bersagli di tale processo. Ai primi la Tv commerciale, che in Italia si afferma proprio negli anni ’80, offrirà, e offre tutt’ora, un modello di vita fondato sul consumismo, sul mito borghese del self-made man, e su un anticonformismo di facciata. Per quanto concerne i lavoratori dipendenti a partire dagli anni ’80 ad oggi si è compiuto il dominio pressoché assoluto del capitale sul lavoro.

La rivoluzione del costume è un altro aspetto che ha caratterizzato gli ottanta, in buona parte conseguenza del benessere economico. La moda italiana ha saputo cogliere questa tendenza e proprio in quel decennio si è affermata su scala internazionale. La creatività è stato uno degli asset principali di quel decennio, che si è propogata come un virus (positivo) da un settore all’altro della società senza soluzione di continuità.

Possiamo oggi recuperare la positività degli anni ’80 senza trascinarci dietro le storture?
La risposta è si perchè gli anni ’80 sono nati sulle ceneri di un decennio buio, i settanta caratterizzati da lotte sociali aspre, terrorismo e nostalgia per i ’60, proprio come gli attuali anni venti nascono sulle ceneri dei dieci, altro decennio buio caratterizzato da guerre, decadenza e perdita di valori. Le condizioni di partenza non sono le stesse, ma negative in entrambi i casi. All’inizio degli ’80 come all’inizio del 2020 i giovani sono confusi, smarriti e non credono ad un futuro migliore.

Da qui dobbiamo partire per cercare la luce in fondo al tunnel, anche se adesso non riusciamo a vederla. Qualcuno lo chiama ottimismo, altri la chiamano incoscienza, ma è il mix di questi due valori tipici degli anni ’80 che dobbiamo recuperare e riuscire a trasmettere ai giovani. Il resto non ci serve, lo lasciamo volentieri agli anni ’80.

Informazioni su Marco Blaset 155 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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