Economia circolare, un altro mondo è possibile (e conviene a tutti)

Dall’avvento della Rivoluzione industriale a oggi, l’economia globale si è basata su uno specifico modello economico, talmente pervasivo che spesso non ci rendiamo neppure conto della sua presenza: il modello dell’economia lineare, riassumibile nella sequenza di attività “prendere, fabbricare, utilizzare, smaltire”.

Prendiamo le materie prime, le lavoriamo per trasformarle e fabbricare prodotti che vengono successivamente venduti ai consumatori, i quali li utilizzano fino al momento in cui non ne hanno più bisogno e li smaltiscono. Questo modello si applica a tutto ciò che consumiamo: dalla benzina alla pasta, dalla plastica di cui sono fatte le confezioni di pasta alle auto che utilizzano la benzina.

E alla base vi è una serie di supposizioni invisibili. La prima è che esista una scorta illimitata di materie prime dalla quale attingere, insieme agli altri elementi che partecipano alla fabbricazione dei prodotti che utilizziamo, tra cui energia, acqua e manodopera specializzata, che si vanno ad aggiungere a risorse come acciaio, rame e alluminio.

La seconda è che la chiave per la prosperità futura sia una crescita economica infinita e il consumo di risorse che essa comporta. E da ultimo si suppone che il pianeta riesca a gestire tutti i rifiuti che produciamo in ciascuna fase di questo processo.

Tuttavia sta diventando sempre più evidente che tali supposizioni non sono più valide. Senza dubbio, due secoli e mezzo di crescita senza restrizioni hanno migliorato drasticamente la qualità della vita di miliardi di persone, ma hanno anche creato enormi problemi ed è chiaro che la capacità della terra di sostenerci sta raggiungendo il limite.

Il giorno del sovra-sfruttamento della Terra arriva sempre prima

La Global Footprint Network calcola il giorno di ogni anno in cui si esaurisce il patrimonio di risorse della terra per l’anno in corso, denominato “Earth Overshoot Day”, vale a dire il giorno di sovrasfruttamento della terra. Secondo quanto afferma il gruppo, il primo anno in cui si è verificato tale fenomeno è stato il 1971 e, da allora, ogni anno il giorno in cui si giunge al sovra-sfruttamento arriva in anticipo rispetto all’anno precedente. Nel 2018, è stato il 1° agosto, il che significa che abbiamo “esaurito il budget annuale della natura” in soli sette mesi.

Gli effetti di questo sovraconsumo sono visibili ovunque attorno a noi: nelle montagne di rifiuti di plastica che inquinano i nostri oceani e uccidono la fauna marina, nelle migliaia di morti di cui è responsabile l’inquinamento causato da veicoli e fabbriche in tutto il mondo e nel costante aumento delle temperature che sta modificando drasticamente il nostro clima, con conseguenti problemi che vanno da condizioni estreme di siccità e inondazioni all’innalzamento del livello dei mari.

Non esiste un ambito in cui questo uso smodato delle risorse del pianeta sia più evidente del settore energetico. Infatti la strategia di crescita che abbiamo continuato a perseguire attraverso il modello di economia lineare ha creato la nostra attuale dipendenza dall’energia, una delle principali sfide che ora dobbiamo affrontare. L’energia è stato l’elemento trainante dello sviluppo delle nostre economie e fino a tempi recenti la quasi totalità di questa energia era ottenuta da combustibili fossili, come carbone, petrolio e gas. Ora sappiamo che tali combustibili, sebbene costituiscano delle riserve di energia enormemente efficienti, presentano degli effetti collaterali. A livello locale, le sostanze inquinanti prodotte sono dannose per la vita degli esseri umani, degli animali e delle piante, mentre su scala globale i gas serra (GHG) rilasciati stanno causando un cambiamento climatico che inizia a produrre pesanti effetti sulle popolazioni di tutto il mondo, inondando le loro abitazioni, mandando in rovina i raccolti e costringendole ad abbandonare le loro case.

Se vogliamo lasciare un pianeta vivibile alle generazioni future, dobbiamo cambiare il nostro modo di agire: la crescita economica deve venire svincolata dall’utilizzo delle risorse e dalle emissioni di GHG. Traducendolo nel linguaggio dell’economia lineare, dobbiamo prendere meno, fabbricare meno, utilizzare meno e smaltire meno. Dobbiamo anche inquinare meno. Perché ciò si realizzi, ognuno di noi deve essere più attento all’uso che fa dell’energia.

Il passo più ovvio, su scala globale, consiste nel passare dai combustibili fossili all’impiego di energie rinnovabili per produrre elettricità e riscaldamento e nel sostituire la benzina e il gasolio per l’alimentazione dei veicoli. E questo sta avvenendo in tutto il mondo mano a mano che l’energia eolica e quella solare iniziano ad avere costi più abbordabili, inoltre anche i veicoli elettrici si stanno diffondendo rapidamente. Bloomberg New Energy Finance riporta che dal 2009 al 2018 il costo livellato dell’elettricità (LCOE) per il fotovoltaico solare è crollato del 77 percento e quello dell’eolico onshore del 38 percento, mentre il costo delle batterie agli ioni di litio è sceso da 1.000 dollari/kWh nel 2010 a 209 dollari/kWh nel 2017. Nel frattempo, il numero totale di veicoli elettrici (VE) nell’agosto 2018 ha toccato i 4 milioni di unità e le vendite sono in forte accelerazione. Si pensi che ci sono voluti cinque anni perché le vendite di VE raggiungessero il primo milione, mentre per il quarto milione sono stati sufficienti sei mesi.

Ma, a parte la diretta sostituzione dei combustibili fossili con fonti di energia rinnovabili, si delinea un percorso che tutte le aziende possono intraprendere per contribuire a creare un mondo più sostenibile senza con questo farlo risprofondare nella povertà: attuare i principi dell’economia circolare.

Il modello dell’economia circolare si focalizza sul creare sistemi a circuito chiuso che riducono al minimo gli sprechi e l’utilizzo delle risorse riciclando e riutilizzando materiali e prodotti una volta raggiunto il termine della vita utile. In alcuni casi questo approccio consiste nell’attuare dei piccoli, talvolta ovvi, cambiamenti, come ridurre gli sprechi, mentre in altri richiede che le aziende cambino radicalmente la loro mentalità e il loro modo di operare e che anche i consumatori modifichino i loro comportamenti in modo sostanziale.

I progetti per un’energia pulita

Mentre il mondo si incammina verso un sistema di energie più rinnovabili, le aziende energetiche possono a loro volta intraprendere numerose azioni, sia nelle loro attività quotidiane, sia a un livello più strategico. In un recente rapporto intitolato Circular Economy in the Energy Industry, la società di consulenza Deloitte Finland ha affermato che “l’energia è una parte essenziale di un sistema economico sostenibile, in quanto consente il riutilizzo dei materiali. L’economia circolare nel settore energetico è promossa dalla collaborazione tra settori e aziende, oltre che da servizi che riducono il consumo complessivo di energia.”

L’applicazione dei principi dell’economia circolare al sistema energetico “massimizzerà l’impiego efficiente delle risorse naturali per la produzione di energia, l’utilizzo finale dell’energia, il surplus di energia e gli aspetti afferenti,” ha aggiunto.

Questo percorso può iniziare già in fase di produzione con iniziative come l’incremento dell’impiego di energie rinnovabili nel processo produttivo. Ad esempio, la società norvegese Equinor, ex Statoil, sta considerando l’ipotesi di costruire un nuovo parco eolico galleggiante per fornire energia elettrica ad alcuni dei suoi giacimenti di petrolio e gas nel Mare del Nord, mentre Glasspoint ha aperto una nuova strada utilizzando l’energia solare per la produzione di vapore per il recupero assistito del petrolio (EOR, Enhanced Oil Recovery) in giacimenti di petrolio pesante, abbandonando l’impiego del gas naturale e riducendo le emissioni.

È stata inoltre lanciata un’iniziativa, sotto l’egida della Banca Mondiale, rivolta all’intero settore per ridurre il gas flaring, ovvero la pratica di bruciare il gas naturale estratto insieme al petrolio. Da quanto rilevato, infatti, emerge che ogni anno i siti di produzione petrolifera di tutto il mondo bruciano miliardi di metri cubi di gas naturale. “Bruciando il gas si spreca una preziosa risorsa energetica che potrebbe essere impiegata per promuovere la crescita economica e il progresso. Inoltre questa pratica contribuisce al cambiamento climatico rilasciando nell’atmosfera milioni di tonnellate di CO2,” osserva la Banca.

Un esempio classico di trasformazione di materiale di scarto in una risorsa ci viene fornito dalla Global Gas Flaring Reduction Partnership (GGFR) della Banca Mondiale, che sta lavorando per ridurre lo spreco di gas naturale prodotto dalle operazioni di flaring, e di cui si stanno iniziando a vedere i risultati. Con l’obiettivo di limitare la prassi routinaria del gas flaring nei nuovi progetti estrattivi e di porvi fine nei siti già in funzione al più tardi entro il 2030, la partnership GGFR ha lanciato l’iniziativa “Zero Routine Flaring by 2030”, sottoscritta da numerosi governi, dagli Stati Uniti al Kazakistan alla Nigeria, e da compagnie petrolifere quali Eni, BP, ExxonMobil e Total. All’iniziativa hanno aderito 27 governi, 35 compagnie petrolifere e 15 agenzie di sviluppo.

Nuovi dati satellitari mostrano che nel 2017 si è assistito a un calo del gas flaring pari al 5 percento nei siti di produzione petrolifera di tutto il mondo, nonostante un aumento della produzione di petrolio pari allo 0,5 percento, con le riduzioni più marcate registrate in Russia, Venezuela e Messico.

Risalendo ulteriormente la catena del valore, l’enorme quantità di calore prodotta dalle centrali termiche (sia alimentate a combustibili fossili, sia nucleari) può venire recuperata e utilizzata per migliorare l’efficienza della centrale stessa o per fornire energia per altri impieghi, ad esempio per il riscaldamento di piscine, ospedali, scuole o addirittura interi quartieri, come accade in Scandinavia dove sono stati messi a punto dei programmi di riscaldamento dei quartieri.

Le centrali elettriche possono inoltre utilizzare i rifiuti prodotti da altri settori economici, quali l’agricoltura e l’industria: materiali come residui delle colture, trucioli di legno e bagassa proveniente dall’industria dello zucchero possono tutti essere bruciati per produrre elettricità o lavorati e trasformati in biocombustibili. Così facendo, non solo si riducono i rifiuti in altri settori, ma si contribuisce a rendere più efficiente e pulita la produzione di energia elettrica. Le società generatrici di energia e quelle che operano nel trattamento dei rifiuti potrebbero inoltre collaborare allo sviluppo di termovalorizzatori che utilizzano i rifiuti domestici come materia prima, riducendo in questo modo la necessità di ricorrere alle discariche.

E parallelamente al rapido sviluppo del settore delle energie rinnovabili, anche quello dello stoccaggio dell’energia si sta espandendo a ritmo sostenuto, consentendo alle aziende energetiche di utilizzare, quando ne hanno necessità, energia che altrimenti andrebbe sprecata.

Sono stati sviluppati anche vari progetti che catturano le emissioni di carbonio dalle centrali elettriche (e da altri impianti industriali) e le impiegano per realizzare nuovi prodotti, con un processo denominato “cattura e utilizzo del carbonio”. Tra questi prodotti vi sono idrogeno, syngas, metano e metanolo, oltre a materiali di costruzione, polimeri, carbonati e urea, un ingrediente fondamentale dei fertilizzanti, come afferma un rapporto redatto dal Group of Chief Scientific Advisers dell’Unione europea.

Condivisione, servizi e zero rifiuti

Ma il valore reale dell’economia circolare – e la società di consulenza Accenture ha calcolato che potrebbe generare una crescita economica di 4,5 bilioni di dollari – deriverà dalla sua applicazione in tutti gli ambiti dell’economia. Tre sono le tendenze chiave che stanno guidando l’adozione del modello di economia circolare: la sharing economy, il product-as-a-service e l’attenzione focalizzata sull’eliminazione dei rifiuti dai processi produttivi.

La sharing economy, o economia della condivisione, ha fatto nascere settori economici completamente nuovi, in cui le persone danno in affitto stanze libere delle loro abitazioni, trasformano le loro auto in taxi e vendono ai vicini l’energia generata con i pannelli solari. Ha inoltre contribuito a creare nuovi competitor per le industrie tradizionali, ad esempio Airbnb (hotel), Uber e Lyft (taxi). Come spiega il CoinTelegraph, questo concetto è applicabile a quasi ogni aspetto dell’economia: “Puoi condividere il giardino di qualcun altro se vivi in una città congestionata, prenderti delle parti di un lavoro, accordarti con altre persone per condividere un viaggio, scambiare dei libri e persino tenere per una giornata il cane di un altro”. I servizi offerti nello Sharing Economy Index di JustPark iniziano con “Posso prestarti del denaro” e comprendono una serie infinita di voci, da “Puoi prendere a prestito il mio paracadute” a “Puoi ormeggiare la tua imbarcazione nel mio posto barca in darsena”.

Strettamente legati a questo concetto, ma su un piano più aziendale che personale, i modelli “As-a-Service” offrono ai consumatori accesso a beni e servizi che in passato avrebbero potuto comprare, ma che ora prendono a noleggio. I modelli “As-a-Service” sono penetrati nei più svariati settori dell’economia, dai software ai sistemi di illuminazione, dagli scanner medici alle pavimentazioni di moquette, dai jeans ai motori per aerei.

L’azienda che offre il prodotto ne mantiene la proprietà e il controllo e in cambio fornisce la manutenzione e gli aggiornamenti necessari. Questo consente alle aziende di ritirare successivamente i prodotti e assicurarsi che siano adeguatamente riutilizzati, rilavorati o riciclati, migliorando l’efficienza delle risorse e riducendo i volumi di rifiuti.

La particolare attenzione al problema dei rifiuti è un altro tema chiave dell’economia circolare. Aziende come la casa automobilistica statunitense GM stanno cercando di non inviare alcun rifiuto in discarica. Questo passo ha richiesto un notevole cambiamento nel modo di considerare i rifiuti da parte dei dipendenti e la necessità di adottare quella che l’azienda definisce una “mentalità zero”. “Per noi, i rifiuti sono semplicemente una risorsa fuori posto,” ha dichiarato John Bradburn, Global Waste Reduction manager presso General Motors.

L’impegno dei governi

Fino a oggi, la maggior parte degli sforzi verso un’economia circolare è stata portata avanti da singole aziende e ONG, ma il concetto sta iniziando a farsi strada anche in ambito normativo. Quest’anno l’Unione europea ha introdotto un Pacchetto sull’Economia Circolare che stabilisce degli obiettivi più rigorosi in materia di riciclaggio e riduzione dei rifiuti da inviare in discarica. Inoltre, assegna ai produttori l’onere di contribuire ai costi di recupero dei materiali al termine della vita di un prodotto e incoraggia nuovi modelli di business che prevedano l’eliminazione dei rifiuti, allunghino il ciclo di vita dei prodotti e ne promuovano il riutilizzo. Questo orientamento sarà supportato da una specifica legislazione mirata a contrastare la piaga dei rifiuti di plastica, vale a dire la Strategia sulla Plastica dell’UE.

L’UE ha sottoscritto un memorandum d’intesa con la Cina, dove già da 10 anni è in vigore una normativa sull’economia circolare, la Circular Economy Promotion Law. Il memorandum d’intesa potrebbe produrre un allineamento dei meccanismi di economia circolare dei due firmatari, aprendo la strada a uno sviluppo di politiche comuni e di standard sui prodotti. Considerate le dimensioni di queste due economie, la ricaduta potrebbe avere una portata globale.

Il Giappone, che soffre di una relativa scarsità di risorse, ha da tempo rivolto l’attenzione all’economia circolare e all’efficienza delle risorse. “Costruito attorno al concetto di ‘realizzare una solida società del riciclo dei materiali”, il sistema di politiche giapponese si concentra sulla gestione dei rifiuti e sull’esaurimento delle risorse” sostiene il Forum Economico Mondiale. Tra gli esempi si possono citare la Legge per la promozione dell’uso efficiente delle risorse, ratificata nel 2000, e la Legge sul riutilizzo delle automobili a fine vita, entrata in vigore nel 2002.

Nel Nord America, il Waste Free Ontario Act del Canada include una sezione sul recupero delle risorse e sull’economia circolare e sebbene gli Stati Uniti, come fa notare la European Circular Construction Alliance, “non abbiano fatto da apripista nel campo dell’economia circolare”, il capitolo relativo agli USA del programma Circular Economy 100 (CE100) della Ellen MacArthur Foundation comprende marchi come Google, Cisco, Coca-Cola, eBay, Apple, Novelis e IBM.

In passato numerosi paesi in via di sviluppo hanno dato la priorità alla crescita economica piuttosto che agli aspetti di sostenibilità a fronte della necessità di sollevare le popolazioni da uno stato di povertà, ma sta aumentando la consapevolezza che una crescita senza freni causa problemi gravi, tra cui la scarsità di risorse, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua e il cambiamento climatico. Tuttavia, l’economia circolare può aiutare ad affrontare questi problemi contrastando al contempo la povertà. Di conseguenza “emerge un crescente ottimismo riguardo al potenziale dell’economia circolare (EC) come nuovo modello per una crescita sostenibile nei paesi in via di sviluppo,” ha affermato l’istituto di ricerca e analisi britannico Chatham House.

I governi di Ruanda, Nigeria e Sudafrica, ad esempio, stanno collaborando con il Forum Economico Mondiale e l’UE e recentemente hanno varato l’African Alliance on Circular Economy. Chatham House ha aggiunto che alcune banche di sviluppo multilaterali stanno esplorando il potenziale degli approcci improntati all’EC con la Colombia e la Turchia, mentre di recente l’Indian Resource Panel ha presentato un programma operativo che ha per oggetto l’efficienza delle risorse ponendo l’accento sull’EC. “Tutto ciò riflette il crescente ottimismo sul potenziale dell’EC nell’aiutare i paesi a basso reddito a compiere un salto in avanti verso percorsi di sviluppo più sostenibili,” afferma l’istituto britannico.

Man mano che l’economia circolare acquisterà maggiore impulso in tutto il mondo, il settore energetico rappresenterà sia un oggetto primario del cambiamento dei modelli di business, sia un attore chiave della trasformazione del resto dell’economia.

L’avvento dell’elettricità rinnovabile e dello stoccaggio, in abbinamento a tecnologie come l’Internet delle cose, l’apprendimento automatico e l’analisi dei big data, contribuisce a far sì che i clienti diventino produttori di energia, oltre che consumatori. Il nuovo sistema energetico sarà decentralizzato, distribuito e multidirezionale. Le aziende energetiche dovranno reagire introducendo modelli di business di tipo Energy-as-a-Service (EaaS), in cui si assumeranno i costi energetici futuri di un edificio e quindi introdurranno varie misure a livello di efficienza per ridurre la quantità di energia necessaria per la sua gestione.

Secondo quanto si legge sul blog Building Energy Resilience di CX Associates, un approccio di tipo EaaS completo “comprenderà una combinazione di azioni volte a risparmiare energia, produrre energia e stoccare energia, oltre ai convenzionali acquisto e utilizzo di energia, attraverso strumenti come approvvigionamento di energia solare e/o eolica in loco o in remoto, generazione in loco, ad esempio con la cogenerazione (CHP) o le celle a combustibili, microgrid e stoccaggio, retro-commissioning e retrofit energetici, livellamento dei picchi di domanda in base all’orario, risposta alla domanda, passaggio ad altri combustibili e approvvigionamento di combustibili fossili ed elettricità”.

Dal giacimento petrolifero all’illuminazione degli uffici, i principi dell’economia circolare sembrano destinati a trasformare il settore energetico e l’economia più in generale, rendendoli più sostenibili nel corso del processo. Questa rivoluzione circolare sarà causa di grandi sconvolgimenti nel settore, ma per le aziende che accetteranno la sfida si apriranno anche enormi opportunità.

Informazioni su Marco Blaset 154 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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