La proposta di pace di Trump può funzionare solo con il riconoscimento della Palestina

Hamas sta valutando il piano di pace di Trump. Probabilmente chiederà dei correttivi, ma questa è una buona notizia, finalmente si è imboccato un sentiero di speranza per la pace.


Ma i palestinesi cosa ne pensano? E’ possibile immaginare un direttorio (esclusivamente) occidentale che governi la Striscia di Gaza in una fase transitoria? E poi, transizione verso cosa? Chi guiderà i palestinesi dopo?

Senza il riconoscimento di uno Stato Palestinese nessun accordo di pace può durare a lungo.

Nessun popolo può accettare un governatorato (esterno) permanente, senza avere la prospettiva di poter diventare artefice del proprio destino.

Come arrivare al riconoscimento della Palestina

L’approvazione della cosiddetta Dichiarazione di New York sul rilancio della soluzione dei due Stati tra Israele e Palestina da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite offre un barlume di speranza per risolvere una delle crisi più devastanti del nostro tempo, ma è solo una delle tante azioni da fare.

In una lettera all’ONU cinque leader socialisti europei individuano alcuni passaggi politici e istituzionali da compiere nel futuro prossimo per salvaguardare “le prospettive di autodeterminazione dei palestinesi”, seriamente minate dal governo israeliano che, oltre a proseguire “le atrocità a Gaza (…) sta espandendo gli insediamenti in Cisgiordania in totale violazione del diritto internazionale e permette che la violenza dei coloni continui impunemente”. Israele “Sta inoltre minando l’Autorità palestinese trattenendo il gettito fiscale, rendendo più difficile pagare gli stipendi e mantenere i servizi”.

In primo luogo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite deve portare avanti il riconoscimento, a lungo rinviato, dello Stato palestinese. I paesi dell’UE, tra cui la Svezia e la Spagna, avevano già riconosciuto la Palestina. Alla Francia si sono poi aggiunti (o hanno dichiarato di volerlo fare) il Regno Unito, Malta, il Belgio, il Portogallo, il Lussemburgo, il Canada e l’Australia. “Un ulteriore riconoscimento da parte degli Stati europei non farebbe che rafforzare questo slancio, inviando un messaggio chiaro e univoco che l’UE rimane impegnata nella soluzione dei due Stati”.

Contestualmente, l’UE deve adoperarsi per rafforzare la Palestina in modo concreto, potenziando i legami “fino a un accordo di associazione a tutti gli effetti, con disposizioni per un maggiore sostegno finanziario, relazioni commerciali ampliate e un dialogo politico più strutturato”.

Già nel 1997 l’UE aveva firmato un accordo di associazione interinale con l’Autorità palestinese. “Alla luce dell’escalation di violenza dei coloni nella Cisgiordania occupata e del progetto del governo Netanyahu di insediare colonie nella cosiddetta zona E1, che di fatto taglierebbe fuori la Cisgiordania da Gerusalemme Est e dividerebbe il territorio in due, è giunto il momento di andare oltre”.

Potenziare i legami dell’UE con la Palestina “è un passo necessario per rafforzare gli sforzi di costruzione dello Stato da parte dell’Autorità palestinese e riaffermare l’impegno dell’UE a favore di una soluzione a due Stati”, concludono i cinque leader socialisti.

Una soluzione ritenuta da Netanyahu incompatibile con gli interessi di sicurezza di Israele, ma che al contrario è l’unica via per non compromettere la possibilità di un dialogo conciliante. “La pace e la sicurezza di Israele richiedono sovranità e sicurezza sia per Israele che per la Palestina. (..) I palestinesi, proprio come gli israeliani, meritano libertà, sicurezza e dignità”.

L’ondata di riconoscimenti dello Stato palestinese rischia di essere un’altra ondata passeggera senza passi concreti che impediscano il collasso dell’Autorità Palestinese e traducano il riconoscimento simbolico in misure significative sul campo, osserva il giornalista Jack Khoury su Haaretz.

Il discorso di Trump all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha sposato la narrazione israeliana quasi parola per parola – il riconoscimento della Palestina è “una ricompensa per il terrorismo”; tutti gli sforzi internazionali devono essere diretti contro Hamas piuttosto che contro l’occupazione – non lasciano spazio a fraintendimenti. Dal punto di vista dell’Autorità Palestinese, il quadro è chiaro: Trump è Netanyahu e Netanyahu è Trump. Le differenze di stile sono trascurabili quando il messaggio strategico è lo stesso: cancellare la questione palestinese dall’agenda politica.

Sul campo, prosegue Khoury, la decisione di Israele di chiudere il valico di frontiera con la Giordania – unica via di comunicazione della Cisgiordania con la Giordania e il resto del mondo – “su istruzioni del governo”, come ha affermato l’autorità di frontiera, ha sottolineato la portata del controllo israeliano: “si è trattato di un atto di punizione collettiva, un duro promemoria del fatto che, anche dopo che i paesi hanno dichiarato il riconoscimento di uno Stato palestinese, Israele decide da solo chi può entrare e chi può uscire”. Un alto funzionario palestinese ha dichiarato ad Haaretz che la chiusura equivaleva a “un via libera per Netanyahu” per portare avanti gli attacchi a Gaza e le misure di annessione in Cisgiordania.

È qui che emerge il netto paradosso dei palestinesi”, conclude Khoury: “da un lato, il riconoscimento internazionale senza precedenti di uno Stato palestinese; dall’altro, il soffocamento quotidiano che mette a nudo la loro assoluta dipendenza da Israele. Mentre l’Autorità Palestinese cercava di cavalcare l’onda del riconoscimento e trasformarla in uno slancio storico, Trump l’ha interrotta con un solo discorso e Israele l’ha neutralizzata con le sue azioni”.

Senza azioni concreto, la soluzione dei due Stati si allontanerà ulteriormente, fino a ridursi a nient’altro che uno slogan vuoto. E senza i due Stati anche la pace è una chimera.

Informazioni su Marco Blaset 162 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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