Il gas USA alla conquista del mondo

Il 2016 sarà l’anno del gas americano. A marzo, infatti, la compagnia energetica statunitense Cheniere Energy consegnerà in Europa – precisamente in Spagna – i primi carichi di gas naturale liquefatto (LNG) provenienti dal terminal Sabine Pass, in Louisiana.

Gas Usa

Grazie alla “rivoluzione” shale, nel giro di pochissimi anni gli Stati Uniti si stanno trasformando in un paese esportatore di gas naturale, e aspirano a diventare un attore globale del mercato LNG. Infatti, nonostante le rigide procedure di autorizzazione previste dal Dipartimento per l’Energia (DoE) e dalla Guardia Costiera federale, dal 2011 sono stati avviati oltre venti progetti per l’esportazione di LNG dalle coste americane, cinque dei quali sono già in fase pre-operativa. In ottica europea, il gas americano potrà rafforzare le strategie di diversificazione energetica promosse della Commissione e dagli stati membri, contribuendo a ridurre la dipendenza dagli attuali fornitori, Russia in primis. Tuttavia, il successo della cooperazione transatlantica appare oggi tutt’altro che assicurato: nonostante i primi carichi di LNG in arrivo in Europa, l’eccesso di offerta a livello globale, i livelli dei prezzi nei principali hub europei e lo stallo dei negoziati sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (T-TIP) potrebbero infatti frenare l’attuale entusiasmo per il gas “a stelle e strisce”.

Una scalata dai numeri straordinari

La traiettoria in atto nel settore del gas naturale negli Stati Uniti ha dell’incredibile. Il paese, fino alla metà dello scorso decennio si preparava a diventare il più grande importatore di gas del pianeta. Oggi, la “rivoluzione” non-convenzionale lo ha reso praticamente autosufficiente e pronto a inserirsi nel mercato globale dell’LNG. Nel giro di pochi anni, infatti, la produzione di shale gas – concentrata principalmente nei giacimenti di Bakken in North Dakota, Marcellus in Pennsilvanya e Eagle Ford in Texas – è passata dai 20 miliardi di metri cubi annui (Bcm) del 2008 ai 430 Bcm del 2015. Oltre al terminal Sabine Pass di Cheniere Energy – approvato dalle autorità americane nel 2012 e pronto ad avviare le operazioni nei prossimi mesi – negli ultimi tre anni sono stati avviati oltre venti progetti per l’esportazione di gas naturale dalle coste americane. Attualmente, cinque di questi hanno ottenuto tutte le licenze necessarie e quattro sono già in fase di realizzazione, per una capacità totale di esportazione pari a 105 Bcm, quasi tutta concentrata nel Golfo del Messico tra Louisiana e Texas. Una volta completamente operativa, l’intera infrastruttura di liquefazione americana potrebbe essere in grado di commercializzare sui mercati globali oltre 400 Bmc di LNG, ben oltre l’intera domanda europea di gas (nel 2014 ferma a 387 Bcm) e oltre sette volte quella italiana (56 Bcm). Nonostante la rapidità con la quale le compagnie energetiche, americane e non, si sono inserite nel settore, la sostenibilità di alcuni questi progetti – per la realizzazione dei quali sono necessari investimenti attorno ai 100 miliardi di dollari – è resa incerta da problematiche di natura amministrativa. Le esportazioni di LNG, infatti, sono al momento sottoposte alla valutazione del Dipartimento dell’Energia, che – nel caso di paesi non firmatari di Free Trade Agreements (FTAs) – ne stabilisce di volta in volta l’ammissibilità, rallentando le decisioni di investimento degli operatori.

Alla ricerca di mercati di esportazione

La questione delle autorizzazioni è resa particolarmente spinosa dal fatto che tra i venti firmatari di FTA con gli Stati Uniti – eccezion fatta per la Corea del Sud – non vi sono grandi consumatori di gas naturale. Del gruppo, ad esempio, non fa parte l’Unione europea – il maggiore importatore a livello globale – che dipende dall’estero per il 65% dei suoi consumi.
All’apice della crisi in Ucraina e alla luce delle potenziali ripercussioni sulle forniture di gas dalla Russia, l’opzione europea per l’LNG americano è stata sponsorizzata sia dal Presidente Obama che dalla Commissione europea e da alcuni stati membri. Attualmente, la capacità di rigassificazione europea è utilizzata soltanto al 20%, con ampi margini per le importazioni soprattutto in Spagna, Francia, Regno Unito e Italia. Al fine di ottimizzare l’utilizzo delle infrastrutture disponibili e di assicurare l’accesso al mercato ai paesi dell’Europa centro-orientale, la Commissione presenterà a gennaio – nell’ambito dell’Energy Union – la sua primaEuropean LNG Strategy, all’interno della quale il gas americano giocherà molto probabilmente un ruolo rilevante. Al contempo, la progressiva diminuzione dei prezzi del gas in Asia orientale e il sostanziale allineamento a quelli europei, ha reso il vecchio continente un mercato più appetibile rispetto al passato, quando gli alti differenziali di prezzo rendevano i mercati asiatici la destinazione preferita dagli esportatori di LNG. In questa situazione, alla luce della localizzazione dei principali terminal di esportazione americani e della vicinanza geografica, l’UE potrebbe rappresentare un’opzione appetibile per il gas statunitense.

Ci sarà anche un futuro europeo?

Nonostante queste rosee prospettive, tuttavia, il destino del gas americano è tutto fuorchè certo. Washington e Bruxelles sono impegnate nei negoziati sul TTIP, che renderebbe possibili le esportazioni di gas americano in Europa senza dover affrontare le procedure autorizzative del Dipartimento per l’Energia, velocizzando i tempi commerciali e rafforzando la cooperazione energetica a livello transatlantico. La finalizzazione dell’accordo, però, appare oggi abbastanza incerta, e con essa la possibilità di creare un mercato del gas transatlantico privo degli stretti vincoli dell’amministrazione americana. A ciò va aggiunto il fatto che, a causa di una domanda di gas che stenta a riprendersi dopo la crisi economica, e di politiche energetiche orientate all’utilizzo delle rinnovabili, il mercato europeo è oggi caratterizzato da un eccesso di domanda e da prezzi particolarmente depressi. Ai prezzi attuali nei maggiorihub europei, al netto dei costi di liquefazione/rigassificazione e di trasporto, i profitti per i produttori americani di LNG potrebbero non giustificare politiche di export verso l’Europa. Alla luce di queste considerazioni, il futuro dell’asse transatlantico nel settore del gas naturale appare oggi meno promettente di quanto previsto sulla scia della crisi ucraina. Se è ipotizzabile, infatti, che volumi di LNG americano raggiungeranno il mercato europeo nei prossimi mesi, risulta ancora difficile pensare agli Stati Uniti come un’alternativa agli attuali fornitori del vecchio continente. Di sicuro, comunque, il gas “a stelle e strisce” contribuirà ad aggiungere un’opzioni affidabile al portfolio degli approvvigionamenti europei – con effetti positivi in particolare su alcuni paesi pronti ad investire nel settore LNG come la Lituania e la Polonia, e più in generale sulla sicurezza energetica dell’UE (Fonte: ABO).

Nicolo Sartori
Informazioni su Nicolo Sartori 58 Articoli
Nicolò Sartori è senior fellow e responsabile del Programma Energia dello IAI (Istituto Affari Internazionali), dove coordina progetti sui temi della sicurezza energetica, con particolare attenzione sulla dimensione esterna della politica energetica italiana ed europea.. La sua attività si concentra in particolare sull’evoluzione delle tecnologie nel settore energetico. Ha lavorato inoltre come Consulente di Facoltà al NATO Defense College di Roma, dove ha svolto ricerche sul ruolo dell’Alleanza Atlantica nelle questioni di sicurezza energetica.

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