Armati fino ai denti, perchè gli americani si sentono sempre in guerra con i loro vicini

Le sparatorie nelle scuole o nei supermercati americani rischiano di non fare più notizia. E’ tale il livello di diffusione delle armi tra i cittadini che la probabilità che qualcuno perda la testa e faccia una strage è diventata quasi una certezza statistica.


Ogni mese una strage e ogni volta la politica dispensa ricette: i democratici invocano leggi restrittive e i repubblicani sostengono teorie sul come evitare queste tragedie senza toccare il “sacrosanto diritto dei cittadini americani a detenere un’arma”.

Prima di guardare cosa significhi questo scontro politico (e culturale) sulle armi, usiamo i numeri per fotografare lo stato delle cose. Le stragi sono infatti la punta dell’iceberg, si muore con frequenza per incidenti, sparatorie, pallottole vaganti: le stragi fanno rumore perché episodi scioccanti, i morti ammazzati per litigi nel ghetto molto meno. Eppure nel 2020 sono morti ammazzati da un colpo 11,6 bianchi e 31,8 afroamericani ogni 100mila persone.

Nel 2020 negli USA sono morte 45.222 persone per colpo d’arma da fuoco, 24 mila i suicidi, 19mila omicidi e 535 incidenti. Nello stesso anno la prima causa di morte per bambini e teenager sono i proiettili: 2200 under 18 uccisi. Il numero di stragi come quelle di queste ultime settimane è cresciuto così come il numero delle vittime: delle dieci stragi col maggior numero di vittime, le prime nove sono negli ultimi 10 anni.

Il numero di armi in mano a civili è oggi 120 per ogni 100 abitanti, nel 2011 erano 88. Il numero di famiglie in cui è presente un’arma è diminuito dal 1973 al 2011 per poi riprendere a salire. Ed è cresciuto il numero di fucili e pistole in circolazione in possesso di una singola persona. Ci sono dunque famiglie armate fino ai denti.

Da quando nel 2004 il Congresso non ha rinnovato il bando alle armi semi automatiche, il numero di fucili a ripetizione prodotti negli Stati Uniti è aumentato in maniera costante, le armi made in USA sono aumentate del 187% in 20 anni.

Gli Stati dove si muore di più non sono quelli dove si commettono più reati ma quelli dove ci sono più armi in circolazione. La curva di crescita del numero di armi precede l’aumento del numero di reati commessi legato alla pandemia.

Nel rispondere all’ennesima tragedia in Texas, le due figure politiche più importanti dello Stato, il senatore Cruz e il governatore Abbott hanno avanzato le seguenti teorie: 

  1. Il problema non è la quantità di armi, c’è un problema di salute mentale sul quale occorre fare di più; nelle scuole ci sono troppe porte non sorvegliate, le scuole dovrebbero avere un solo ingresso. 
  2. Se ci fossero guardie armate o i professori fossero armati si potrebbe rispondere al fuoco ed evitare le stragi; serve più training a scolari e professori per capire cosa fare in queste occasioni. 
  3. I democratici politicizzano una tragedia per togliere il diritto di possedere armi agli americani.

Le teorie di Abbott e Cruz ricalcano quelle del partito repubblicano. Il governatore del Texas che parla di salute mentale ha voluto un taglio di 211 milioni ai fondi ad essa dedicati; in compenso il Texas ha approvato una legge che elimina l’obbligo per i residenti di ottenere il porto d’armi se non gli è vietato dalla legge statale o federale. Le porte sul retro di ogni edificio pubblico sono note nel mondo – non solo in Texas – per essere uscite di sicurezza con maniglioni anti-panico.

Quanto alle guardie armate è possibile uccidere anche loro, a meno di non prevedere degli squadroni della morte davanti a ogni scuola. Tra l’altro, per la strage della scuola di Uvalde (21 morti) la polizia ha aspettato 40 minuti prima di entrare nell’edificio e bloccato genitori disperati che volevano farlo per conto proprio. Non c’è molto altro da aggiungere.

Una questione più importante riguarda invece il tema del secondo emendamento, quello che recita: “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”. 

Il testo riguarda la possibilità di costruire milizie per impedire il ritorno dell’impero o della tirannide e da questo fa conseguire il diritto a portare armi degli individui. È un testo che andrebbe collocato nel suo tempo. Il problema di questa retorica costituzionalista e tradizionalista è che fa a pugni con i dati che abbiamo messo in fila: le armi aumentano come prodotto di una campagna meticolosa di promozione del loro possesso. “Nel quadro di una più generale svolta conservatrice, [il secondo emendamento] è stato vieppiù destoricizzato e decontestualizzato: trasformato in una sorta di feticcio che giustificherebbe, in nome di una libertà individuale sacra e senza limiti, l’assenza di qualsivoglia regolamentazione del possesso, della vendita e della circolazione di armi da fuoco”, ha scritto lo storico Mario Del Pero sul Giornale di Brescia.

Il punto di tutta questa vicenda è questo: una campagna articolata e di lungo periodo per far diventare le armi un terreno di scontro politico e identitario. Uno sforzo articolato. C’è il lavoro dei giudici conservatori della Corte Suprema e di quelli federali per interpretare il secondo emendamento in maniera sempre più ampia – potremmo presto vedere una nuova sentenza che ridimensiona le leggi statali che limitano la circolazione di armi. C’è il lavoro costante della National Rifle Association (NRA) per promuovere il possesso di armi per via legislativa e come aspetto fondante dell’identità americana. Prima del voto del 2020 la NRA ha speso circa 29 milioni di dollari in campagne pro o contro candidati, il 98,25% per sostenere candidati del partito repubblicano o contro i loro avversari.

La NRA è anche uno dei promotori dell’ALEC (American Legislative Exchange Council), un team di giuristi che scrive e propone alle assemblee legislative statali leggi pro armi pre-confezionate. L’ALEC fa il lavoro di scrivere la legge, fa lobby, spiega all’eletto che presentando quella legge avrà contributi elettorali e visibilità presso la propria base, e le assemblee a maggioranza repubblicana approvano le leggi. Un buon esempio sono le leggi che offrono una interpretazione estesa della legittima difesa.

Le cosiddette leggi “stand your ground” che consentono a chi si sente in pericolo di usare la forza e non dover arretrare se si sente minacciato (i critici le chiamano shoot first, spara per primo). Queste leggi sono state approvate in 24 Stati. Grazie a quella della Florida la persona che ha ucciso il 17enne afroamericano Trayvon Martin mentre andava a comprarsi uno snack è stata assolta. Uno studio dell’Urban Institute segnala come gli omicidi con un autore bianco e una vittima nera abbiano dieci volte più probabilità di essere giudicati giustificati rispetto ai casi con un autore nero e una vittima bianca.

Al lavoro materiale si affianca l’immaginario, la costruzione di un nesso tra cosa significhi essere americani, cristiani, patrioti e il possesso di armi. Due buoni esempi riguardano la pubblicità della Daniel Defense, ditta produttrice del fucile usato da Walter Ramos contro gli scolari di Uvalde: una ritrae un bambino di pochi mesi con il fucile in mano e recita “addestrali da piccoli”, nell’altra, pubblicata a Pasqua, un fucile e una croce e un passo del vangelo accompagnano il testo “È risorto”.

I video elettorali con le armi si sprecano e sono passati dall’1% del 2012 all’8% nel 2018 (esempi? eccone uno e un altro). Le armi, insomma, come la croce, la bandiera e il diritto alla vita diventano elementi per costruire un’identità di destra e conservatrice. L’uso delle leggi che ampliano i confini statali del Secondo emendamento, come quella approvata dal Texas, non riguarda l’occuparsi di un tema che richiede interventi urgenti da parte del legislatore.

Come le leggi che negano l’aborto, i curricula scolastici che costringono a insegnare la teoria della creazione accanto all’evoluzionismo, anche la legislazione in materia di armi da fuoco riguarda la straordinaria capacità della destra conservatrice americana di sostituire la mancanza di idee con quelle che si chiamano “culture wars”. Spaventando e invocando il passato, costruendo un orgoglio nazionale fittizio ci si garantisce il consenso di ampie fasce della popolazione conservatrici e/o spaventate da una società che cambia

Informazioni su Marco Blaset 155 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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