“Andare all’inferno significa diventare inferno noi stessi”. Così scrive Carl Gustav Jung in una delle pagine del Liber Novus o Libro Rosso, quell’immenso diario, tenuto a lungo segreto, in cui l’analista affida a parole e immagini i sogni e i demoni che animano la sua sofferta autoanalisi.
E’ la fine del 1912 e sebbene la vita privata e professionale del medico sia in vertiginosa ascesa, dentro l’uomo vive una drammatica crisi esistenziale, acuita dal divorzio ideologico con Freud, crisi che sprofonderà Jung nella delirante ricerca della propria anima.
Orfano di miti e di mete, Jung si affida coraggiosamente agli assalti del proprio inconscio, sostenuto dal convincimento di obbedire a una volontà superiore, con la consapevolezza che la voce dell’inconscio potrà distruggerlo ma anche salvarlo. E così sarà. Jung – Giano bifronte, serio professionista di giorno e sognatore delirante di notte – affronta i propri abissi racchiudendoli in questo caleidoscopico libro, fiume impetuoso e lutulento dal sapore apocalittico. E rinasce.
Che significato ha, oggi, dopo un secolo di silenzio, leggere il Liber Novus? La depressione creativa, di Moretti & Vitali, raccoglie le voci di alcuni tra i più autorevoli analisti e studiosi junghiani. Concertate da Ferruccio Vigna, le voci degli autori convengono sull’estrema importanza del Libro Rosso, almeno su tre piani: artistico, umano e metodologico. Dal punto di vista artistico, o estetico, il Libro Rosso aleggia tra letteratura, arte e magia. Si abbevera di Nietsche, Musil e Voltaire, eppure è un’opera assolutamente unica. E’ un’opera aperta, come direbbe Umberto Eco, e come tale può essere una gemma di quel filone letterario che esalta la crisi dell’Io, mettendolo angosciosamente a confronto con i suoi Doppi, Multipli e Ombre. Ogni pagina resuscita la giungla di demoni, centauri, ninfe, satiri e dèi che Jung incontra prendendone le distanze, in un’ubriacatura di mitologico incanto. E’ un libro che ammalia ed emoziona attraverso pitture sognanti e miniature calligrafiche che con la loro potente simbologia elevano al sublime.
Sul piano umano, il Libro Rosso è il travaglio della ricerca interiore: rappresenta la morte e la rinascita psichica di un uomo osservata dal suo interno, nel suo agitato divenire. L’insegnamento umano che Jung riceve e dona, è la dolorosa necessità di affrontare in solitudine la propria vita per arrivare all’individuazione di Sé, abbracciando l’irrazionale per ricongiungersi armonicamente con la propria anima. Non ci sono mappe, non esistono punti cardinali, il viaggio interiore è individuale, vergine, e la rotta può essere conosciuta solo percorrendola.
Da qui il significato metodologico del Libro Rosso e la sua rilevanza nella pratica clinica oggi. E’ un tesoro prezioso che documenta la nascita del sistema psicoanalitico junghiano. Qui vengono concepiti i concetti di archetipo, di inconscio collettivo, d’immaginazione attiva e di processo di individuazione. Ma non solo. L’anziano Filemone, lo psicagogo delle visioni di Jung, gli insegna cosa significhi entrare in contatto con le sensazioni più profonde dell’altro. Insegna a Jung – e ad ogni analista, indipendentemente dalla scuola d’appartenenza – cosa succede all’interno della stanza d’analisi. Analista e paziente s’inoltrano insieme in uno stato di comune incoscienza, in cui l’analista si lascia invadere dal mondo interno del paziente per favorire la sua individuazione, per permettergli di rinascere nella sua interezza.
In questo senso, il Libro Rosso ha un significato straordinariamente moderno dal valore etico, oltre che storico e culturale. In un tempo in cui l’Anima sembra essere sconsacrata, il Libro Rosso rivela come la psicoterapia non sia solo una pratica circoscritta alla cura della malattia ma anche uno strumento per lo sviluppo superiore della personalità. L’affascinante inferno, la depressione creativa di queste pagine, è il prototipo del processo d’individuazione, un processo accessibile a chiunque. Il Libro Rosso è, dunque, il libro della Rivelazione e della Rinascita spirituale. Ciò che ha permesso a Jung di vincere l’inferno e di affermare: “Una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta.”
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