I soldi non fanno la felicità, meglio investire in merci

Le battaglie svolte dal giurista Giacinto Auriti dirette alla riduzione del debito pubblico sono state riproposte in sede parlamentare da alcuni economisti e prese come esempio di dottrina sociale. L’obiettivo finale era rivolto a scardinare un forte inganno: il sistema economico lavora e cerca soluzioni su diagnosi palesemente errate.

Auriti era giunto alla convinzione che il problema del debito pubblico dipende dal fatto che le banche si ritengono proprietarie della moneta e, dopo averla emessa, la cedono alla collettività, sotto forma di prestiti, a caro prezzo stabilendone il valore economico e gli interessi.

L’equivoco sta tutto qui: le banche non sono proprietarie della moneta (come di fatto accade) che invece appartiene al popolo e la sovranità del popolo si può definire totale solo se la popolazione ha il controllo della politica monetaria. E’ necessario quindi che i governi controllino la moneta all’atto di emissione perché in quella fase essa è ancora di proprietà degli stati. Quando la banca centrale presta la moneta alla collettività carica il costo del denaro del 200% che più interessi e pressioni fiscali aumenta fino al 260-270%.

Da questa teoria è nato il principio della proprietà popolare della moneta. Solo restituendo la moneta ai legittimi proprietari sarà possibile razionalizzare il sistema. Quindi la riduzione del potere d’acquisto dei salari è imputabile in realtà ai vertici delle banche centrali e non più al datore di lavoro o al governo. Con l’abolizione delle riserve auree, la perdita di valore intrinseco della moneta e la mancata sovranità monetari del popolo, la conseguenze è che ogni qual volta si emette moneta e la si distribuisce, non si fa altro che incrementare il debito pubblico che, alla fine, ricade sulle spalle dei cittadini. Il suo noto esperimento di introduzione delle banconote simec nella sua città natale di Guardiagrele, ovviamente si scontrò con le norme dell’ordinamento statale, che disciplinano minutamente la creazione e la circolazione della moneta e ne sanciscono l’efficacia liberatoria.

Nell’attesa che trovi un ancoraggio costituzionalmente riconosciuto l’inganno scoperto dal professore, oggi una nuova soluzione radicale potrebbe concentrarsi sull’acquisizione di nuovi modelli operativi applicabili dalle imprese al fine di aggirare il sistema monetario. Se non posso mutare la politica monetaria ed affermare il principio di “sovranità monetaria”, posso almeno affermare il principio sulla “sovranità delle merci”.

È questo il futuro trend (in piccola parte già presente) che potrebbe coinvolgere moltissimi imprenditori, i quali si assocerebbero in un circuito/sistema che prevede un libero scambio e circolazione delle merci regolato da un sistema di crediti atto a garantire un sistema economico più dinamico e flessibile. Uno scambio merci che si concretizzerebbe attraverso la vendita di propri prodotti o servizi a fronte dell’acquisizione di crediti tramite i quali acquisire altri prodotti o servizi dalle altre aziende (di categorie merceologiche affini o meno) aderenti al sistema. Un sistema di scambio molto più integrato e sinergico del distretto industriale, ma che soprattutto permetterebbe di scambiare beni senza muovere denaro. Il vantaggio sarebbe proprio questo: la possibilità di mantenere una certa liquidità, evitando al tempo stesso di aumentare il denaro circolante.

Un sistema fiscalmente e finanziariamente valido che potrebbe ridurre l’effettivo peso del nostro cuneo fiscale (arrivato alla soglia record del 53%) e soprattutto limitare l’effetto corrosivo dei prestiti bancari, ma anche dei crediti insoluti. Semplice no?

Informazioni su Gianluigi Mayer 7 Articoli
Operatore allo sviluppo, con esperienza decennale in comunicazione e finanziamenti per l’impresa. Esperto in micro-credito e vicepresidente fondazione Work for World. Collaboratore di alcune testate giornalistiche indipendenti. Appassionato di storia economica e organizzatore amatoriale di eventi e seminari artistico-culturali.

1 Commento

  1. Salve Gianluigi,
    ottima analisi. Aggiungerei che sarebbe opportuno investire anche in servizi innovanti per l’export.

    Come noto, il Parlamento Europeo, ha finalmente deliberato il marcaggio “Made in Italy”.
    In questo contesto, ritorna d’attualita` il progetto V.I.E. Vetrine Italiane all’Estero :
    – per competere associativamente all’internazionale;
    – per combattere la contraffazione;
    – per costituire degli showroom da consolidarsi in Centri commerciali di riferimento qualita`.

    V.I.E. fu pensato dopo aver analizzato dall’estero/estero l’enorme, il grave e continuo danno fatto dai prodotti taroccati. Curai questa analisi, a spese della mia company di analisi economiche, prima ancora dei servizi giornalistici apparsi su quotidiani d’importanza nazionale, e prima ancora che alcuni consorzi, attivassero iniziative a salvaguardia dei nostri prodotti. Con risultati veramente deludenti.
    Auguri Italia!

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