Droga, armi e opere d’arte. Le mille vite di Raffaele Imperiale, il broker della camorra arrestato a Dubai

E’ l’alba di una fredda mattina di dicembre 2002 quando un uomo vestito di nero sale rapidamente i pioli di una scala appoggiata sulla facciata principale del Van Gogh Museum di Amsterdam, infrange il vetro di una finestra del primo piano e si intrufola in una delle sale espositive.

Quando ne esce facendo il percorso inverso sono passati, per sua stessa ammissione, tre minuti e quaranta secondi e ha in mano, all’interno di un sacco, due dipinti di Van Gogh.

In pochi giorni trova due potenziali acquirenti nell’ampio sottobosco della malavita olandese. Nel giorno concordato per lo scambio, però, i due vengono uccisi, non si sa da chi. Il ladro deve ora trovare un altro compratore, e in fretta, convinto com’è che quei quadri siano «maledetti». Il nuovo acquirente è un italiano, insediatosi nella capitale olandese negli anni Novanta e dalla doppia vita: gestore di un noto coffee shop in quella pubblica, broker della cocaina in quella privata.

Raffaele Imperiale è figlio di una famiglia benestante. Il padre Ludovico è uno dei costruttori più noti di Castellammare di Stabia (Napoli) e con un passato da vice presidente della Juve Stabia, la società calcistica cittadina. Da adolescente, però, Raffaele non segue le orme del padre e fin da giovanissimo si mette in proprio vendendo acqua minerale per strada, guadagnandosi così il nomignolo di “Ciccio Ferrarelle”. Poi, il trasferimento in Olanda, dove a 21 anni eredita nella capitale la gestione di un coffee shop dal fratello appena deceduto. Qui si imbatte in due emissari del clan camorristico dei Di Lauro, potente clan che teneva sotto scacco l’intera area nord di Napoli. Da quel momento, la scalata nel sottobosco criminale è fulminea.

Comincia con il traffico di marjuana con la quale rifornisce le piazze campane gestite dai Di Lauro. Dall’erba, Raffaele passa ben presto a sostanze più remunerative. Dai prolifici laboratori olandesi comincia ad acquistare ecstasy per spedirla in Italia, ma è con la cocaina che compie il salto di qualità definitivo. La sua abilità quale broker della droga è contesa dai due schieramenti che, in patria, danno vita alla sanguinosa faida di Scampia a metà anni Duemila: da un lato i Di Lauro, dall’altro la fazione capeggiata dai cosiddetti clan degli “scissionisti”.

Nel 2011, un pentito del clan Amato-Pagano – opposto ai Di Lauro – dirà: «Era capace di garantire importazioni di cocaina per diverse tonnellate alla volta. Era lui la chiave del problema [la faida, ndr] e che poteva determinare la svolta nei rapporti di forza – continua il pentito. Portarlo dalla nostra parte significava acquisire il controllo della principale fonte di importazione della droga in Campania».

Droga, ma non solo. I boss scissionisti, sempre secondo i pentiti dell’epoca, avrebbero chiesto ad Imperiale anche Kalashnikov e pistole per fronteggiare i clan rivali. Insomma, “Ciccio” è l’ago della bilancia nella faida, un broker a tutto tondo capace di rifornire la camorra di droga e armi senza per questo risultare affiliato a un clan specifico. Un’imparzialità che ha permesso a Imperiale di superare indenne la guerra intestina alla mafia napoletana.

La mocromafia, bastione olandese di “Ciccio Ferrarelle”

Quando Imperiale acquista i due dipinti di Van Gogh per 350.000 euro – una cifra ben al di sotto del reale valore stimato, in tutto, intorno ai cento milioni di euro – è ormai pienamente inserito nel mondo criminale olandese. Qui, dai primi anni Duemila è in forte ascesa una nuova generazione di criminali, spietati nel contendersi il traffico di droga dal Sudamerica che ha il punto di approdo nei porti di Rotterdam e Anversa.

L’apice degli scontri nella capitale olandese si ha tra il 2014 e il 2016 quando una trentina di omicidi certificano la faida interna alla “mocromafia”, la nuova criminalità organizzata di base nei Paesi fiamminghi composta perlopiù da esponenti di provenienza nord africana. Ne esce vincitrice la fazione capeggiata da Ridouan Taghi, olandese classe ’77 di origini marocchine, uno dei numerosi referenti nella terra dei tulipani di Raffaele Imperiale.

Taghi è abile nel rimanere sotto traccia per oltre un decennio. Il suo nome compare per la prima volta in atti giudiziari nel 2015 quando gli investigatori olandesi lo sospettano al vertice di uno dei clan della mocromafia attivo in Olanda e Belgio. Intanto, però, dalla guerra intestina emerge il primo pentito. Si chiama Nabil Bakkali, uno dei killer del gruppo guidato da Taghi, le cui dichiarazioni danno un improvviso impulso alle indagini. Grazie alle sue dichiarazioni ha preso il via, lo scorso marzo, il processo Marengo contro Taghi e altri 16 imputati accusati di sei omicidi e quattro tentati omicidi.

Nonostante le richieste di anonimato, però, il nome del collaboratore trapela e la ritorsione di Taghi non si fa attendere. E così, tra marzo 2018 e settembre 2019 vengono assassinati il fratello di Bakkali e l’avvocato. La striscia di sangue è però lungi dall’essere conclusa. A farne le spese, lo scorso 15 luglio, è stato il giornalista investigativo Peter De Vries. Da anni il cronista era diventato uno dei confidenti di Bakkali e più fonti ritengono ci sia ancora una volta Taghi quale mandante dell’omicidio, nonostante le smentite dell’avvocato.

Un cartello globale con al centro Dubai

Nella stessa aula-bunker alle porte dell’aeroporto di Amsterdam dove si sta celebrando il processo Marengo contro Taghi si è da poco concluso un altro filone processuale che ha visto alla sbarra Richard Riquelme Vega, detto “El rico”, definito dai media locali «il cileno più pericoloso al mondo». Alla base della condanna a 11 anni di carcere a lui comminata lo scorso giugno ci sarebbero i contenuti rinvenuti nel suo cellulare in cui risulta come Vega e Taghi avessero discusso dell’organizzazione di diversi omicidi. In un video recuperato nello stesso telefonino dalla polizia cilena, Vega è immortalato insieme a Raffaele Imperiale, a conferma dell’esistenza di un super-cartello globale in grado di acquistare cocaina direttamente dal Sudamerica, trasportarla verso i porti fiamminghi e distribuirla nel centro e sud Europa.

Luogo simbolo di questo cartello, Dubai. Per la precisione, il Burj Al Arab, lussuosissimo hotel a forma di vela e simbolo della città degli emiri. Qui, non solo ha alloggiato Raffaele Imperiale durante la sua latitanza dorata ma si è anche celebrata la festa di matrimonio di un altro latitante, un pezzo da novanta della criminalità europea: l’irlandese Daniel Kinahan, considerato «una figura di spicco della criminalità organizzata su scala globale», secondo l’Alta corte di Dublino.

È a capo della Kinahan Gang, un’organizzazione criminale dedita al traffico di droga e armi verso il Regno Unito, l’Irlanda e l’Europa continentale e anche lui, al pari del suo presunto socio in affari Ridouan Taghi, è al centro di una sanguinosa faida in patria che nella sola Dublino ha causato 18 vittime dal settembre 2015.

Non sapeva che la sua festa di nozze fosse tenuta sotto stretta sorveglianza dalle polizie olandese e americana le quali individuarono tra gli invitati anche Raffaele Imperiale, Ridouan Taghi e Richard Riquelme Vega. Secondo una stima della Drug Enforcement Agency (Dea) il gruppo avrebbe importato cocaina per un valore vicino ai 23 miliardi di euro. Cifre da capogiro, che però risultano credibili se si considera il giro d’affari del gruppo. Un dato su tutti: al momento dell’arresto, Riquelme Vega è stato trovato in possesso di 36 milioni di euro in contanti.

La fine di un impero e quel trattato con gli Emirati Arabi

A lungo tra le mete favorite di latitanti italiani e non, Dubai – capitale di uno degli emirati che compongono gli Emirati Arabi Uniti – è oggi al centro delle cronache per gli effetti del trattato per l’estradizione e la mutua assistenza giudiziaria con l’Italia entrato in vigore a ottobre 2018 ma i cui effetti, finalmente, si vedono dall’agosto di quest’anno.

Il 4 agosto le autorità dell’emirato hanno tratto in arresto Raffaele Imperiale, il quale da tempo aveva scelto Dubai come base da cui tirare le fila del vasto impero da lui creato. Al rientro in Italia lo aspettano poco più di cinque anni di carcere, frutto di un clamoroso sconto di pena rispetto ai 18 anni a lui comminati nel 2017 per aver restituito allo Stato beni mobili e immobili, tra cui i due dipinti di Van Gogh.

Nella sfarzosa capitale del piccolo emirato si è conclusa nel 2019 anche la fuga di Ridouan Taghi, allora considerato il ricercato numero uno in Olanda e oggi a processo ad Amsterdam. I media olandesi sono convinti che a Dubai si nasconda anche l’irlandese Daniel Kinahan, la cui fine della latitanza sembra essere ormai questione di tempo. Si fa infatti sempre più stretta la rete tessuta dagli inquirenti attorno al gruppo di Raffaele Imperiale.

L’ultimo a finirne vittima è Raffaele Mauriello, 32 anni, storico braccio destro di Imperiale nonché esponente del gruppo scissionista degli Amato-Pagano. La Procura di Napoli ne ha annunciato l’arresto a Dubai lo scorso 25 agosto, avvenuto però undici giorni prima. Dovrà rispondere di almeno due omicidi e dei reati di associazione mafiosa finalizzata al traffico di stupefacenti.

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