La sindrome di Hikikomori colpisce oltre 100 mila italiani. Perchè ci si lascia andare senza combattere?

A volte capita di lasciarsi andare. Di non avere voglia di combattere. Capita dopo una grande delusione. Le sconfitte lasciano cicatrici non sempre facili da rimarginare. Ma capita di lasciarsi andare anche perché non si riesce a capire quale possa essere il nostro posto nel mondo o perché si ha paura o si è stanchi di combattere per obiettivi e per certezze che stentano ad essere raggiunti. Per fortuna la vita gira e siamo proprio noi, con le nostre azioni, a mettere in moto ogni giorno infinite possibilità di cambiamento. Ma che succede se questo stato di isolamento sociale o di “rinuncia ad agire” diventa patologico?

Ne sanno qualcosa coloro che soffrono della “sindrome di hikikomori” (letteralmente “stare in disparte”), termine giapponese che sta ad indicare una persona che per mesi o addirittura per anni sceglie di ritirarsi dalla vita sociale. Un fenomeno che è stato identificato per la prima volta in Giappone, già a partire dagli anni ’80, e che coinvolge una fascia di età che va dai 14 ai 30 anni. Il soggetto affetto da questa sindrome si isola completamente dai rapporti con gli altri. Resta chiuso nella propria stanza ed evita qualsiasi forma di contatto o confronto con il mondo esterno.

Secondo gli esperti che stanno seguendo il fenomeno, solo in Giappone si registrano un milione di casi, pari all’uno per cento della popolazione. Ma la sindrome si sta diffondendo sempre di più anche in tutti gli altri paesi sviluppati. Pressioni culturali sempre più forti, livello di competizione sociale portato all’estremo e mancanza di certezze e punti di riferimento, sono le cause che stanno contribuendo ad aumentare il numero di soggetti coinvolti.

E in Italia cosa succede? Qui da noi le persone affette da sindrome di hikikomori sarebbero circa 100 mila. Tutto dipende dai cambiamenti in atto nella nostra società. Una società sempre più “fluida” come direbbe il filosofo Bauman. Con figli unici sempre più soggetti a pressioni, con il lavoro che manca, con la crisi economica che ha modificato le nostre certezze sul futuro, con l’avvento dei social network e l’ascesa della società dell’immagine. In Italia l’hikikomori colpisce anche le donne, con un rapporto di 70 (uomini) a 30.

Per l’associazione “Hikikomori Italia” le cause principali di questi comportamenti possono essere diverse. Innanzitutto caratteriali. Gli hikikomori, infatti, sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche particolarmente introversi e sensibili. Questo temperamento contribuisce alla loro difficoltà nell’instaurare relazioni soddisfacenti e durature, così come nell’affrontare con efficacia le inevitabili difficoltà e delusioni che la vita riserva. Ad incidere possono essere anche cause familiari, come “l’assenza emotiva del padre e l’eccessivo attaccamento con la madre“, quando “i genitori faticano a relazionarsi con il figlio, il quale spesso rifiuta qualsiasi tipo di aiuto“. Oppure possono contribuire cause scolastiche, come il rifiuto delle lezioni. Quest’ultimo, dicono gli esperti, è uno dei primi campanelli d’allarme. Bisogna fare attenzione soprattutto quando l’ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo, perché, molte volte dietro l’isolamento può nascondersi anche una storia di bullismo. Infine, ci sono le cause sociali, quando si arriva ad avere una visione molto negativa della società e si sente sulle spalle il peso asfissiante di aspettative esterne che spesso non corrispondono al reale desiderio o volontà del soggetto.

Le conseguenze sono una difficoltà crescente nel gestire tutti gli aspetti della vita quotidiana e una pressante demotivazione. Tutti elementi che, a medio lungo termine, possono portare ad un vero e proprio rifiuto della vita. Prende sempre più piede, nei pensieri degli hikikomori, la voglia di lasciarsi andare con la convinzione che non valga la pena di lottare per un futuro che non sarà mai migliore del presente.

Ma come vive un ragazzo o una ragazza hikikomori? Passando quasi tutta la giornata chiusi nella propria stanza. Ogni attività sociale e culturale viene messa da parte, così come la frequentazione delle amicizie. L’unico sfogo resta il web e la immersione nei mondi virtuali, come quelli dei videogiochi. Una fuga verso il virtuale, con quest’ultimo che sostituisce letteralmente la vita reale. Bisogna fare molta attenzione al periodo critico della crescita degli adolescenti, soprattutto quello dettato dal passaggio dalle scuole medie alle superiori. E’ in questi momenti che l’incertezza per il futuro si fa più pressante e l’aspetto competitivo della vita comincia a manifestarsi in maniera sempre più decisa. In questo scenario diventa strategico aprire un ampio dibattito sull’hikikomori, a partire da mondo della scuola.

La sindrome di hikikomori non colpisce in via repentina. E’ un viaggio spesso, lento e costante, verso l’isolamento, prima interiore e poi esteriore. Bisogna comprenderne il percorso per aiutare chi ne resta colpito. L’hikikomori è una malattia a sé, mentre il disturbo d’ansia, la depressione o la dipendenza da Internet potrebbero rappresentare una conseguenza dello stesso isolamento, spiegano gli esperti. Bisogna far comprendere ai nostri ragazze e ragazzi una certa “cultura della sofferenza“, come viaggio in grado di segnarci (con le sue cicatrici) ma anche in grado di forgiare noi stessi come un essere umano unico ed irripetibile. Un essere completo non è colui che vince sempre, ma colui che apprende dalle proprie sconfitte per migliorarsi. Le sconfitte, le delusioni della vita servono a migliorarci. Ed è questo lo scopo finale che andrebbe insegnato ai nostri ragazzi: puntare al miglioramento e non alla vittoria.

Giuseppe Lanese
Informazioni su Giuseppe Lanese 12 Articoli
Giornalista professionista, comunicatore e formatore. Collabora con Tiscali News ed è Responsabile Cultura dell'agenzia di stampa Primapress. Responsabile comunicazione dell'Ufficio Scolastico del Molise. Fa parte della rete dei Referenti del MIUR per le attività del Piano Nazionale Scuola Digitale ed è Componente del Cantiere nazionale Scuola Digitale di ForumPA. Collabora, come Cultore della materia, con l’Università Telematica Pegaso per il corso di “Comunicazione digitale e social media” ed è Cultore della materia per il corso di "Educazione degli Adulti" presso l'Università LUMSA di Roma. Dal 2016 è Consigliere del direttivo nazionale di AICA con delega ai rapporti con i media. E' autore di “Non è mai troppo tardi – Abc della scuola buona che comunica” (Magi Edizioni) 2016.

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