Ieri FCA-Renault, oggi FCA-Peugeot. La famiglia Agnelli sta cercando da tempo un partner industriale con cui affrontare le sfide dell’elettrificazione, della guida autonoma e dei mercati asiatici. Per quelle singolari coincidenze della Storia il partner giusto (o se vogliamo l’unico disponibile) per il Gruppo guidato da John Elkann è proprio francese. Infatti, la fusione FCA-Peugeot supererebbe una rivalità storica lunga due secoli tra Italia e Francia, scrivendo una nuova pagina di relazioni tra i due paesi.
A differenza del tentato accordo con Renault, questa volta le “buone ragioni” per portare a termine una fusione sono tante. È una questione di numeri, di sinergie industriali, ma anche di sopravvivenza in un mercato mondiale troppo complesso per restare da soli. E non c’è più tempo da investire in trattative. Cerchiamo di comprendere i veri motivi di questa “fusione perfetta” con il supporto dell’analisi di Alessandro Lago di Motor1.com.
America, Europa, Cina
Il primo aspetto da tenere a mente per seguire gli sviluppi della vicenda è la portata geopolitica della fusione. FCA, oggi, è una società americana con una testa europea (è controllata dalla Exor – la finanziaria degli Agnelli – con il 29%). PSA, invece, è un gruppo europeo con tre azionisti di riferimento: il Governo Francese, la famiglia Peugeot e la cinese Dongfeng, tutti allineati al 14,1%. La presenza cinese non è un particolare di poco conto per una fusione del genere, considerando i difficili rapporti Stati Uniti – Cina, ma proprio Dongfeng quest’estate ha annunciato l’intenzione di cedere la partecipazione. Un’intenzione che potrebbe aver dato il La alle trattative ufficializzate in queste ore. Ma vediamo quali sono le altre buone ragioni.
La salvezza europea per FCA
FCA soffre in Europa e soffre tanto. Mancano nuovi modelli, mancano le risorse per svilupparli e soprattutto per farli elettrificati in tempi brevi. Il carico da novanta arriverà il 1° gennaio 2020 con l’entrata in vigore delle nuove normative europee sulle emissioni di CO2. Chi vende auto non elettrificate e, comunque, che emettono più di 95 grammi di CO2, pagherà multe salatissime (90 euro per ogni grammo eccedente su ogni singola auto), ed FCA è uno dei costruttori per i quali è previsto il salasso più pesante. Il che significa meno profitti e ancora meno risorse da investire. La fusione con PSA permetterebbe di accelerare il lancio di nuovi prodotti grazie alla piattaforme del Gruppo francese e alla strategia di elettrificazione già avviata su Peugeot, Citroen, Opel e DS. Senza contare le prospettive di economia di scala su progettazione, produzione, componentistica e rete di vendita.
Gli States per PSA
PSA non esiste in Nord America che è un mercato enorme (vale 17 milioni di auto l’anno). Con in chiari di luna nazionalistici della presidenza Trump oggi è praticamente impossibile entrarvi partendo da zero. A meno di non esserci già come FCA, che anzi è fortissima con i marchi Jeep e RAM al punto che oggi oltre il 75% dei ricavi del Gruppo viene generato oltreoceano. Per PSA l’espansione territoriale sarebbe garantita per quanto complessa da definire in termini di posizionamento e strategia industriale. Perché con l’amministrazione Trump, che il prossimo 13 novembre presenterà un rapporto sui dazi per l’industria dell’auto, il “Made in USA” viene prima di qualsiasi altra cosa.
I brand premium italiani (per tutti)
A PSA mancano i marchi premium se non consideriamo la start-up DS. FCA, invece, i marchi premium ce li ha, ma non ha le risorse per farli splendere e competere a dovere con la concorrenza tedesca. Parliamo naturalmente di Alfa Romeo e di Maserati, senza contare più Lancia il cui ripescaggio è quanto mai improbabile a prescindere dalla fusione. L’alleanza grazie alle condivisioni di piattaforme, motori, tecnologie e rete di vendita, consentirebbe un’accelerazione senza procedenti nella strategia di rilancio dei marchi italiani, promessa da anni, ma disattesa puntualmente a causa della mancanza di risorse.
La sfida cinese e gli altri mercati
E poi c’è la Cina, un mercato importantissimo che è diventato un problema per entrambe le aziende a causa del tracollo del mercato automobilistico locale. Al di là del “mal comune, mezzo gaudio”, PSA ha una strategia di ristrutturazione concreta e già avviata peraltro con Massimo Roserba, un manager italiano ex FCA. La sinergia non può che agevolare il rilancio, razionalizzando le partnership industriali locali, Dongfeng per PSA e Guangzhou Automobile Group per FCA. Altrettanto complementari sarebbero gli altri emergenti: FCA è molto forte nel Sudamerica, mentre PSA può contare su una presenza forte sui mercati nordafricani.
L’incognita sulla Governance
Dati gli interessi transazionali in gioco, che si legano a doppio filo alla presenza di stabilimenti produttivi e quindi ai posti di lavori, la Governance sarà uno dei nodi più delicati da sciogliere nelle trattative. Le indiscrezioni di queste ore parlano di fusione paritetica con il ruolo di CEO affidato a Carlos Tavares e quello di Presidente a John Elkann, ma non è affatto scontato il peso che avranno i singoli paesi e quindi Italia, Francia e Stati Uniti.
Tutti hanno qualcosa da guadagnare, ma anche da perdere e bisognerà trovare un compromesso. Anche perché le economie di scala che gli analisti hanno già stimato in 7 miliardi (a regime) non nascono dal nulla e il Sig. Tavares, universalmente riconosciuto nel mondo dell’auto come un mago dell’efficienza, non è solito guardare in faccia nessuno. In altre parole questa fusione ha sì tutto il senso del mondo, ma, semmai si farà, non sarà una fusione fredda.
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