Hollywood, America, Mondo. Come funziona la più grande industria culturale del pianeta

L’America è anzitutto Hollywood. La percezione che il resto del mondo ha degli Stati Uniti è stata generata in buona parte dal cinema che ha diffuso nel mondo il cosiddetto “american way of life“. I vari governi a stelle e strisce hanno sempre usato (e sostenuto finanziariamente) l’industria del cinema per imporre un modello, a cui buona parte dell’occidente si è confermato e a cui, senza ammetterlo, aspira anche il resto del mondo, perfino quello dichiaratamente anti-americano.


Cerchiamo di capire allora come funziona la più grande industria culturale del mondo con l’analisi di Gabriele Scarfone, scrittore e sceneggiatore cinematografico, che si concentra sulla componente creativa che è quella in cui Hollywood dimostra il suo carattere di industria globale e la sua netta superiorità rispetto al cinema francese e italiano.

Hollywood, America, Mondo

Milioni di persone, quando pensano ad Hollywood, s’immaginano quella fantastica vita fatta di feste edonistiche, bevute dionisiache e sesso a volontà. Be’, posso dire che il 50% di questa definizione è probabilmente giusta. Ma Hollywood, per essere quel mito che le persone credono, deve seguire una determinata routine fatta di regole e gerarchie. A differenza di altre “istituzioni cinematografiche”, quali ad esempio Cinecittà, Hollywood è un’industria, una macchina finanziaria, dove l’arte diventa strumento di lucro.

Qualche volta, Hollywood e i suoi film non sono così banali e scontati come penserebbe uno snob presuntuoso europeo, abituato invece a scenari dove il film di per sé talvolta è semplicemente una conversazione in un bar tra due anziani. I prodotti commerciali e definiti “cheesy” (come i supereroi dalle mille maschere o le commedie al limite del ridicolo) servono a rinforzare le casse di Hollywood per poi permettergli di continuare a finanziare e supportare mostri d’arte quali Martin Scorsese, Quentin Tarantino o i fratelli Coen. Ebbene sì, quegli snob europei non devono mai scordarsi che anche questi nomi fanno parte del cinema americano.

Voglio entrare più nel dettaglio su Hollywood. Come funziona? Tutto parte da un’idea, un’intuizione che un povero sceneggiatore ubriaco scrive su carta e trasforma in sceneggiatura. Il lavoro che richiede la scrittura di una sceneggiatura decente è infinito. Non si scrivono sceneggiature in Microsoft Word, prima di tutto. Poi, la cosa che molte persone ignorano è quanta matematica richiede la stesura di una sceneggiatura.

Ebbene si, matematica. L’idea della sceneggiatura è il problema che ti viene presentato davanti. La storia e la sua evoluzione sono le equazioni che svolgi per risolvere il problema (e quindi la storia). Ogni scena è una mini equazione che alla fine deve avere un senso, uno scopo, una ragione per esistere. E la storia deve muoversi velocemente, altrimenti il lettore potrebbe annoiarsi o perdersi. I dialoghi devono avere al loro interno un sapore nevrotico e decisamente maniacale, se vogliono essere efficaci e creare intrattenimento. Quando tutto questo processo raggiunge la conclusione, ecco che compare la figura dell’agente: un venditore, una macchina scaltra e furba, i cui contatti e relazioni con i vari produttori, studio executives e registi sono la ragione del suo potere.

Nel caso in cui la sceneggiatura fosse “opzionata” da un produttore o meglio ancora da un major studio (ricordiamo che gli studios sono Warner Bros., DreamWorks, Disney, Paramount, Lionsgate, Universal, Sony, 20th Century Fox, ecc…), allora si va in quella fase chiamata “development” (la mia preferita), dove più di una persona lavora per perfezionare al massimo la sceneggiatura, la sua storia ed i suoi personaggi. Molte volte, le sceneggiature vengono vendute o passate in produzione solo attraverso il cosiddetto “packaging” ovvero la creazione, tramite il lavoro dell’agente, di un pacchetto fatto di sceneggiatura, attore e regista, da consegnare ad uno studio che, se attratto ed interessato a questo pacchetto, deciderà o meno se investire denaro e trasformare il suddetto pacchetto in un film.

Durante l’anno, vengono scritte migliaia e migliaia di sceneggiature e solo pochissime, meno di 100, vengono selezionate dagli studios e trasformate in film. Ovviamente c’è anche da considerare il mercato indipendente, il cui termine “indipendente” non è legato, come credono sempre quegli snob europei, alla sua caratteristica alternativa o “rockstar”, ma semplicemente al fatto che non “dipende” dai major studios americani ovvero è un tipo di cinema esente dalle regole finanziarie e dalle imposizioni creative dettate in maniera molto rigida da quelle enormi case di produzione e distribuzione sopra citate. È un tipo di cinema che possiamo chiamare libero. Ad ogni modo, successivamente allo stadio del “development”, ci sono le altre 3 fasi che portano alla realizzazione del film vero e proprio, ovvero pre-produzione (casting, ricerca della location, ecc…), produzione (si gira il film!), e post-produzione (montaggio, color correction, ADR, ecc…).

Tutto questo enorme lavoro esiste per soddisfare la domanda di quel personaggio che, una sera di un monotono lunedì, decide di recarsi al cinema, pagare il biglietto, comprarsi del pop-corn, sedersi sulla poltroncina e guardarsi un film.

Apro una parentesi per spiegare velocemente quanto il “cinema” sia una cultura, in America. A Los Angeles, esistono dei cinema le cui sale sono dotate, invece che di scomode poltroncine, di veri e propri divani con un’applicazione sul bracciolo dove poter ordinare un’intera cena, che ti verrà portata da un cameriere mentre ti gusti un film in 3D. Insomma, non proprio quello a cui siamo abituati nel nostro bel paese.

Essendo Hollywood un’industria, il cinema viene trattato come tale. Lo studio e l’enorme lavoro svolto porta Hollywood a creare personaggi, storie, film e serie televisive che poi noi (italiani) guardiamo tramite Rai, Sky, Netflix o Mediaset sui nostri televisori.

Perché, invece di continuare a guardare altrove, non iniziamo a creare qualcosa in Italia, dal momento che nel nostro paese mancherà tutto ma non è mai mancata la creatività? Perché invece di continuare ad acquistare, non iniziamo anche a vendere? Perché cerchiamo di evadere da quella mentalità che vuole solo la stupida commedia o il film pesantemente intellettuale funzionare nel mercato cinematografico italiano? Perché non trasformiamo Cinecittà in un’industria invece di saltellare unicamente tra Checco Zalone e Paolo Sorrentino? (senza offesa per i due talentuosi artisti).

I film di Tarantino, ad esempio, ce li guardiamo tutti, quindi perché non iniziamo a scriverne e crearne di simili o magari di migliori nel nostro paese? O perché non inventiamo dei veri e propri generi? Infine, perché non scendiamo dal nostro piedistallo ed iniziamo ad imparare ed imitare il modo di lavorare dell’industria cinematografica Americana? Se c’è una cosa che gli italiani sanno fare è prendere un’idea, imitarla e tramutarla in qualcosa talmente migliore da passare alla storia (vedi tutto il cibo, ad esempio). I film esistono anche per dare spettacolo ed intrattenere.

Spettacolo e spettacolarizzazione sono quello che, oggi, manca al nostro cinema. Visto che abbiamo il talento, è il caso che iniziamo a “spettacolarizzarlo”. Se non lo fanno i “grandi vecchi”, allora è il caso che comincino i “grandi giovani”.

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