Guido Brera: “La finanza è una chiave di interpretazione della realtà”

Il mondo corre sempre più veloce, fenomeni come pandemie e guerre si susseguono senza soluzione di continuità. Per avere una chiave di lettura originale su quello che sta accadendo e, soprattutto, su quello che accadrà, abbiamo intervistato Guido Maria Brera, finanziere e scrittore, cofondatore di Kairos e autore del bestseller “I Diavoli“, da cui è stata tratta l’omonima serie tv in onda in questi giorni su Sky.

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Nella nuova stagione della serie tv I Diavoli, tratta dal suo libro, lei utilizza la finanza e i suoi meccanismi come backdoor per descrivere fenomeni complessi e globali come lo scontro sempre più palese tra Usa e Cina e la guerra per il controllo dei dati, che sono il nuovo petrolio. Quanto la finanza aiuta a comprendere il lato più oscuro della realtà che ci circonda?
La finanza è una chiave di interpretazione della realtà. La finanza è presente in molte delle nostre azioni, a volte come causa, altre come effetto. E’ una cartina di tornasole attraverso cui è possibile leggere spesso le reali intenzioni che ci spingono a fare o meno qualcosa. Questo è tanto più vero quando la usiamo per decifrare le azioni dei governi e di chi muove le leve del potere.

Secondo lei tra dieci anni saranno ancora gli Stati Uniti la prima superpotenza del mondo o la rincorsa della Cina è ormai inarrestabile? Che mondo immagina nell’ipotesi di una Cina leader globale?
La Cina sta correndo da trent’anni, non ha ancora raggiunto gli Stati Uniti in alcuni campi, ma lo scarto è colmabile. E’ un gigante geopolitico, la cui importanza strategica è probabilmente superiore a quella che aveva la vecchia URSS durante la Guerra Fredda. Prova ne è l’asse politico che si sta cementando tra Cina, Russia e India sulla guerra in Ucraina e che vede la Cina in posizione di “leader di ultima istanza”. Dobbiamo abituarci al dualismo USA-CINA. Non vedo una sola potenza che sovrasta definitivamente l’altra.

All’inizio della sua carriera di scrittore ha parlato del “fast fashion” e degli effetti devastanti che un’economia globalizzata e senza regole ha sulla tenuta sociale. E’ tornato sull’argomento con un libro dedicato allo sfruttamento dei riders scritto con Edoardo Nesi. Dobbiamo abituarci a convivere con la Gig Economy (la cosiddetta “economia dei lavoretti”) o c’è modo di rendere il processo reversibile?
Abbiamo vissuto per anni nell’illusione che una globalizzazione senza regole portasse benessere a tutti, poi ci siamo svegliati quando abbiamo capito che il costo di quel benessere lo pagavano i più deboli. Il fast fashion degli anni 2000 è un paradigma di come la delocalizzazione selvaggia possa generare lo sfruttamento del lavoro, anche minorile. La Gig Economy è una realtà che si sta già trasformando grazie all’imposizione di nuove regole. Il caso dei riders è emblematico, dopo anni di battaglie sono riusciti ad ottenere delle forme (ancora migliorabili) di assunzione come dipendenti. La Gig Economy non sparirà, si evolverà grazie ad un sistema di regole che limiteranno le possibilità di abuso.

Ormai tutti siamo consapevoli che il riscaldamento globale e, di conseguenza, il modo in cui produciamo energia e gestiamo le risorse naturali ha un impatto determinante sulla qualità di vita. Quanto il clima è veramente al centro dell’agenda politica dei governi e quanto invece è marketing istituzionale che deve poi piegarsi alla realtà?
Questo è un tema che mi sta molto a cuore, ne parlo da tempi non sospetti, ben prima che fosse messo al centro del dibattito pubblico. E’ il tema dei temi e mi fa piacere che siano stati proprio i giovani a mettere in discussione il nostro modello di sviluppo. In parte l’attenzione al clima è sicuramente marketing istituzionale, ma ormai tutti siamo consapevoli che dobbiamo invertire la tendenza e che anche le nostre piccole azioni quotidiane hanno un peso. Mi auguro che sia ancora possibile farlo perché i danni che abbiamo prodotto sono devastanti e il tasso di recupero è ancora molto basso. La strada verso fonti energetiche rinnovabili è irreversibile, è lì che stiamo andando ma quando e come ci arriveremo farà la differenza.

L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato indietro le lancette della Storia. Secondo lei la strategia dell’Occidente di armare Zelensky per sedersi al tavolo dei negoziati con qualche carta da giocare era l’unica possibile o si sarebbe potuto percorrere da subito la strada di una trattativa, per quanto complessa?
Sono settimane che mi pongo la stessa domanda e, francamente, non ho una risposta. La diplomazia lavora sempre, anche sotto traccia, ma la situazione è complessa e rischia ogni giorno di degenerare con le conseguenze che tutti possiamo immaginare. Credo che anche molti leader occidentali che stanno sostenendo l’Ucraina non abbiamo una risposta definitiva.

La guerra ha amplificato una tensione sui prezzi dell’energia che era già in corso. Nel breve periodo è sicuramente un problema, ma potrebbe questa crisi imprimere un’accelerazione verso la transizione energetica? Se sì, cosa dovrebbero fare i governi per trasformare la situazione in un’opportunità?
Nel breve periodo tutti stiamo pagando l’incremento dei costi energetici, nel medio il riposizionamento verso le rinnovabili e una maggiore diversificazione di fonti e paesi dovrebbero attenuare, se non neutralizzare del tutto l’effetto. E’ ovvio che ci vorranno dei mesi e finchè il conflitto sarà ancora in corso la pressione sui prezzi sarà costante. Grazie al PNRR molti governi europei si sono già mossi, alcuni meglio di altri, ma il problema è il resto del mondo. Un continente europeo green in un mondo di giganti inquinanti (Cina, India e in parte gli stessi Stani Uniti) diventa quasi irrilevante. Bisogna convincere i grandi inquinatori ad adottare gli stessi standard ambientali e a delineare un modello di sviluppo sostenibile. Ripeto è un’azione da fare di concerto.

La tecnologia è ormai al centro delle nostre vite. Intelligenza artificiale e algoritmi gestiscono molte delle nostre scelte e del nostro tempo. Consapevolmente o meno, abbiamo delegato alla tecnologia una parte della nostra capacità decisionale o quantomeno le informazioni sui cui quelle decisioni vengono prese. Tra due generazioni non ci sarà più nessuno che ha conosciuto un mondo analogico. Come immagina la vita di un ventenne nel 2060?
E’ veramente difficile immaginare come potrebbe essere la vita di un ventenne tra quarant’anni. Sarà un giovane ipertecnologico, ma resto convinto che la realtà, l’analogico si riprenderà un pezzo di digitale. Ad un certo punto ci sarà una reazione, quasi un rigetto e come la tecnologia ha pervaso le nostre vite, così le nostre vite pervaderanno la tecnologia e si riprenderanno quello spazio di libertà oggi compresso dagli algoritmi.

La guerra per il controllo dei dati che lei descrive nella nuova stagione de I Diavoli avrà un vincitore effettivo o, in un certo senso, perderemo tutti il controllo di una parte delle nostre vite?
In un certo senso abbiamo già perso tutti. I giganti della Silicon Valley controllano già i nostri dati e hanno un enorme potere di condizionare le nostre scelte. Il processo non è definitivo, proprio negli USA c’è una forte pressione dell’opinione pubblica per regolamentare questo strapotere e addirittura per spezzettare questi monopoli, come avvenne con la Standar Oil (petrolio) di Rockefeller nella prima metà del ‘900 o con la Bell (telecomunicazioni) negli anni ’80. Il sistema americano ha degli anticorpi, bisogna vedere se c’è la volontà politica di usarli. In questo momento solo gli Stati Uniti e la Cina, che controlla delle meta-piattaforme come Alibaba, possono invertire questa tendenza. La partita sui dati dipende da loro. Non è facile immaginare oggi un vincitore, perché i dati e il loro controllo sono diventati un asset strategico e come tale nessuno dei contendenti vuole privarsene.

Parliamo di nuove generazioni. Lei ha quattro figli. Cosa le hanno insegnato i suoi genitori che non è riuscito a trasferire ai suoi figli?
Il mondo è diventato molto complesso, le nostre vite vanno veloci. Non sono riuscito a trasferire ai miei figli tutto quello che avrei voluto perché oggi non c’è più il tempo che avevano i nostri genitori. Questo mi dispiace, ma sono certo che i miei figli sono riusciti ad apprendere dalle loro relazioni e dalla società che li circonda qualcosa di quello che io non sono riuscito ad insegnargli.

Quale è l’ostacolo maggiore che vede oggi per il futuro dei suoi figli?
Affermarsi nel lavoro è in cima alle preoccupazioni di qualsiasi genitore, soprattutto in un mondo ultra-competitivo come quello di oggi. Non lo vedo come un ostacolo insormontabile, ma oggi è decisamente più complesso trovare una propria strada e percorrerla fino in fondo.

Quale è invece l’opportunità maggiore che dei giovani hanno oggi e che non abbiamo avuto noi?
Ce ne sono tante. La stessa tecnologia è un’opportunità per i giovani che sapranno portarla a valore.

Negli ultimi tempi molti giovani hanno manifestato la tendenza a volersi riappropriare del proprio tempo e stanno rifiutando lavori, anche ben pagati, che non prevedono ampi margini di tempo libero o forme di flessibilità, come lo smart working. La considera una sana tensione o c’è anche un eccesso di “effetto paracadute” da parte delle famiglie per cui questi giovani si permettono il “lusso” di rifiutare dei lavori perché tanto sanno che i genitori gli garantiranno comunque un buon tenore di vita?
L’effetto paracadute dei genitori è a scadenza, non può durare all’infinito. Credo che molti ragazzi che hanno rifiutato un lavoro l’hanno fatto semplicemente perché non era il lavoro che volevano fare. Oggi i giovani hanno una consapevolezza che forse noi non avevamo, o almeno non tutti, e cioè fare quello che ti piace è fondamentale perché ti consente di esprimere al massimo il tuo talento. Sulla questione di riappropriarsi del proprio tempo libero sono d’accordo, fanno bene. Questa è una di quelle “reazioni sociali” di cui ho parlato prima a proposito della pervasività della tecnologia.

L’ascensore sociale è veramente bloccato come sostengono molti o qualcuno preferisce non prendere proprio l’ascensore e vivere di sussidi (leggi “reddito di cittadinanza”)?
Sì, attualmente è bloccato. Sta diventando sempre più difficile scalare posizioni dalle retrovie. C’è qualcuno che preferisce i sussidi, ma essendo un ottimista di natura, mi piace pensare che tutti preferirebbero lavorare e tentare di affermarsi piuttosto che stare seduti su un divano.

Come valuta i sussidi che sono stati dati come ristoro per gli effetti della pandemia o per i giovani senza lavoro?
Quelli per la pandemia erano necessari. Il reddito di cittadinanza, invece, è stato gestito male. E’ giusto dare un reddito a un cinquantenne con moglie e figli che perde il lavoro perché difficilmente riuscirà a ricollocarsi sul mercato del lavoro. Per il resto, io avrei preferito dei sussidi “attivi”, come per esempio dei bonus per studiare all’estero o per fare stage in aziende o per fare attività sociali al servizio di categorie disagiate.

Si è perso, secondo lei, il senso della gavetta in un mondo in cui molti giovani vogliono entrare in azienda direttamente dalla posizione di Ceo?
Sì, in parte sì. Ma questo è conseguenza dei messaggi che i giovani ricevono dalla società e dai media, come il successo e la ricchezza ad ogni costo.

Torniamo all’intreccio tra finanza e realtà. Il successo dei I Diavoli le garantirà sicuramente una lunga continuità editoriale. Ha creato un collettivo, ha lanciato insieme ad Alessandro Borghi, attore protagonista della serie, un contenitore per aiutare i giovani ad avvicinarsi al mondo del cinema. Come immagina l’evoluzione de I Diavoli? La finanza sarà sempre la chiave di lettura della realtà?
Abbiamo tante iniziative in cantiere. Il collettivo si sta evolvendo e sta crescendo. Tengo molto all’iniziativa per il cinema nata insieme ad Alessandro Borghi. Per adesso la finanza resta la mia chiave interpretativa preferita, quella che meglio conosco e riesco a decifrare.

Esiste una finanza buona e una finanza cattiva?
No, esiste solo la finanza. La finanza è costruttiva per definizione, poi dipende dall’uso che uno ne fa. Semmai esistono dei cattivi controllori o dei controllori in conflitto di interesse che non intervengono quando dovrebbero per bloccare (e sanzionare) operazioni finanziarie quantomeno discutibili.

Se oggi dovesse scegliere se fare solo il finanziere o solo lo scrittore, cosa sceglierebbe?
Oggi sto bene con un piede in due scarpe, l’attività di finanziere e quella di scrittore mi permettono di creare una osmosi continua di riflessioni e di sviluppare iniziative che si muovono in equilibrio tra i due mondi. Non escludo che in futuro mi possa dedicare più alla scrittura che alla finanza.

Informazioni su Marco Blaset 150 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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