La protesta degli studenti contro il caro affitti è una battaglia per i diritti di tutti

I canoni di locazione degli immobili sono aumentati a due cifre in tutti i centri urbani. Complice l’inflazione e la pressione sulla domanda di B&b e case vacanze, il valore medio di un affitto è ormai insostenibile per gli studenti fuori sede che hanno deciso di ribellarsi. Una protesta contro il caro affitti che si sta allargando a molte città d’Italia, e che questa volta si realizza con una modalità particolare: piazzare una tenda di fronte all’università e mettersi a dormire lì, per portare all’attenzione il problema dell’emergenza abitativa che colpisce sempre più duro. Lo slogan è: “Senza casa, senza futuro”.


La prima a farlo è stata la studentessa Ilaria Lamera, che il 4 maggio ha piantato la sua tenda fuori dal Politecnico di Milano: “I costi di Milano non permettono a studenti con famiglie normali alle spalle di prendere stanze in affitto”, ha detto in un’intervista a Repubblica. “Io avevo trovato singole da 700 euro spese escluse, non potevo permettermele”.

Dopo la pandemia i costi delle stanze sono tornati a crescere, arrivando oggi a cifre mai toccate prima. L’ultima rilevazione di Scenari Immobiliari sul primo trimestre 2023 mostra che, a Milano, il costo medio per una singola ha raggiunto gli 810 euro al mese. Seguono Roma con 630 euro, Venezia (580), Firenze (570) e Bologna (530). Poco sotto i 500 euro si trovano Torino, Verona e Padova (480 euro al mese in media per una stanza). I costi per l’alloggio stanno diventando un ostacolo allo stesso diritto allo studio: per frequentare l’università bisogna sempre più avere una certa disponibilità economica, per potersi permettere un tetto sopra la testa.

“Come fanno gli studenti a sostenere il loro percorso di studio? Tramite il principale ammortizzatore sociale usato nel nostro paese: la famiglia”, spiega a Valigia Blu Nicola De Luigi, ricercatore sociale dell’Università di Bologna, esperto di residenzialità per studenti. “Il concetto di meritocrazia svanisce, perché il solo merito è quello di avere una famiglia alle spalle in grado di sostenere i costi dell’accesso all’università. La maggior parte degli studenti fuorisede, per trovare casa, si affida al mercato privato dell’affitto: la misura del canone concordato sta faticando moltissimo, e poi mancano le residenze universitarie pubbliche. Il risultato è che gli studenti che hanno famiglie svantaggiate spesso rinunciano a studiare in un’altra città”.

In Italia nel 2022 risultavano esserci poco meno di 600 mila universitari che studiano in una provincia diversa da quella di residenza, ovvero poco meno di un terzo degli studenti universitari complessivi, contro una media europea di due terzi. Il numero di posti alloggio pubblici però è ancora troppo basso: in Italia arriva poco sopra i 50mila, meno di un terzo rispetto a Francia e Germania, rispondendo solamente a circa il 20% della domanda potenziale. Una ricerca di Eurostudent mostra che nel nostro paese solo il 5% degli studenti universitari vive in uno studentato pubblico, contro una media europea del 18%.

La crisi abitativa non colpisce solo gli studenti: inflazione, caro bollette, calo del potere d’acquisto dei salari e mancanza di alloggi a prezzo accessibile hanno pregiudicato l’accesso alla casa di tutti, in primis delle famiglie svantaggiate, dei lavoratori soli, dei disoccupati, degli anziani, dei migranti. Chi ha la responsabilità di questa emergenza? Dopo le proteste degli studenti in tenda, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha dichiarato che “gli accampamenti di studenti sono nelle città governate dal centrosinistra”, perché quelle giunte “non hanno attivato politiche a favore dei giovani per offrire loro un panorama abitativo decoroso”.

Le sue parole hanno scatenato le proteste dei sindaci che da mesi denunciano la mancanza di strumenti idonei per i comuni per affrontare l’emergenza abitativa. “Per rispondere alla mancanza di alloggi per studenti c’è bisogno di misure modellanti del mercato degli affitti”, afferma Emily Clancy, assessora alla casa e vicesindaca del Comune di Bologna. “Serve una regolamentazione delle piattaforme turistiche, fondi per l’edilizia residenziale pubblica, per il sostegno all’affitto e alla morosità incolpevole, e la possibilità di destinare alle politiche abitative immobili delle stato inutilizzati”. Per questo, undici città su tutto il territorio nazionale si sono unite e hanno avanzato cinque proposte al governo per una politica nazionale sulla casa. “Le decisioni prese dai singoli Comuni non bastano”, spiega Clancy. “Serve una regia a livello nazionale, con il governo che definisca una direzione comune da dare al mercato immobiliare nelle grandi città italiane ad alta tensione abitativa”.

Il nodo degli studentati mette a rischio il diritto allo studio

La Costituzione, all’articolo 34, recita: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eppure le disuguaglianze continuano a colpire gli studenti, tanto che la probabilità di proseguire gli studi dopo le superiori fino a completare l’università dipende ancora dal contesto socio-culturale ed economico di origine. Negli ultimi dieci anni è aumentata la quota di laureati con almeno un genitore laureato: se nel 2010 era il 26,5%, nel 2020 è il 31%. Tra i figli di genitori con una laurea, il 75% ha probabilità di laurearsi a sua volta, percentuale che scende al 48% tra chi ha alle spalle una famiglia dove il titolo di studio massimo è il diploma, e al 12% se i genitori hanno la licenza media.

In Italia esistono 37 enti per il diritto allo studio: la maggior parte è regionale, mentre in alcuni casi ce ne sono due o più nella stessa regione (come in Abruzzo). La Lombardia è l’unica dove sono gli atenei stessi a erogare i servizi per il diritto allo studio. L’origine degli enti per il diritto allo studio si trova nelle Opere universitarie e le casse scolastiche, istituite dal governo fascista nel 1923: con la nascita della Repubblica e l’entrata in vigore della Costituzione nel 1946, lo stato si assume l’obbligo di garantire la parità di accesso all’università per gli studenti meritevoli e privi di mezzi. Eppure, ancora oggi esistono criticità strutturali: su tutte, il fatto che gli enti per il diritto allo studio siano divisi per aree geografiche e che non siano garantiti gli stessi standard su tutto il territorio nazionale.

Negli ultimi dieci anni, il numero di borse di studio erogate in Italia è praticamente raddoppiato, passando da 120.965 nel 2011 a 244.230 nel 2020”, ha spiegato Claudia Pizzella dell’Ufficio statistico del Ministero Università e Ricerca, al convegno Il diritto allo studio, presente e futuro. Contro le diseguaglianze. “A livello territoriale, però, l’aumento non è stato omogeneo: nel sud abbiamo registrato una crescita del 233%, mentre al nord il numero è aumentato solo di 42 punti percentuali. È interessante anche analizzare la quota di studenti che, pur avendone diritto, restano esclusi dai sostegni pubblici: nel 2011 solo il 70% degli idonei con i requisiti di reddito e merito ricevevano la borsa di studio. Oggi la percentuale di copertura è passata al 98,8%”. Eppure, sono ancora tremila gli studenti che restano senza contributo pur possedendo tutti i requisiti: “La nota dolente resta la residenzialità: negli ultimi dieci anni i posti alloggio in studentato sono aumentati solo del 9,5%, non riuscendo a rispondere alle esigenze degli studenti che hanno bisogno di una casa”.

Dal 2000, con la legge 338, lo Stato mette a disposizione fondi per l’edilizia per studenti: la norma prevede la possibilità per soggetti pubblici e privati di richiedere un cofinanziamento statale per realizzare nuovi posti letto. La vera rivoluzione è arrivata con il PNRR, che stanzia 960 milioni per portare entro il 2026 il numero posti letto a oltre 100mila su tutto il territorio nazionale. Ad agosto e a dicembre 2022 sono stati pubblicati i primi due bandi, per un importo di circa 300 milioni di euro. Con il resto delle risorse disponibili, 660 milioni di euro, è stato istituito il Fondo Housing Universitario, destinato questa volta solo a operatori privati.

“Il problema è che i decreti di attuazione del PNRR non hanno fissato una quota di alloggi da riservare a studenti meritevoli in stato di necessità economica, ma riportano un generico ‘prioritariamente’”, spiega Federica Laudisa dell’Osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio di IRES Piemonte. “Chi verifica che ciò accada? Inoltre, al momento non sono state stabilite delle tariffe agevolate per gli alloggi finanziati con il PNRR. Quale è quindi il vantaggio per gli studenti? È noto quanto le tariffe degli operatori privati siano esose per le tasche di una famiglia”. I fondi del PNRR, insomma, non verranno destinati a costruire residenze a prezzi calmierati, ma studentati privati come quelli che già esistono in molte città universitarie, dove una stanza può costare anche più di mille euro. Una possibilità ghiotta per i grandi investitori immobiliari, che guardano al mercato dello student housing italiano come una terra inesplorata tutta da conquistare: a investire nel settore attualmente sono soprattutto fondi immobiliari, fondazioni e altri attori nazionali e internazionali.

L’emergenza casa degli studenti in Europa e gli universitari senza dimora

Il problema della mancanza di alloggi per gli studenti esiste anche fuori dall’Italia. In Danimarca, Finlandia, Norvegia e Spagna, chi vive lontano dalla propria famiglia spende per la casa anche più del 40% del totale delle sue uscite, e in Francia la percentuale addirittura supera il 50%, come mostra il report How the cost of accommodation (over?)burdens students in Europe di Eurostudent. La media europea di spesa per l’alloggio è di circa un terzo delle risorse degli studenti. “Le spese dell’affitto possono comportare un rischio di cadere sotto la soglia di povertà, soprattutto nelle grandi città, dove i canoni sono particolarmente alti”, si legge nel report. Anche la European Students’ Union, che mette insieme 45 sindacati studenteschi di 40 paesi europei, ha denunciato che gli studenti “sperimentano un continuo aumento dei prezzi degli affitti, specialmente nelle grandi città europee dove si trovano la maggior parte delle università. L’offerta insufficiente di residenze studentesche e la mancanza di posti liberi sul mercato immobiliare aggravano il problema, e la situazione è particolarmente difficile per gli studenti internazionali”.

In alcuni paesi inizia ad affacciarsi anche il problema degli studenti senza dimora, che di notte dormono in strada e di giorno frequentano le lezioni universitarie. Il fenomeno è cominciato negli Stati Uniti, dove già nel 2017 più di 32mila studenti erano senzatetto. In Europa la dimensione del problema è più ridotta, anche se un report di Hepithink-tank britannico che si occupa di educazione superiore, denuncia che nel Regno Unito ci si aspetta che il numero di universitari senza casa cresca, a causa dell’aumento del costo della vita e di una sempre più ampia partecipazione all’istruzione superiore anche delle fasce svantaggiate. Un problema simile si sta verificando anche nei Paesi Bassi, dove a settembre 2022, a Groningen, più di 600 studenti internazionali hanno cominciato l’università senza avere un alloggio.

In quasi tutti i paesi, però, mancano dati che permettano di valutare le dimensioni del fenomeno: ecco perché, riferendosi agli studenti, si parla di “senzatetto nascosti” (hidden homelessness). “Le università dovrebbero fare un’indagine non solo tra gli iscritti, ma anche tra i laureati e tra chi ha abbandonato gli studi”, ha dichiarato Greg Hurst, responsabile comunicazione e affari pubblici del Centre for Homelessness Impact. “Ampliare l’accesso all’istruzione superiore significa anche allargare la composizione del corpo studentesco, supportando i giovani più a rischio di rimanere senza casa”.

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