Big Data e Fake News, solo il pensiero critico ci salverà dagli algoritmi

Saremo sempre più “schiavi” di algoritmi e intelligenza artificiale. Il futuro che ci aspetta è questo. Anzi, per gli analisti, il futuro è già ora. Pensiamo agli algoritmi come ad un insieme di istruzioni per gestire i dati in modo tale da poterne ricavare informazioni e servizi. Mentre i big data rappresentano la materia prima utilizzata dagli algoritmi.

Professioni come il Data Scientist (figura esperta in grado di leggere e interpretare i big data) oggi sono sempre più richieste dal mercato. E saper estrapolare e gestire i dati delle persone può diventare un business pericoloso quando non è l’etica a guidare il lavoro delle società di settore. Basti vedere quello che è accaduto con lo scandalo Cambridge Analytica.

Il “critical thinking”

Nel volume Digital Skills (ed. Hoepli), Giulio Xhaet e Francesco Derchi, spiegano come la verità dei fatti conti sempre di meno, mentre l’utente valuta la simpatia e l’emozione che suscita una persona o una fonte informativa. E’ il motivo per cui le fake news ci hanno invaso. Come poter uscire da questo loop? Per Xhaet la soluzione è padroneggiare “il critical thinking”, il pensiero critico. Esso si fonda sul tentativo di andare al di là della parzialità delle informazioni ricevute attraverso un processo di discernimento, analisi, valutazione, comparazione, messa in discussione. Un buon pensatore critico è un buon analista. Il pensiero critico è un potentissimo anticorpo contro le fake news.

Il capitalismo “fluido”

Nel libro “Reinventare il capitalismo nell’era dei Big Data (ed. Egea)“, Viktor Mayer-Schönberger e il giornalista Thomas Ramge, invece,  descrivono un mondo dove anche la “certezza dei prezzi” dovrà scontrarsi con la “flessibilità” determinata dai big data in un mercato sempre più “fluido, per citare il sociologo Zygmunt Bauman. Presto potremmo entrare in negozi dove i prodotti non avranno prezzi esposti. Dove basterà avvicinare il nostro smartphone all’articolo che ci interessa per sapere quanto spendere. E la spesa sarà personalizzata in base alla variabili calcolate da precisi algoritmi capaci di interpretare una mole impressionante di big data per ogni consumatore: gusti, frequenza di acquisto, capacità di spesa, ecc.

“Big data for restaurant”

Il progetto nasce a Firenze e punta a far conoscere ai ristoranti l’opinione dei propri clienti attraverso l’analisi dei big data. Ora, quindi, anche le piccole attività commerciali nel settore della ristorazione potranno monitorare e migliorare la propria reputazione commerciale grazie a questa iniziativa predisposta da Confcommercio Firenze e Travel Appeal, in collaborazione con il Comune di Firenze e il patrocinio della Camera di Commercio di Firenze. Un apposito algoritmo, gestito da una startup, vaglierà le recensioni dei locali, le opinioni rilasciate sui portali turistici, i commenti sui social. Alla fine i commercianti potranno conoscere la reputazione complessiva della loro attività ma anche gli aspetti più graditi e quelli meno dai clienti. L’obiettivo, spiegano i promotori di questo progetto, è accrescere la qualità del servizio offerto agli utenti.

La “datacy”

I big data possono diventare una risorsa in grado di creare valore in molti campi, dall’economia alla ricerca scientifica. Ma se il livello di cultura di una comunità si misura con la literacy (capacità di leggere, comprendere e analizzare criticamente varie forme di comunicazione, inclusi il linguaggio parlato, i testi scritti, i media analogici e digitali) e la numeracy (capacità di usare modelli e abilità matematiche per risolvere problemi in contesti complessi), la diffusione dei dati digitali necessita di una nuova categoria culturale che gli esperti chiamano “datacy“. Possiamo definire la datacy come la capacità di ragionare su un vasto insieme di tipologie di dati, rappresentarli mediante modelli, essendo in grado di comprenderne il significato, gestirli, analizzarli e usarli nella maniera più opportuna e, soprattutto, comprenderne l’impatto che essi hanno sulla società. Occorre, dunque, un salto culturale. Chi non sarà in grado di farlo, rischierà di restare fuori dal grande business dei big data e ai margini delle opportunità offerte dalla rivoluzione digitale.

Informazioni su Roberto Zarriello 13 Articoli
Giornalista, saggista e docente di Comunicazione digitale e Social Media all’Università Telematica “Pegaso”, dirige il Master in "Editoria e Giornalismo digitale" della Ninja Academy. Ha collaborato con le Cattedre di Organizzazione e Comunicazione degli Uffici Stampa - URP e di Pianificazione Media e Comunicazione dello Sport della Facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università “La Sapienza” di Roma. Scrive di comunicazione, internet e nuove tecnologie per l'Huffington Post, coordina l'area Glocal news di Tiscali.it. Collabora dal 2003 con il gruppo Espresso, con cui ha creato il progetto Città 2.0 su Repubblica.it. È fondatore e direttore responsabile del magazine di cultura e innovazione RestoalSud.ite dirige la RestoalSud Academy. Ha pubblicato il volume Penne Digitali 2.0 - Fare informazione online nell’era dei blog e del giornalismo diffuso, edito dal Centro di Documentazione Giornalistica, e Social Media Marketing - Strumenti per i nuovi Comunicatori Digitali, edito da Franco Angeli. Ha ricevuto nel 2015 il Premio Giornalistico Nazionale “Maria Grazia Cutuli” per la categoria “web, editoria digitale”.

1 Commento

  1. GLI ALGORITMI VANNO USATI con moderazione e a seconda delle materie- per il pensiero critico in italia non la vedo possibile nè ora nè mai , quando ci sono 28 milioni di persone che credono negli dei seguaci di religioni varie – 13 milioni seguono oroscopi maghi e veggenti- e una gran maggioranza di ignoranti e anal fabeti- per applicare il pensiero critico occorrerebbe avere un cervello e cultura- gli algoritmi in fondo sono nati anche automatizzare le azioni per il popolino in generale-saluti

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