Tassisti, quella lobby trasversale che nessun governo è mai riuscito a piegare

Più che una lobby, i tassisti sono un monolite. Compatto e politicamente trasversale. Capace di tenere in ostaggio una città e un Paese, le sue stazioni ed aeroporti. E per questo molto influente su politici e governi. Di fatto, intoccabili. Neanche gli esecutivi tecnici, da Monti a Draghi, sono riusciti a scalfire questa compagine e a portare un po’ di concorrenza in un settore tra i più ingessati dell’economia italiana. Licenze ferme da quindici anni, lunghe file a Milano e Roma: ecco l’istantanea dell’estate 2023, la prima del boom turistico post Covid.


Sbaglia chi li considera tutti di destra e li immagina gongolare con la premier Meloni a Palazzo Chigi. Lo dimostra il malcontento dopo il doppio incontro con questo esecutivo: il primo al ministero delle Imprese guidato da Adolfo Urso (FdI), gestito però da remoto dalla sottosegretaria Fausta Bergamotto, e il secondo «in presenza» con il ministro leghista dei Trasporti Matteo Salvini. Deludenti entrambi. «L’impressione è che Salvini si sia infilato in un effetto annuncio», borbottano in molti all’uscita. Il ministro dice che vuole aumentare l’offerta e semplificare, non spiega come. Soprattutto chiede: «Ma a che punto siamo con i decreti attuativi della legge 2019?». Risposta: «Ministro, lo chieda al suo sottosegretario Edoardo Rixi che nel 2019 c’era e quella legge la conosce bene».

Il confronto con i governi

Era il governo gialloverde, M5S-Lega. Da allora quattro anni passati invano. In mezzo il Covid: «Nel 2020 e 2021 abbiamo guadagnato una mensilità, portavamo solo gente in ospedale, molti di noi sono morti col virus», raccontano. Nel frattempo i tre importanti decreti attuativi di quella legge sono rimasti lettera morta: la regolamentazione delle piattaforme digitali, il registro nazionale delle imprese e il foglio di servizio degli Ncc, i noleggi con conducente. Il ministro di allora, il cinquestelle Danilo Toninelli, si voltò dall’altra parte. «I Cinquestelle si disinteressano dei tassisti», delegandoli alla Lega. Il partito di Salvini, allora come ora, manca di idee.

Ecco quindi che le braccia tese in piazza Venezia occupata in tutta la sua ampia rotondità da auto bianche con il “nero” Alemanno sindaco è un ricordo oggi sbiadito. Sia perché «contro Alemanno abbiamo anche manifestato». Sia perché il capopopolo dell’epoca è il traditore di oggi: Loreno Bittarelli, presidente del 3570, forse il tassista più noto d’Italia, dieci anni fa candidato e non eletto proprio con Fratelli d’Italia. Traditore perché è «passato con il nemico, la multinazionale Uber: gli fornisce le vetture del suo 3570 che oggi si chiama It-Taxi e Uber sulla app offre la doppia scelta, noleggio o taxi, togliendoci clienti e portando i profitti nei paradisi fiscali». L’astio nei confronti di Bittarelli è pari a quello per una certa narrazione negativa della categoria.

Riccardo Cacchione, tassista romano da 17 anni e responsabile Usb Taxi, un anno fa proprio a luglio era incatenato insieme a due colleghi in piazza Montecitorio contro l’articolo 10 del disegno di legge sulla concorrenza voluto da Draghi e che toccava anche i taxi. «Draghi non voleva confrontarsi, la viceministra ai Trasporti di Italia Viva Teresa Bellanova era irremovibile e ci chiedeva di fermare la protesta», racconta Cacchione. «Intanto l’Espresso pubblicava gli “Uber files”, l’inchiesta del Guardian che rivelava i politici a libro paga della multinazionale, persino Macron. E il meccanismo di elusione fiscale sui profitti. Abbiamo vinto, l’articolo 10 è stato stralciato. Se non ci fossimo incatenati, il governo avrebbe liberalizzato». In quei giorni «tutta la politica passava a darci una pacca sulle spalle, anche il Pd era spaccato: ce lo diceva Debora Serracchiani».

La categoria dei tassisti è piccola – 7.774 a Roma, più 1.600 licenze Ncc tra Roma e Provincia, meno di 5 mila a Milano, anche se un numero ufficiale non c’è, manca il registro nazionale – ma con un potere di blocco elevato. Alla politica non piace averli contro. Un interlocutore si trova in ogni partito. «L’anno scorso alla fine in commissione Trasporti li abbiamo portati quasi tutti dalla nostra parte», racconta ancora Cacchione. «Perché il nostro è un servizio pubblico con tariffa amministrata dai Comuni e licenze contingentate: non ci può essere concorrenza. Uber ci toglie lavoro e non aumenta il servizio, anzi lo offre anche a costi superiori e seleziona la clientela con l’algoritmo. La nostra è una battaglia di civiltà. E non vogliamo indennizzi, ma lavorare e avere un reddito decente».

Il tesoro delle licenze

Il partito più inviso ai tassisti è senz’altro Azione-Italia Viva. Renzi è nel mirino delle auto bianche perché dice che «è “cool” (alla moda, ndr) prenotare l’auto con la app». E perché provò a disciplinare invano il settore durante il suo governo. Gli attriti con la Bellanova ancora pesano. E il disegno di legge appena depositato in Parlamento aggiunge sale sulla ferita. Lì si propone di assegnare una seconda licenza ad ogni tassista, così raddoppiandole, purché la rivenda dopo due anni. «Una licenza è e deve restare il reddito di una famiglia», dice Nicola Di Giacobbe, coordinatore di Unica Taxi Cgil. «Quella proposta deregolamenta il servizio pubblico, toglie ai Comuni la programmazione e la gestione. Un regalo alle multinazionali che la sfrutteranno per introdurre il caporalato digitale, lasciando solo caos e disservizio».

Se si aprisse di nuovo una battaglia parlamentare – improbabile visto lo stallo anche sui balneari, altra lobby coccolata – gli interlocutori dei tassisti sarebbero da trovare, tra vecchi e nuovi. Di sicuro c’è Maurizio Gasparri di Forza Italia, da sempre “sensibile” alle istanze. La deputata della Lega Elena Maccanti, commissione Trasporti. E poi i dialoganti del Pd: Andrea Casu e Anthony Barbagallo. Cinquestelle non pervenuti. «Ricordatevi della sindaca Raggi: ci ha sempre ignorati», dicono i tassisti. Al governo poi c’è la sponda del ministro Urso (per anni in commissione Trasporti) e il viceministro Rixi, braccio destro di Salvini. Ma la categoria è polverizzata. Ai tavoli si presentano in 26. Oltre ai sindacati Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Usb ci sono molte cooperative e alcune sigle sconosciute ai più. «Tanti non sono nemmeno tassisti, addirittura commercialisti». Ma un registro non esiste e tutti parlano quattro minuti a testa. Su un punto convergono: «La torta è piccola, non serve allargarla: bisogna solo regolamentarla per gestire i picchi stagionali». Guai a toccare il tema Uber e Ncc. Nemici di alcuni, amici di altri.

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