La prima forma di globalizzazione è stato il contrabbando di sigarette

Il contrabbando di sigarette ha anticipato di almeno trent’anni anni la globalizzazione. I primi contrabbandieri si muovevano negli anni ’50 dal porto franco di Tangeri lungo le rotte del Mediterraneo. Quando Tangeri perse lo status di porto franco, si spostarono prima a Malta, poi in Grecia e infine in Montenegro.


Le organizzazioni dedite al traffico di bionde mettevano le basi operative nei paesi a bassa tassazione e vendevano i loro prodotti nei paesi ad alta tassazione (più alte sono le accise e più è conveniente comprare sigarette di contrabbando), esattamente quello che fanno oggi le multinazionali come Apple & Co. che si insediano nei paesi a basso carico fiscale (Irlanda e Lussemburgo) per essere competitivi nei paesi ad elevato carico.

Dagli anni ’60 il contrabbando era controllato dagli italiani, in particolare dai napoletani guidati da Michele Zaza (“Michele ‘O Pazz”). Zaza, che era pazzo ma non era certo fesso, aveva capito che il contrabbando, oltre ad essere un’attività criminale, era un’attività imprenditoriale e si era inventato un sistema di auto-finanziamento collettivo: faceva finanziare l’acquisto dei carichi di sigarette da imprenditori e professionisti insospettabili, ognuno dei quali prendeva una quota del carico e aveva diritto ad un profitto sull’investimento (tra il 3 e il 7%), esattamente quello che si fa oggi con i bond e le obbligazioni societarie.

Il fatto che nell’acquisto delle sigarette fossero coinvolti anche soggetti esterni alle organizzazioni criminali creò una convergenza di interessi intorno al contrabbando che divenne di fatto il primo network globale della storia: c’erano i broker che compravano le sigarette direttamente dai grandi produttori nelle zone franche, i finanziatori, i “pontisti” che gestivano i ponti radio e le comunicazioni, gli scafisti e gli armatori che costruivano le barche, gli scaricatori, gli autisti che portavano le sigarette via terra, quelli che le vendevano nelle bancarelle e gli operatori finanziari che riciclavano il denaro sulle piazze estere.

La catena logistica del contrabbando operava su scala internazionale e ogni anello era intercambiabile.

Era una sistema completo, globale ed efficiente. Non è certo il caso di fare l’elogio del contrabbando, il contrabbando era e resta un’attività criminale, ma se oltre a debellarlo fossimo riusciti a replicarne, almeno in parte, la capacità di fare business su scala globale, oggi controlleremmo il traffico merci nel Mediterraneo e buona parte dei flussi finanziari collegati.

Sia chiaro, il fenomeno non è del tutto scomparso, ma il suo peso sull’economia nazionale è ridotto al lumicino e interessa in prevalenza i paesi del Nord e dell’Est Europa.

E’ stato un bene che sia stato sconfitto il contrabbando, sia per la salute dei cittadini che per le casse dello Stato,  ma va riconosciuto al traffico di “bionde” il merito di aver applicato con decenni di anticipo metodi e procedure operative che sono diventate poi lo standard delle multinazionali globalizzate.

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