Le maggiori banche d’investimento del mondo stanno abbandonando la City di Londra e anche alcuni gruppi industriali stanno spostando la loro sede operativa sul continente. La Brexit, nella sua versione “Hard” sostenuta dai politici più intransigenti come Boris Johnson, sta minando alle fondamenta il ruolo della Gran Bretagna come HUB finanziario globale. Ma non è tutto.
Se l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue era stata definita da molti un vero e proprio terremoto, rischia di avere conseguenze ancora più gravi un eventuale “no deal” tra Londra e Bruxelles, ipotesi tutt’altro che scongiurata. Anzi, al momento addirittura la più probabile. Il tempo stringe e ci si avvicina alla scadenza a grandi passi senza nessun progresso sostanziale nei negoziati tra le due parti e la prospettiva di una separazione brusca tra Regno Unito e Unione europea prende forma e già spaventa quanti parlano apertamente di scenari potenzialmente catastrofici sia per la Gran Bretagna che per l’Unione europea.
Il rischio di una Brexit no-deal sta aumentando e la commissione europea dovrà cambiare il suo atteggiamento se ha intenzione di raggiungere un accordo”. Lo ha detto il ministro degli esteri britannico Jeremy Hunt impegnato a Helsinki che ha aggiunto: “Nessuno vuole però che questa eventualità si concretizzi e spero che troveremo un modo per evitarlo ma tutti devono prepararsi all’eventualità di una Brexit no-deal caotica”.
Aveva giocato a carte scoperte anche Liam Fox, segretario britannico del Commercio, che in una recente intervista rilasciata al Sunday Times aveva fissato al 60% la probabilità di una cesura “dura e pura” contro un residuo 40% di addio consensuale.
Tuttavia, ovviamente sponda ottimista, non si esclude un rush inatteso quanto sperato che consenta di trovare un compromesso sui tanti nodi irrisolti, dalle regole sul commercio alla libera circolazione delle persone, strappando allo scadere un’intesa che accontenti tutti. Insomma, la partita è ancora tutta da giocare e nell’attesa di capire cosa succederà, Londra corre ai ripari e nella giornata di giovedì ha pubblicato un documento tecnico per presentare i primi 25 punti di una guida di 80 note tecniche che verrà completata entro la fine settembre, un vero e proprio piano dedicato alla gestione di una eventuale Brexit senza intesa con l’Ue entro la deadline fissata il prossimo 29 marzo 2019.
Intanto, il ministro britannico alla Brexit, Dominic Raab che, insieme al suo omologo Michel Barnier, incaricato Ue per la Brexit, proseguirà le trattative “in maniera continua”, prova a fare professione di ottimismo allontanando lo scenario di un mancato accordo che definisce “improbabile” e getta acqua sul fuoco dichiarando che, in caso di divorzio non amichevole, il Regno Unito è pronto ad adottare una serie di regole dell’Unione europea per consentire le importazioni, chiedendo a Bruxelles di fare la stessa cosa per i beni britannici in ingresso nell’Ue.
Ma il quadro è tutt’altro che roseo con ripercussioni sulla vita quotidiana di cittadini e imprese: in caso di uscita senza paracadute, carte di credito più costose, transazioni in tempi più lunghi, più controlli doganali, addirittura possibili carenze di farmaci e di dispositivi medici.
Pagamenti con carta di credito più cari – Il governo ha avvertito che i consumatori britannici potrebbero affrontare “maggiori costi e tempi di elaborazione più lenti” per le transazioni in euro e che “il costo dei pagamenti con carta tra il Regno Unito e l’UE aumenterà probabilmente”. Avrebbe fine inoltre il divieto di sovraccarico in vigore nella Ue, che impedisce alle aziende di addebitare ai consumatori l’utilizzo di alcuni metodi di pagamento. I consumatori potrebbero dover affrontare un altro potenziale aumento dei costi dello shopping online, dal momento che i pacchi in arrivo in Gran Bretagna non saranno più soggetti all’Iva leggera che invece vale in Ue.
Anche le imprese che commerciano con l’UE potrebbero affrontare maggiori costi. Le aziende dovrebbero “se necessario, mettere in atto misure per rinegoziare le condizioni commerciali in modo da rispecchiare eventuali cambiamenti nelle procedure doganali e sulle accise e qualsiasi nuova tariffa applicabile UK-UE”, si legge in una delle note. “Le aziende dovrebbero considerare se sia appropriato per loro acquistare software e/o coinvolgere un broker doganale, uno spedizioniere o un fornitore di servizi logistici per supportarli alla luce di questi nuovi requisiti”.
Farmaci – La Gran Bretagna lascerà l’Agenzia europea del farmaco, ma continuerebbe a riconoscere i test in batch e le certificazioni UE per evitare la necessità di ripetere test e interruzioni delle forniture. Le banche del sangue e i fabbricanti di prodotti ematici continuerebbero a conformarsi ai requisiti dell’UE, mentre le leggi dell’UE sugli organi e sui tessuti sono state incorporate nella legge britannica. Il ministro della Brexit Dominic Raab ha detto che la Gran Bretagna dovrebbe rimpinguare le scorte nazionali di medicinali per sei settimane ulteriori in aggiunta all’attuale livello di tre mesi per evitare qualsiasi interruzione.
Traffico aereo – Nel mirino l’accordo Open Skies per la liberalizzazione del traffico aereo siglato tra la Ue e gli Usa, con le compagnie britanniche che temono conseguenze sui collegamenti con i Paesi Ue.
Fondi e aiuti umanitari – Cattive notizie per le organizzazioni umanitarie del Regno Unito che non potranno più accedere ai fondi europei e rischiano anche di perdere anche i finanziamenti già in parte ricevuti, con conseguenze pesanti per i progetti di sviluppo. Per tamponare la situazione, il governo inglese suggerisce di interrompere qualsiasi richiesta di finanziamento dalla Ue.
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