L’Artico è diventato “caldissimo”. L’aumento dei costi energetici dovuto alla guerra in Ucraina, la necessità per molti paesi di trovare fornitori alternativi e lo scioglimento dei ghiacci stanno innescando una competizione tra super potenze per il controllo delle risorse naturali del sottosuolo e per l’apertura di nuove rotte commerciali. Una guerra combattuta silenziosamente da Russia, USA, Norvegia, Danimarca e Canada. Un giro di affari da 90 miliardi di barili di petrolio e un tesoretto che, secondo le stime dell’Onu, vale il 30% delle riserve mondiali di gas.
La storia energetica dell’Artico inizia in Russia. Ad aprire la grande corsa agli idrocarburi fu la scoperta del campo Tazovskoye13 nel 1962; fu poi la volta proprio dell’Alaska, con il campo Prudhoe Bay venuto alla luce nel 1967. Circa 61 grandi giacimenti di petrolio e gas naturale sono stati scoperti a partire da quella data all’interno del circolo polare artico in Russia, Alaska, Canada e Norvegia. Quindici di questi grandi campi sono così dislocati: 11 in Canada e nei Territori del Nordest, 2 in Russia, e 2 nell’Alaska artica.
Ed è proprio la Russia di Putin il paese che più sta puntando sull’Artico, anche per acquisire un vantaggio geo-politico nello scacchiere internazionale ed allargare la sua sfera di influenza. Come la Cina rivendica il 90% del isole del Mar Cinese Meridionale costruendo basi militari su strutture artificiali create su barriere coralline appena affioranti, così la Russia rivendica il controllo delle risorse energetiche sotto l’Artico creando una serie di nuove basi militari che circondano il Circolo Polare Artico.
La strategia russa
Le truppe di Mosca stanno portando a termine la costruzione di nuove basi militari permanenti per respingere chi minaccia i suoi interessi economici nella zona, a partire da Canada, Norvegia e Danimarca.
L’operazione fa parte di un piano più ampio che prevede tredici piste di atterraggio e dieci nuovi sistemi radar a lungo raggio. Tra le nuove basi in fase di costruzione c’è anche quella di Trefoil sulla grande isola conosciuta come Terra di Alessandra (Zemlja Aleksandry) nel Mare di Barents; le altre nuove installazioni si trovano sull’isola di Kotelny nell’arcipelago della Nuova Siberia, sull’isola di Sredny nell’arcipelago Di Nicola II o Severnaya Zemlya, a Rogachevo sull’isola di Novaya Zemlya, a Wrangel e Cape Schmidt sulla penisola della Chukotka, ai confini con l’Alaska.
Nel 2015 il ministero della Difesa russo aveva annunciato di aver schierato in due basi, nell’arcipelago di Novaya Zemlya (la stessa di Rogachevo, isola tra il Mare di Barents e quello di Kara oltre il Circolo Polare Artico) e nel porto di Tiksi in Siberia, due batterie del loro più moderni e potenti sistemi anti-aereo: l’S-400.
Si tratta dello stesso sistema d’arma schierato in Siria a protezione delle forze aeree russe dopo l’abbattimento di un Sukhou 24 da parte di 2 F-16 turchi. L’S-400 è un sistema composto da un mezzo semovente comando, due tipi di radar semoventi, che controllano fino ad un massimo 12 piattaforme di lancio semoventi, ognuna in grado di sparare quattro missili. In questo modo un sistema S-400 può seguire e distruggere fino 80 obiettivi in cielo entro un raggio di 400 chilometri.
La posizione di Stati Uniti e Canada
Dal canto loro gli Stati Uniti sono impegnati in una guerra di nervi con gli ambientalisti che contestano qualsiasi opzione di sfruttamento energetico dell’Artico e non possono rispondere “colpo su colpo” alle iniziative russe.
L’ex presidente Obama aveva annunciato il varo di un decalogo di regole per la gestione dell’area artica, la principale delle quali riguarda l’impegno a verificare e garantire che tutte le attività commerciali che si dovessero svolgere nell’Artico rispettino i più alti standard di sicurezza e ambientali, in riferimento soprattutto agli obiettivi nazionali in tema di tutela ambientale e cambiamenti climatici. Per questo il Bureau of Ocean Energy Management, nel processo di pianificazione delle attività petrolifere offshore, collaborerà con il Canada affinché la regolamentazione globale per la gestione della zona artica, fissato dalle 2 nazioni, venga rispettata.
Da parte sua, Ottawa ha stimato che sepolti sotto il Mar di Beaufort, nell’Oceano Artico, potrebbe risiedere circa 1,36 miliardi di barili di petrolio. Ma anche sul versante canadese non mancano le difficoltà. Grandi società Oil & Gas come Imperial Oil, Exxon Mobil, BP e Chevron potrebbero vedersi costrette ad abbandonare i propri progetti di ricerca ed estrazione dal momento che non sono state in grado di convincere le autorità federali che possono proseguire nelle attività di perforazione – prima che le loro licenze scadono – senza scongiurare del tutto il rischio ambientale.
Donald Trump aveva rinnovato nel 2020 il suo interesse verso la Groenlandia offrendo alla Danimarca un pacchetto di investimenti dal valore di 12 milioni di dollari più la possibilità di istituire un consolato americano sull’isola. Ma i politici danesi non hanno ben accolto la proposta definendola “inaccettabile“.
Joe Biden sta lavorando sotto traccia per garantire agli USA una posizione di privilegio nello scacchiere artico, ben consapevole che questa partita è legata a “doppio filo” con l’evoluzione della situazione sul campo in Ucraina.
Il circolo polare artico è diventato l’ultima frontiera della Guerra Fredda. L’Europa, come da tradizione, è il giocatore più debole in campo. La partita a scacchi tra Russia e Stati Uniti è quantomai incerta ed è solo all’inizio.
Commenta per primo