Capitalismo predatorio dei colossi tecnologici? Solo la creatività può salvarci

Oligopoli, distruzione della concorrenza, cartelli, aumento dei prezzi, sfruttamento del lavoro: la rivoluzione tech mostra la sua faccia cattiva. Eppure per anni è stata dipinta come unica salvezza contro la turbo-finanza.

Oggi invece la totale dipendenza della manifattura dall’innovazione toglie qualsiasi potere all’industria. Ma una strada per modificare il rapporto c’è.

Spetta alla tecnologia il governo della manifattura così come nel corso del Settecento a sovrintendere alla guida dell’economia i fisiocrati pretendevano che fosse l’agricoltura in quanto unica fonte di ricchezza? Poiché le tecnologie oggi disponibili moltiplicano il rendimento dell’opera umana, per questo va ad esse assegnato il primato? L’essere umano è ridotto ad uno stato di dipendenza tecnologica e, pertanto, qualunque cosa accada, avendo egli della tecnologia bisogno, la sua domanda è anelastica rispetto al prezzo?

Questi interrogativi si affollano di fronte ai nostri occhi allorché osserviamo i frutti che pendono dall’albero delle tecnologie per la produzione manifatturiera. Le aspettative suscitate dalle tecnologie per la produzione sono tante e ambiziose: costi del lavoro in caduta; maggiore efficienza; minori rifiuti; più rispetto per l’ambiente; un migliore controllo della qualità che garantirà prodotti superiori, a beneficio sia dei consumatori che dei produttori.

robot che contribuiscono all’automatizzazione dei compiti ripetitivi e rendono possibile la produzione continua (24 ore giornaliere senza interruzioni nel susseguirsi delle settimane) salgono i gradini dell’intelligenza tanto da essere più precisi ed economici, alla portata delle piccole unità di produzione. Con la nanotecnologia si potranno manipolare i materiali e creare lubrificanti potenziati da utilizzare in molteplici applicazioni industriali. Ricorrendo alla produzione additiva, la cosiddetta stampa 3D, si ottengono velocità, agilità e taglio dei tempi passando dalla progettazione alla prototipazione e alla produzione di prodotti, anche singoli e in piccoli lotti.

L’Internet delle cose (IoT) ha già dato prova della sua capacità di ridurre i tempi di produzione (alla Harley Davidson una drastica contrazione, dalle 21 alle 6 ore per fabbricare una moto, secondo quanto riportato da Saratchandran) e personalizzare i prodotti preservando l’efficienza della produzione di massa. Inoltre, accoppiato a dispositivi indossabili, l’IoT monitora la salute dei lavoratori e rende più sicuri i luoghi di lavoro. Il cloud computing trasforma ogni aspetto della produzione. Il suo impiego abbassa i costi, migliora la connettività tra i diversi impianti e facilita l’innovazione.

Big Data personalizzano il design dei prodotti, arricchiscono qualitativamente la gestione delle catene di fornitura e identificano i rischi potenziali. Le visualizzazioni permesse dalla realtà aumentata aiutano i lavoratori ad essere informati ed interagire tra loro e con i materiali. Il 5G promette di alimentare i sensori delle macchine industriali e generare una grande quantità di dati.

L’intelligenza artificiale interviene a potenziare la pianificazione delle scorte, la logistica, la gestione delle relazioni con i clienti e, più in generale, ad aumentare la produttività. Alla Cybersecurity è affidata la maggiore sicurezza necessaria una volta spostate nel Cloud le operazioni di produzione e integrati i sistemi tramite il ricorso all’IoT.

L’albero delle tecnologie manifatturiere ha le sue radici nel campo che stimola a pensare con più creatività. Le imprese creative fanno leva sulle nuove tecnologie per porre al centro dell’attività produttiva le persone e valorizzare le risorse indirizzandole verso attività a maggiore produttività e rendimento. 

Al pari del Maestro di Go dello scrittore giapponese Yasunari Kawabata (1899-1972), queste imprese dismettono le regole cavillose e puntano sulla reciproca stima tra tutti i giocatori nel campo socio-economico. Esse mostrano un impatto sociale a lungo termine altrettanto forte e persistente dell’impatto economico. La ricerca da esse svolta si muove deliberatamente in direzione delle opportunità di business che sembrano ridicole o pericolose a prima vista. I loro profitti sono compatibili con il bene pubblico e il bene sociale.

È questa la pratica che i giapponesi chiamano “Gapponshugi”, o capitalismo etico, risalente all’industriale Shibusawa Eiichi (1840-1931), ritenuto il padre del capitalismo giapponese. Nei conti aziendali, accanto ai profitti e alle perdite, entra in gioco il fattore umano e il fattore natura. Buone condizioni di lavoro e azzeramento dei costi a carico della natura sono obiettivi che le imprese creative perseguono andando oltre il convenzionale calcolo economico il cui presupposto è la massimizzazione del profitto da raggiungere anche con condotte umane di avidità. Gli esiti della cupidigia si vedono nel rafforzamento degli oligopoli a base tecnologica che praticano ai consumatori prezzi sempre più alti, nei salari stagnanti, nel soffocamento della concorrenza e, quindi, nel minor numero di imprese in grado di competere, nelle crescenti limitazioni alla mobilità sociale.

L’orientamento delle imprese intenzionate a cogliere i frutti dall’albero delle tecnologie manifatturiere

OLISTICO – Ricorrendo alla sperimentazione, le imprese non si limitano a perseguire i loro interessi di parte. Esse si occupano dell’insieme della comunità sociale ed economica in cui si riconoscono.

EURISTICO – All’insegnamento dall’alto che detta comportamenti ai loro membri, le imprese preferiscono l’apprendimento dal basso. Ciascun membro scopre le cose da sé e impara dalle esperienze ricavate dagli esperimenti compiuti.

MORALE – Non le leggi, ma alti standard di correttezza e onestà configurano i comportamenti dai singoli e dell’impresa.

Quale tipo di educazione favorisce la nascita e lo sviluppo delle imprese creative che stanno familiarizzando con le nuove tecnologie manifatturiere le cui prestazioni migliorano a ritmo esponenziale mentre l’istruzione procede linearmente, nel migliore dei casi? È la creatività a tutto tondo che permette di tenere il passo con il dinamismo delle tecnologie. Prestazioni umane e prestazioni tecnologiche si troverebbero allineate.

I sistemi educativi che liberano il talento facendolo uscire dalle gabbie disciplinari danno vita a comunità di ideatori a sostegno delle imprese creative che vivono il passaggio dall’organizzazione in cui ciascun addetto svolge il suo lavoro senza preoccuparsi dei comuni obiettivi a quella per la quale è vitale la cooperazione. La prima cresce migliorando l’attività che la contraddistingue sin dalla sua nascita. La seconda mantiene il carattere imprenditoriale iniziale e si trasforma nel tempo non compiendo dei passi incrementali ma ricorrendo ai salti resi possibili dalle tecnologie.

È indispensabile, allora, investire nelle scuole di apprendimento creativo e negli spazi di lavoro condivisi, scolpendo sulle pareti d’ingresso di quei luoghi quanto scriveva Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone: «La nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero…, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere». Un pensiero che, a sua volta, il poeta Yehuda Amichai ha volto così: «Dal posto dove abbiamo ragione, non spunteranno mai fiori a primavera. Il posto dove noi abbiamo ragione è pesto e duro come un cortile».

Mentre negli ultimi decenni la manifattura è diventata sempre più automatizzata e globalizzata, essa occupa ancora un posto speciale nella psiche delle persone. Produzione manifatturiera e innovazione si completano a vicenda e il settore manifatturiero ha la capacità di trasferire il cambiamento tecnologico in tutti i rami dell’economia.

La tecnologia, intanto, sta sollecitando le produzioni ad essere più personalizzate e distribuite. La pandemia ha accelerato lo spostamento dalla massa indifferenziata alla personalizzazione. Con pari stimolo, la tecnologia spinge le fabbriche a funzionare in modo molto più efficiente con gli operatori messi in grado di girare le manopole in simulatori digitali e testare modi per migliorare il tasso di esecuzione. «Questo cambia la produttività dell’impianto di produzione», sostiene Satyanarayana Nadella, il presidente esecutivo e CEO di Microsoft. In questo scenario le imprese creative entrano con il loro bagaglio tecnologico decise a far girare ai loro addetti le menti, prima e ancor più che le manopole.

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