Sanità, confronto tra il sistema italiano e quello americano ai tempi del Coronavirus

In Italia la parola “pubblico” coincide spesso con “mal gestito“. E così la mente vaga verso quei Paesi, come gli Stati Uniti, in cui gli ospedali brillano di luce propria e pagano a peso d’oro le eccellenze della medicina perché basati su un sistema privatistico. E’ tutto oro quello che luccica e che mostrano i serial televisivi statunitensi? Evidentemente no, visto che anni fa l’ex Presidente Barack Obama ha tentato di fare una riforma sanitaria, poi bloccata negli effetti dalle lobby private.

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Sanità Usa: se paghi, ti curi (forse)

Negli Stati Uniti, così come in molti altri Paesi americani, il sistema sanitario è prevalentemente nelle mani dei privati. Per ricevere prestazioni mediche bisogna avere stipulato una polizza di assicurazione con una compagnia assicurativa privata. Gli unici programmi assistenziali pubblici sono il Medicare, rivolto agli anziani ultrasessantacinquenni e indipendente dal reddito, e il Medicaid, che aiuta le fasce di popolazione sotto la soglia di povertà (che in USA ammonta a 11.490 dollari annui).

Chi non rientra nelle suddette fasce deve stipulare una polizza. Fin qui è tutto semplice e logico: chi ha un reddito decente stipula un’assicurazione e il gioco è fatto. In realtà dietro questo sistema apparentemente perfetto si celano moltissime anomalie, spesso denunciate da più parti come avvenuto in “Sicko”, il documentario del 2007 di Michael Moore.

Innanzitutto, i costi delle polizze variano di Stato in Stato e chi non ha la fortuna di lavorare in un’azienda che copre tutti o parte dei costi assicurativi, può arrivare a sborsare anche 700 dollari al mese.

Alcune polizze, soprattutto quelle di base, coprono le spese mediche solo a partire da una certa cifra, mentre quelle più costose danno enormi vantaggi e assicurano trattamenti d’eccellenza. Accade inoltre che in caso di determinate patologie congenite, ma anche di soggetti con comportamenti ad alto rischio di malattie, come per esempio i fumatori cronici, l’assicurazione si rifiuti di stipulare la polizza o chieda premi esorbitanti. Da rilevare, poi, che il cittadino che ha ricevuto cure e prestazioni deve anticipare quanto fatturato da medici e ospedali in attesa che l’assicurazione provveda al rimborso.

Capita, dunque, che un ragazzo che ha deciso di andare a vivere da solo e che si mantiene con lavori saltuari decida di non stipulare un’assicurazione privata (i casi documentati sono tantissimi). Anche un padre di famiglia in momentanea crisi di liquidità può decidere, magari temporaneamente, di fare a meno dell’assicurazione sanitaria. Pregando, però, che la salute assista lui e la sua famiglia, perché un ricovero potrebbe costargli caro. Nel caso di una semplice appendicectomia si arrivano a pagare 30 mila dollari, che salgono a 85 mila per un trauma da incidente stradale. Un parto gemellare prematuro genera una fattura di 150 mila dollari, un infarto arriva invece a costare fino a 180 mila dollari, e una semplice visita di controllo dal pediatra? Circa 400 dollari.

Questo sistema negli anni ha alimentato il potere delle lobby e non ha fatto risparmiare un granché allo Stato visto che gli USA hanno una spesa sanitaria statale più alta (il 19,9% rispetto al totale della spesa pubblica) di altre potenze economiche quali Germania, Francia e Italia (14,4%). Obama ha dunque avuto le sue ragioni a premere per il Patent Protection and Affordable Care Act, anche noto come Obamacare. L’obiettivo è quello di “obbligare” tutti i cittadini a stipulare una polizza di assicurazione. Dal canto loro, però, le assicurazione dovranno offrire prodotti accessibili e privi di componenti discriminatore.

In Italia

Il Sistema Sanitario Nazionale italiano è un sistema pubblico a carattere “universalistico“, di uno Stato sociale che garantisce l’assistenza sociale a tutti i cittadini, finanziato dallo Stato stesso attraverso la fiscalità generale e le entrate dirette, percepite dalle aziende sanitarie locali attraverso i ticket, cioè delle quote con le quali l’assistito contribuisce alle spese e alle prestazioni a pagamento.

Nel 2000 l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) lo aveva inserito al secondo posto nella classifica dei migliori sistemi sanitari nazionali al mondo in termini di efficienza di spesa e accesso alle cure pubbliche per i cittadini dopo quello francese. Da rilevare che quella classifica destò parecchie critiche sia per la metodologia adottata che per i fattori presi in considerazione. Per questo nel 2010 l’OMS si è guardata bene dal farne un’altra aggiornata. L’ha fatto però Bloomberg lo scorso anno, collocando l’Italia al 5° posto tra i Paesi con la sanità più efficiente (al primo c’è Hong Kong, seguita da Singapore, Giappone, Israele e Spagna. Gli USA sono solo quarantaseiesimi per il pessimo rapporto spesa/risultato).

Non solo: il Bel Paese è anche il 4° Paese dell’Europa Occidentale per spesa sanitaria governativa (la prima è la Germania, seguita da Francia e UK). Che non è poco, se si pensa che è molto indietro nella classifica delle economie con la migliore performance a livello di PIL. Ancora: secondo una recente ricerca dell’ISTAT, l’Italia fa registrare tassi di mortalità entro i primi 5 anni di vita tra i più bassi al mondo (3,3 per mille nati).

L’Italia è stata promossa anche dall’OCSE in occasione dell’edizione del 2013 di “Healthat a Glance“, anche se negli ultimi anni si è registrata una contrazione della spesa sanitaria. In questo, però, la Penisola è in buona compagnia: lo stesso trend si è verificato anche in molti altri Paesi europei a causa della crisi e dell’esigenza di tenere i conti in ordine.

Per il resto, l’Italia è il secondo Paese più longevo tra quelli OCSE, ed ha la più alta percentuale di vaccinazione degli anziani contro l’influenza (si fa notare che i vaccini sono gratuiti, dunque a carico dello Stato, per gli over 65).

Non mancano i difetti, come per esempio la scarsa diffusione dei farmaci generici, i troppi parti cesarei e troppi medici rispetto alla media OCSE e al numero di infermieri pro-capite. Bazzecole, commenterebbe qualcuno, in confronto, per esempio, ai reati accertati nella sanità (tra il 2010 e il 2012 ne sono stati accertati per 1,5 miliardi di euro). E poi, l’Italia vanta luminari della medicina da fare invidia al “Dottor House”, e questo è risaputo in tutto il mondo.

La sanità dei paesi europei

Anche tra gli altri principali partner europei dell’Italia la sanità è pubblica. In alcuni Paesi, come Francia e Germania, è molto efficiente mentre in altri si riscontrano deficienze. Per esempio, il National Health Service britannico, primo grande sistema sanitario pubblico, attualmente ha alcuni gravi problemi strutturali, crescenti liste di attesa per i trattamenti e per operazioni urgenti, standard del trattamento deteriorato in alcune strutture. Per questo molti inglesi di categoria di reddito più elevato comprano un’assicurazione privata.

La virtuosa Germania, a detta di molti italiani che vi risiedono, presenta invece alcune stranezze. La lista di cure rimborsabili o non rimborsabili è a volte opinabile e di dubbia coerenza. Due anni di psicanalisi dal terapeuta che preferisci te li paga l’assicurazione, la pulizia dei denti invece devi pagartela tu, per non parlare della mappatura dei nei dal dermatologo: se hai meno di trenta nei è a carico tuo, da trenta nei in poi paga l’assicurazione. I medici specializzati adottano pesi e misure diversi per gli assicurati statali e quelli privati.

In definitiva, la sanità italiana è migliore in potenza e copertura, come la gestione dell’emergenza Coronavirus sta dimostrando, ma viene fatta funzionare a macchia di leopardo, bene in alcune regioni del Nord, male, molto male al Sud, con alcune significative eccezioni. Ma c’è un problema comune a tutti: la sanità pesa come un macigno sui conti dello Stato ed è macchinosa e bisognosa di riforme, cosa che tutti gli Stati stanno tentando di fare negli ultimi anni.

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