Sanremo e la Tv sono l’unico ascensore sociale di un paese che detesta la meritocrazia

Un evento che riesce a catalizzare per cinque giorni l’attenzione di oltre dieci milioni di italiani è per sua natura una vetrina dove tutti vogliono apparire e non stiamo parlando solo degli artisti in gara. Il Festival di Sanremo è un magnete irresistibile anche per chi ha potere politico o economico.


Sarà pure vero che il potere della tv non è più quello di una volta. Sarà pure vero che, oggi, il peso di Internet e dei social è incalcolabile. Ma il tubo catodico è tutt’altro che prossimo alla rottamazione. Anzi, a giudicare dalle ultime edizioni del Festival di Sanremo, si direbbe che la televisione stia rivivendo una seconda giovinezza: non tanto per il numero ragguardevole dei suoi spettatori, quanto per la straordinaria rilevanza che tutti le riconoscono. A cominciare dalle élite di ogni categoria, dalla classe politica e dalla maggioranza dei cittadini.

Ogni anno il Festival e la relativa rappresentazione-narrazione televisiva fanno scorrere – si sarebbe detto mezzo secolo fa – fiumi di inchiostro, al cui confronto le cronache su una crisi di governo somigliano a ruscelli prosciugati dalla siccità. Ogni anno il festival di Sanremo smarrisce sempre più le note della sua vocazione originaria (lanciare canzoni e cantanti) per trasformarsi in un ring per i duellanti della politica, ossia in un test su chi comanda in Italia. Il che non sarebbe possibile senza la posizione dominante tuttora esercitata dalla Regina Madre Televisione.

In Italia, da decenni ormai, non si vota solo per eleggere il nuovo Parlamento. In Italia si vota per scegliere il nuovo governo che potrà dire di essere davvero in sella, al sicuro, non quando avrà ricevuto la fiducia parlamentare, ma solo quando avrà nominato i nuovi capi della Rai. Per abbreviare: le nomine dei dirigenti Rai e dei direttori dei Tg, da cui dipendono trasmissioni e notiziari, sono più ambite e approfondite, per chi ha vinto le elezioni, della scelta dei singoli ministri. Infatti. La formazione dell’esecutivo richiede, più o meno, una settimana di tempo. Il rinnovo dei vertici della tv pubblica richiede mesi e mesi di trattative e riflessioni, tra sgambetti reciproci e colpi bassi infiniti, segno che l’infocrazia (potere dell’informazione) ha surclassato la democrazia e la stessa partitocrazia e che, nel borsino del potere, una scrivania di pregio in Rai pesa e vale molto di più di una poltrona ministeriale.

E siccome il Festival di Sanremo costituisce l’appuntamento clou di ogni annata televisiva, non occorre aver studiato i classici della massmediologia e della politologia per giungere a una facile conclusione: il binomio Sanremo-Tv non è certo la classifica delle nuove tendenze musicali, non è solo lo specchio del Paese reale e surreale, ma è soprattutto l’hit parade di chi conta davvero nel Paese e di chi spera di contare davvero, in futuro. Più prosaicamente: il tandem Sanremo-Tv è il chiaro oggetto del desiderio di chi fa politica, dal momento che nessun evento può competere, con la rassegna ligure, nella gara a raggiungere, e a stupire, la moltitudine degli italiani. E dal momento che i voti e il consenso costituiscono per leader e aspiranti leader l’obiettivo primario di ogni loro atto, nulla più della vetrina sanremese può incidere negli orientamenti dell’opinione pubblica.

Che l’abbinata Sanremo-TV sia insuperabile nella ricaduta mediatica, non lo ha dimostrato solo il caso Zelensky del 2023, che ha portato il presidente ucraino ad accettare, addirittura, la soluzione minimalistica di inviare un testo scritto anziché di intervenire in viva voce, pur di non rinunciare al rimbalzo comunicazionale connesso alla ribalta festivaliera.

I nuovi veri ricchi – non tutti ovviamente – sono per lo più figli del video, più che delle imprese, delle professioni, dell’impegno straordinario. Senza la spinta della tv, senza la visibilità assicurata dalla tv, senza la credibilità garantita dalla tv, senza la notorietà procurata dalla tv, riesce difficile scalare l’Olimpo del benessere e dell’agiatezza, dal momento che nei rimanenti settori la meritocrazia è sinonimo di bestemmia e il lavoro sodo, manca poco, sarà considerato alla stregua di un reato. Ovviamente c’è anche lo sport ad agevolare balzi da record per il conto in banca. Ma lo sport richiede una fatica immane, non a caso resta l’unica voce in cui il criterio meritocratico non soltanto è accettato, ma addirittura è preteso. La tv, invece, non impone l’eccellenza, tutt’al più cerca l’irregolarità, l’eccentricità. Di sicuro, la mediocrità, senza scomodare la buonanima di Umberto Eco (1932-2016), non ha nulla da temere da questa scatola magica che ancora ammalia vecchi e giovani. Anzi ha molto da guadagnare.

Ecco perché Sanremo e la Tv sono più vitali che mai, anche se fanno coppia fissa da tre quarti di secolo. Insieme racchiudono e rappresentano il vecchio e il nuovo, la politica e l’antipolitica, Gianni Morandi e Blanco. Insieme stanno a indicare il potere reale dell’oggi e la ricchezza materiale del domani.

Informazioni su Albertina Marzotto 81 Articoli
Esperta di moda e giornalista di costume. Ex Product Manager del Gruppo Marzotto. Autrice del libro "L'abito fa il monaco?" edito da Mondadori.

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